la Repubblica

Ebrei, il mea culpa di Fini. 

“Perdono per le leggi razziali”. Il vice premier: non ci fu fascismo buono e cattivo. In un’intervista al quotidiano israeliano “Ha’aretz” una nuova abiura del giudizio sul Duce.

Il quotidiano israeliano Ha'aretz pubblica oggi un lungo servizio su Gianfranco Fini. Per realizzarlo, il capo degli Esteri del giornale, Adar Primor, ha trascorso in luglio alcun (giorni in Italia, intervistando Fini ed esponenti del mondo politico e culturale. Pubblichiamo alcuni brani del colloquio con il vice premier italiano. La versione integrale è su www.repubblica.it con un commento dello storico Massimo Salvadori.

Adar Primor

Nel corso di una visita a Israele, lei prevede di fare qualche dichiarazione sul passato fascista dell’Italia, sull'esempio di quelle pronunciate da esponenti tedeschi, quando hanno riconosciuto le responsabilità della Germania per i crimini nazisti? O di quelle del presidente Chirac, quando riconobbe la responsabilità della Repubblica. francese per i crimini del regime di Vichy?

«Ho già fatto dichiarazioni molto simili in Italia: ho detto che il fascismo ha soppresso i diritti umani, e ho aggiunto che le leggi razziste hanno istigato alle peggiori atrocità perpetrate in tutta la storia dell'umanità. Quando sono stato ad Auschwitz, ho scritto nell’album dei visitatori: "Questo luogo è l’inferno in terra"».

Dopo la dichiarazione di Chirac, i francesi non hanno mancato di ribadire le più pesanti accuse contro Vichy, ma si sono dissociati dalle responsabilità per quei crimini, sostenendo che la libera repubblica francese del dopoguerra non ha alcun collegamento, né alcuna responsabilità per il regime che collaborò con i nazisti. Chirac ha modificato questo atteggiamento, dichiarando che lo stato francese di oggi non soltanto denuncia questi crimini, ma ne accetta la responsabilità. Non pensa che oggi anche l'Italia dovrebbe agire allo stesso modo?

«Comprendo. Personalmente no – sono nato nel 1952, e ovviamente...»

Ma neppure Chirac è stato coinvolto nel governo di Vichy.

«In effetti, in quanto italiano devo accettare la responsabilità. Lo devo fare a nome degli italiani, i quali portano la responsabilità per ciò che accadde dopo il 1938, dopo la promulgazione delle leggi razziali. Hanno una responsabilità che è iscritta nella storia, e quindi sono tenuti a pronunciare dichiarazioni, a chiedere perdono. Sto parlando di una responsabilità nazionale, non personale».

In altri termini, potrebbe sottoscrivere una dichiarazione così formulata: "Noi italiani accettiamo la responsabilità per i crimini commessi dal regime fascista"?

«... Che sono stati perpetrati tra il 1938 e il 1945. Sì, naturalmente".

In passato lei ha fatto una distinzione tra il periodo criminale del fascismo - leggi razziali, guerre, Repubblica di Salò - e il periodo successivo. Sarebbe disposto a dire che non è possibile distinguere tra “fascismo buono” e “fascismo cattivo”?

«No, no: non ho mai parlato di fascismo buono e fascismo cattivo».

Se è così, se la sentirebbe di denunciare il fascismo senza riserve, di denunciarlo in quanto movimento e in quanto ideologia?

«Lo abbiamo già fatto. Abbiamo denunciato il fascismo per aver soppresso i diritti democratici in Italia. Lo abbiamo dichiarato a Fiuggi. Tutti coloro che non erano d'accordo con me, e mi avevano chiamato traditore, sono usciti».

In altri termini, non esiste un fascismo buono e un fascismo cattivo?

«No, no. La storia, amico mio, non è una baguette da poter tagliare a fette. Non si può dire: a me piace questo pezzo e quest’altro no».

Chiederebbe perdono al popolo ebraico, se venisse in visita in Israele?

«Sicuramente».

Poche ore prima della sua nomina alla Convenzione europea per le riforme e la Costituzione dell’Ue, lei ha dichiarato che oggi non definirebbe Mussolini “il più grande statista del XX secolo”.

«Questa dichiarazione era stata fatta prima della fondazione di An».

E l'anno scorso, lei disse che non l'avrebbe ripetuta. Oggi per lei Mussolini è, in ordine di importanza, il secondo statista del XX secolo, o magari il terzo?

«No, no; fa parte della storia, e la storia ha già emesso il suo verdetto in proposito. Siamo tutti soggetti a cambiare, e io non faccio eccezione. Voglio credere di aver giocato un piccolo ruolo nei cambiamenti avvenuti nella destra italiana».

In tal caso, cosa rappresenta oggi per lei Mussolini? Lo descriverebbe come un criminale?

«Mussolini è un uomo che ha posto tra parentesi la democrazia italiana. Noi riteniamo la democrazia un valore supremo per l'intera popolazione. Agli occhi di chiunque creda in ciò, Mussolini appare oggi in una luce negativa».

E cosa rappresenta oggi per lei Almirante?

«E' stato un fascista che ha saputo cambiare, e ha lavorato per 40 anni in un contesto democratico».

A Trieste e in varie altre città ci sono state cerimonie di stampo nostalgico. Perché non denuncia queste celebrazioni?

«Il più grave di tutti i colpi subiti da Trieste è stato quello inferto dai comunisti di Tito».

Si potrebbe desumere, dalla sua partecipazione alla Convenzione Ue, che lei sostiene il rafforzamento delle istituzioni europee a discapito della sovranità degli stati dell’Ue?

«No, l'Europa futura sarà una federazione di stati-nazione, e vi saranno nuove autorità, ad esempio nel campo della difesa, nel quale c'è bisogno di un’autorità non nazionale ma europea. Ciò nondimeno, lo stato-nazione non scomparirà».

E' d'accordo con le teorie di Oriana Fallaci, così come le ha espresse nel suo libro?

Secondo alcuni osservatori, Berlusconi sarà, dalla fine della seconda guerra mondiale, il primo presidente del consiglio italiano a rimanere in carica fino alla scadenza del suo mandato. Il nome del suo successore sarà Fini?

«Il suo nome sarà Berlusconi».

(copyright Ha’aretz – la Repubblica)


Il personaggio - Una lunga marcia dal Mussolini "grande statista" al no al razzismo -  Sette anni dopo la svolta di Fiuggi

ROMA - Per Gianfranco Fini, le svolte sono un po’ come gli esami di Eduardo. Non finiscono mai. Ama ripetere che An non ha più niente da dimostrare, intanto però, a nove mesi dal solenne ripudio della figura storica di Benito Mussolini, il leader della destra italiana ci riprova. Attento a non tirare troppo per non strappare con la base, ma determinato a proseguire nel suo personale percorso verso una leadership di stampo europeo a prova di polemiche. La volta scorsa - mancavano poche settimane al congresso di Bologna, quello che doveva celebrare i fasti della destra di governo - i colonnelli del partito, oggi leali e convinti alleati del Cavaliere, in pubblico approvarono, ma in privato non la presero affatto bene. “Finirete tutti circoncisi!”, li strapazzò la nipote del duce, Alessandra. Sembrano passati secoli, effettivamente, fra quando - era l'aprile del '94, pochi giorni dopo la vittoria elettorale del Polo – l’ancora segretario del Msi proclamò Mussolini il più grande statista del ‘900, e l'abiura dello scorso gennaio. Con una battuta mordi e fuggi, intervistato dalle Iene tv, Fini l'altra volta si era sbagliato e oggi certe cose non le ridirebbe e semmai i più grandi sono stati Einaudi e De Gasperi. In mezzo, otto anni di strattoni inflitti alla tradizione post­missina. Preceduti da un omaggio alle Fosse Ardeatine, nel dicembre ‘93, quando il giovane leader dell’Msi era candidato a sindaco di Roma - contro Francesco Rutelli, primo passo di un’irresistibile carriera che lo ha portato fino a Palazzo Chigi. Gennaio ‘95: al congresso di Fiuggi, nasce Alleanza nazionale, nel ripudio del totalitarismo e di ogni forma di razzismo, con una dura condanna delle leggi razziali e dell’antisemitismo. Nell'ottobre seguente Fini è in visita ufficiale negli Usa. Alla conferenza programmatica di Verona, marzo '98, presenti rappresentanti del Likud e dell’ambasciata d’Israele, Fini invita a “non dimenticare il dramma degli ebrei italiani né le foibe”. Ma l’accostamento non piace affatto a Tullia Zevi. Il 19 febbraio del ‘99, Fini è ad Auschwitz. Davanti a giornalisti e telecamere dichiara che «qui l'uomo si sente infinitamente piccolo, perché nessuna tragedia può essere più grande dello sterminio e dell'Olocausto». A questo punto, non resta che il viaggio in Israele. Il governo di Gerusalemme non avrebbe niente in contrario. E' la comunità ebraica italiana a ritenere i tempi ancora non maturi». Neppure un incontro informale, all’ora di colazione, avuto lo scorso gennaio con il rabbino capo di Roma, Di Segni, serve a sbloccare la situazione. Chissà se almeno stavolta è quella buona, se Fini potrà partire davvero. (b.j.)


Le reazioni – Luzzatto: ma An non dà garanzie. Il presidente delle comunità ebraiche: dichiarazioni positive ma non basta. Tullia Zevi: sbagliato coinvolgere tutto il paese nelle colpe del regime.

ROMA - Gianfranco Fini chiede perdono agli ebrei per le persecuzioni subite in Italia, compiendo così un nuovo passo in avanti verso il viaggio in Israele, cercato da anni. Ma la reazione delle Comunità ebraiche italiane resta fredda. «Se il percorso compiuto da Fini può essere abbastanza positivo», commenta il presidente, Amos Luzzatto, «lo stesso non si può dire anche del partito di cui Fini è presidente». Anche secondo Gad Lerner, quello di Fini è un gesto «di umiltà e onestà intellettuale e come tale rispettabile», ma il presidente di An «deve ancora fare i conti nella periferia del suo partito» con l'eredità del movimento fascista. «Leggiamo e analizziamo con interesse le parole di Fini», il commento del portavoce dell'ambasciata d’Israele a Roma, che sulla data di un possibile viaggio non vuole sbilanciarsi. Il coinvolgimento di tutto il popolo italiano nella responsabilità per le leggi razziali fatto dal vice premier, però, non è accettabile, dice TuIlia Zevi. «Oscura la lotta antifascista e il largo dissenso popolare che contrastarono le scelte criminali e razziste del fascismo, prima e dopo il ‘38», Le fa eco Gianfranco Maris, presidente dell’associazione degli ex deportati, l’Aned. Nel mondo politico, l'opposizione accusa Fini di strumentalizzare la storia. «Davvero non se ne può più del pentitismo politico cui non si paga nessun prezzo», dice il rutelliano Franco Monaco. Sui siti di An, denuncia il ds Pietro Folena, abbonda tutt’ora «la paccottiglia neofascista e apologetica» su Mussolini. Franco Grillini, deputato ds e presidente onorario dell'Arcigay, vorrebbe che a questo punto il leader di An chiedesse perdono pure ai cittadini omosessuali. E il verde Alfonso Pecoraro Scanio è lapidario: «Fini chieda scusa anche per aver militato nel Msi che ha difeso quel regime».

Da la Repubblica, 13 settembre 2002, per gentile concessione

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