la Repubblica
Wiesel: "Internet razzista? No, tutti debbono parlare"
Intervista al premio
Nobel: "L'informazione deve essere sempre in campo contro i nemici della
verità"
dal nostro inviato Dario Olivero
BOLOGNA
- Ha vissuto, come disse un tempo, gli anni "in cui la paura dominava
l'universo". È la memoria vivente di Auschwitz, dove entrò a 16 anni e vi
perse madre e sorella. Di Buchenwald, dove perse il padre. E di tutto quanto è
successo dopo, fino a oggi, fino a dover sentire chi nega che l'Olocausto ci sia
mai stato. Elie Wiesel, 72 anni, premio Nobel per la pace 1986. Viso
attraversato da solchi di una bellezza ipnotica, non alza mai la voce. Anche
quando dice le cose più pesanti, le idee che porta aventi da una vita, Wiesel
le dice a bassa voce. Quasi come se quelle idee aspirassero al silenzio più che
al rumore. "Molte volte sono stato tentato nella mia vita dal
silenzio", dice. "Il silenzio che è più efficace delle parole per
trasmettere la verità". Un uomo che conosce il valore del silenzio e forse
proprio per questo è pronto a combattere perché tutti, compresi i negazionisti
e i revisionisti "possano avere garantito il diritto di espressione".
Per questo non condanna Internet. Neanche quando vede siti antisemiti, razzisti
e xenofobi? "No, tutti devono parlare. Poi è la gente che deciderà dei
messaggi che riceve". Ma sarà possibile oggi, con Internet, con l'infinita
quantità di messaggi che possono essere inviati, creare le condizioni affinché
la gente possa sapere che certi messaggi sono sbagliati, hanno portato a guerre
e massacri, hanno fatto finire l'universo sotto le leggi della paura? Wiesel
guarda fisso un attimo e cerca le vie per fare uscire il suo pensiero dal
silenzio senza che questo venga tradito dalle parole. "Oggi come ieri la
verità ha dei nemici, nemici che non vogliono che la verità sia liberata, che
diventi per tutti. Noi possiamo solo aiutare gli amici della verità: quelli che
difendono i diritti degli uomini in ogni parte del mondo". Chi sono i
nemici della verità e dove si nascondono. "Io vedo soprattutto quelli che
negano che sia successo". La Shoah, l'Olocausto, ecco la verità
nascondendo la quale la storia può ripetersi nel suo orrore. Ma pensa davvero
Wiesel, che valga la pena di sperare che il mondo possa imparare dai propri
errori? "Qui entra in gioco l'informazione, che è cosa ben diversa dalla
verità. L'informazione è il mezzo tanto quanto la verità è il fine. Gli
uomini devono imparare a trasformare l'informazione in conoscenza e questa in
coscienza. E' un'operazione etica". Cos'è l'etica? "L'etica è la
coscienza dell'altro, se si è informati degli altri esseri umani, delle altre
vite, gli altri cessano di essere astratti". Uno sforzo morale, un
tentativo di "far diventare la memoria universale parte della mia
memoria" che suona ancora più difficile in questo periodo di rinnovati
scontri in Medio Oriente. "Mi ricordo che durante la Guerra dei sei giorni
si diceva che il conflitto sarebbe finito presto. Invece siamo ancora allo
stesso punto. Sto perdendo la speranza nella pace. E i miei amici che vivono in
Israele sono più disperati di me".
Da la Repubblica, 29 ottobre 2000, per gentile concessione