la Repubblica

 Il Papa e la Shoah: gli errori della Chiesa 

Giubileo, mea culpa del Papa per gli errori della Chiesa - Per la Giornata del perdono il Pontefice chiederà scusa per l'Olocausto, l'Inquisizione, le Crociate, gli scismi - Tra gli altri "peccati" il colonialismo lo schiavismo e le ingiustizie contro le donne

CITTA' DEL VATICANO - Le guerre di religione. Gli scismi. Le persecuzioni contro gli ebrei. Il sostegno al colonialismo, alla discriminazione etnica e sessuale, la quiescenza contro le ingiustizie sociali. Per tutti questi "peccati" il Papa chiederà pubblicamente perdono domenica 12 marzo. Sarà il più grande "mea culpa" della Chiesa per i suoi errori. Il Pontefice, per una delle cerimonie più importanti del Giubileo, passerà al setaccio 2000 anni di cristianità. E chiederà scusa per gli sbagli dei suoi predecessori. Giovanni Paolo II ha voluto la "giornata del perdono e della riconciliazione" con caparbietà. Sfidando persino le resistenze di alcuni ambienti del Vaticano. E salirà sull'altare della Croce della basilica di San Pietro, accompagnato dai cardinali, per ricordare le colpe dei cristiani. Bacerà il Crocifisso e poi esorterà la Chiesa alla "purificazione della memoria", e all'impegno per "un cambiamento di vita". Il contenuto spirituale della cerimonia ha anche un suo riferimento scritto. Si tratta del documento "Memoria e riconciliazione: la Chiesa e gli errori del passato", presentato oggi in Vaticano, ma reso noto già una settimana fa a Parigi. "Scopo del testo - vi si legge - non è quello di prendere in esame casi storici particolari, ma di chiarire i presupposti che rendono fondato il pentimento relativo a colpe passate". Ma quali sono gli errori di cui la Chiesa sente di doversi pentire? Nel documento ce ne sono di sei tipi. I primi sono i peccati commessi nel cosiddetto "servizio della verità": l'intolleranza alle violenze, l'Inquisizione, le Crociate. Poi gli errori che hanno minato l'unità dei cristiani: le scomuniche, le persecuzioni religiose e i numerosi scismi di questi due millenni. L'altra grande questione è quella dell'antisemitismo. Già nel marzo del 1998 il Papa si era chiesto se la Shoah non fosse stata "facilitata dai pregiudizi antigiudaici presenti in certi settori cristiani". Il documento elenca poi i peccati contro la pace, i diritti dei popoli e il rispetto delle altre culture. Tra essi spiccano il mancato contrasto, nei secoli passati, dello schiavismo e, in tempi più recenti, del colonialismo. Il Pontefice chiederà il perdono anche per il trattamento riservato alle donne e alle altre etnie. Infine farà "mea culpa" per i peccati commessi contro la giustizia sociale: "Nel corso della storia - aveva detto il Papa già nel 1985 - uomini appartenenti a nazioni cristiane purtroppo non sempre si sono comportati ispirandosi al Buon samaritano". Del documento - redatto dalla Commissione teologica internazionale - si è parlato oggi in Vaticano. "Il corpo della Chiesa è pieno di cicatrici e di protesi, le sue orecchie sono piene del canto del gallo evocatore di rinnegamento, il suo taccuino è pieno di appuntamenti mancati per negligenza o lassitudine", ha detto il cardinale Roger Etchegaray, presidente del Comitato vaticano del Giubileo. Che però ha aggiunto: "Ma un tale passo penitenziale, per quanto pubblico non può assumere l'aspetto di una autoflagellazione spettacolare". Convinto dell'importanza del gesto anche Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede: "Il mea culpa deve servire per 'svegliare' la coscienza. La Chiesa non può assurgersi come il tribunale del presente sui peccati del passato. Deve confessare francamente e fiduciosamente i peccati presenti e passati, sapendo che il Signore comunque è più forte e rinnova la Chiesa perché sia sempre uno strumento di Dio nel mondo". Ma il "mea culpa", ha ammonito il porporato, deve avvenire nella "verità": ciò vuol dire "non negare tutto il male fatto dalla Chiesa, ma nemmeno attribuirsi peccati su cui non c'è certezza storica".

Da la Repubblica, 7 marzo 2000, per gentile concessione


Il Papa recita il mea culpa "Mai più abusi e violenze" - Il rito oggi a San Pietro, davanti alla Curia al completo e a tanti fedeli. "Chiediamo perdono e insieme perdoniamo"
 Tra gli errori citati, quelli nei rapporti con l'ebraismo ma senza menzionare le persecuzioni legate all'Olocausto


CITTA' DEL VATICANO - Un Papa affaticato ma molto determinato e partecipe, la curia quasi al completo, rappresentanti del corpo diplomatico e una folla di fedeli e religiosi, hanno vissuto oggi, nella basilica di San Pietro, uno degli eventi centrali del Giubileo del Duemila: la pubblica richiesta di perdono a Dio per gli errori commessi dalla Chiesa nel passato e nel presente - da quelli nei rapporti con l'ebraismo alla violazione dei diritti dei popoli - e l'impegno a non ripeterli più.  Sul piano concreto, la liturgia ha concesso poco alle attese di quanti si aspettavano dal Papa un gesto o parole più decise di quelle del documento teologico pubblicato dal Vaticano martedì scorso. E questo vale per tutte le colpe confessate, dai rapporti con Israele (non è mai stato citato l'Olocausto) alle ferite alla dignità delle donne e delle etnie. E non è mancato il riferimento anche alle persecuzioni subite dai seguaci di Cristo; da qui il desiderio, ribadito da Giovanni Paolo II, di perdonare, oltre che di essere perdonato. E vediamo allora quale sono state, le parole pronunciate oggi. Ha cominciato il decano del collegio cardinalizio Bernardin Gantin, ricordando i "metodi non evangelici", come colpa commessa a volte "nel servizio della verità". E il Papa ha invitato in futuro a "cercare e promuovere la verità nella dolcezza della carità". Per le colpe nei rapporti con Israele, il Pontefice si è impegnato a una "autentica fraternità con il popolo dell'alleanza". A proposito degli errori commessi contro i diritti di popoli, culture e religioni, Giovanni Paolo II ha ammesso come "molte volte i cristiani hanno sconfessato il Vangelo e cedendo alla logica della forza, hanno violato i diritti di etnie e di popoli, disprezzando le loro culture e tradizioni religiose". Ancora, il Papa ha ricordato i peccati contro la dignità della donna, invitando Dio ad aiutare a "guarire le ferite". Ha pregato anche per i minorenni vittime di abusi sessuali, i poveri, gli emarginati. La folla che gremiva la basilica ha seguito le preghiere e le risposte del Papa in un silenzio assoluto. E il Papa ha concluso il rito con cinque "mai più" per il futuro della Chiesa. "Mai più - ha detto nell'orazione conclusiva - contraddizioni alla carità nel servizio della verità, mai più gesti contro la comunione della Chiesa, mai più offese verso qualsiasi popolo, mai più ricorsi alla logica della violenza, mai più discriminazioni, esclusioni, oppressioni, disprezzo dei poveri e degli ultimi". La preghiera è stata accolta da un applauso composto, al termine del quale il Papa si è inchinato davanti al crocifisso, ha benedetto tutti i presenti e si è congedato.

Da la Repubblica, 12 marzo 2000, per gentile concessione


Il pontefice a Gerusalemme nel mausoleo del genocidio "La chiesa cattolica è profondamente addolorata"
Il Papa: "Nessuno dimentichi la tragedia dell'Olocausto" Barak: "Questo viaggio guarisce le ferite del passato"

GERUSALEMME - "Nessuno dimentichi l'Olocausto", dice Giovanni Paolo II, in visita al mausoleo dell'orrore, il mausoleo del genocidio a Gerusalemme. Rispondendo all'intervento del premier israeliano, Barak ("Israele è una nazione che ricorda, non possiamo dimenticare la Shoah, ma il viaggio del Papa guarisce le ferite del passato") il pontefice, tra la commozione generale, e dopo essersi inginocchiato davanti alla fiamma che ricorda i sei milioni di ebrei sterminati durante la seconda guerra mondiale, articola il suo lungo discorso. Non fa mea culpa, Giovanni Paolo II, come sperava Israele, ma usa parole dure, parole forti, di condanna dell'Olocausto e dell'antisemitismo, sottolineando che la Chiesa "rifiuta ogni forma di razzismo". "Sono venuto qui - dice il Papa - a Yad Vashem, per rendere omaggio ai milioni di ebrei che, privati di tutto, in particolare della loro dignità umana, furono uccisi nell'Olocausto. Più di mezzo secolo è passato, ma i ricordi permangono. Qui, come ad Auschwitz e in molti altri luoghi in Europa, siamo sopraffatti dall'eco dei lamenti strazianti di così tante persone. Uomini, donne e bambini gridano a noi dagli abissi dell'orrore che hanno conosciuto. Come possiamo non prestare attenzione al loro grido? Nessuno può dimenticare o ignorare quanto accadde. Nessuno può sminuirne la sua dimensione. Noi vogliamo ricordare!". "Vogliamo però ricordare - riprende - per uno scopo, ossia per assicurare che mai più il male prevarrà, come avvenne per milioni di vittime innocenti del nazismo. Come poté l'uomo provare un tale disprezzo per l'uomo? Perché era arrivato al punto di disprezzare Dio. Solo un'ideologia senza Dio poteva programmare e portare a termine lo sterminio di un intero popolo". "La Chiesa cattolica è profondamente addolorata dall'odio, dagli atti di persecuzione e dagli atti di antisemitismo diretti contro gli ebrei dai cristiani in ogni luogo e tempo. In questo luogo della memoria - aveva detto all'inizio del discorso - la mente, il cuore e l'anima provano un estremo bisogno di silenzio. Silenzio nel quale ricordare. Silenzio nel quale cercare di dare un senso ai ricordi che ritornano impetuosi. Silenzio perché non vi sono parole abbastanza forti per deplorare la terribile tragedia della Shoah. Io stesso ho ricordi personali di tutto ciò che avvenne quando i nazisti occuparono la Polonia durante la guerra. Ricordo i miei amici e vicini morti". Prima della visita al mausoleo dell'Olocausto, Giovanni Paolo II, stamattina, ha celebrato messa nella sala del Cenacolo che forse tornerà ai cristiani, poi ha avuto un incontro con i due rabbini-capo d'Israele e con il presidente Weizman. L'incontro con i due rabbini, carico di significati, ma criticato da una parte della comunità israeliana, è stato breve, dieci minuti, e intenso. I rabbini hanno regalato al pontefice una copia del Vecchio Testamento. "Rimangono tra noi differenze teologiche e ideologiche - ha detto Bakshi-Doron al Papa - ma ci troviamo di fronte ad una sfida comune: quella della globalizzazione e della tecnologizzazione". Sempre stamattina, nella sala del Cenacolo, il luogo dove si svolse l'Ultima Cena, Giovanni Paolo II è apparso stanco ed emozionato. Ha celebrato la messa con 12 vescovi, rappresentanti dei 6 riti cattolici orientali. "E'con profonda emozione che ascoltiamo ancora una volta le parole pronunciate qui, nella Sala Superiore, duemila anni fa. Da allora, sono state ripetute, generazione dopo generazione, da quanti condividono il sacerdozio di Cristo mediante il sacramento dell'Ordine", ha detto. Il Cenacolo è stato requisito nel '67 dagli israeliani ad una famiglia araba: fino al 1550, prima di essere trasformato in moschea dagli ottomani, era però di proprietà dei Francescani della Custodia di Terra Santa. Ora potrebbe ritornare di proprietà cattolica ed essere trasformato in un santuario.


Il paese dei balocchi

di Gad Lerner

Più che le parole, di fronte alla catastrofe - e Shoah in ebraico vuol dire catastrofe - contano i gesti. E allora è davvero una storica riconciliazione tra cristiani ed ebrei quella che si comincia a intravedere tra le lacrime a Yad Vashem, il santuario laico della memoria dove papa Karol Wojtyla ha reso omaggio ai sei milioni di vittime del genocidio nazista. Per un momento Karol Wojtyla è ritornato giovane ragazzo polacco accanto ai pochi ebrei sopravvissuti del suo villaggio. Poi, di nuovo capo della Chiesa, ha reso omaggio al popolo ebraico sterminato nel nome di un'ideologia pagana, ma odiato e perseguitato pure da troppi figli della sua Chiesa. Il volto del Papa era impietrito dall'emozione di fronte alla fiamma eterna, col fumo che saliva verso un camino, come nei forni crematori. Non c'era luogo più solenne e appropriato per inviare il suo appello a un nuovo rapporto fra cristiani ed ebrei. Questi ultimi forse non apprezzeranno la reciprocità con cui li ha invitati ad abbandonare ogni sentimento anti-cristiano nel mentre i cristiani abbandonano ogni sentimento antiebraico. Nei trascorsi duemila anni non vi fu conflitto reciproco, bensì persecuzione unilaterale. Ma questi sono solo dettagli di fronte allo storico evento che si consumava a Gerusalemme. Così il premier israeliano Barak ha potuto ringraziarlo citando le stesse parole del Papa sul legame eterno fra il popolo di Israele e la città santa di Gerusalemme. Lo Stato di Israele, ha ricordato Barak, è la risposta definitiva e permanente ad Auschwitz. Il Papa in pellegrinaggio non solo sui luoghi santi alla cristianità, ma nel mausoleo della memoria degli orrori del secolo scorso, rappresenta probabilmente il momento più significativo e toccante del suo viaggio in cerca di un dialogo proiettato verso il futuro.

Da la Repubblica, 23 marzo 2000, per gentile concessione


Il Papa sul Calvario in visita fuori programma
Il Pontefice, prima della partenza, torna al Santo Sepolcro, al Muro del Pianto aveva chiesto il perdono divino. "Lo spirito ci darà la forza per superare le divisioni". Il rientro a Roma. All'aeroporto, a riceverlo, Massimo D'Alema

GERUSALEMME - Il Papa è rientrato in Italia dalla Terrasanta. Ad accoglierlo, all'aeroporto di Fiumicino, il presidente del Consiglio, Massimo D'Alema e il cardinale vicario di Roma, Camillo Ruini. Un ritorno, dunque, sottolineato ai massimi livelli anche dall'autorità civile, per un viaggio pieno di significati e di segnali. Uno dei più importanti, di certo, fra i molti compiuti da Giovanni Paolo II. E anche l'ultimo giorno in Terrasanta, ha avuto momenti di particolare importanza. Come l'eccezionale fuori programma sul monte Calvario. Il Pontefice, infatti, nel pomeriggio è voluto tornare nella Basilica del Santo Sepolcro, tappa cruciale della sua visita nei luoghi della vita di Gesù Cristo. E ha fatto quello che stamattina non era riuscito a fare: salire al Calvario, percorrendo i gradoni di pietra levigati dal tempo che portano alla Cappella. Per raccogliersi ancora una volta in preghiera. La seconda visita è stata raccontata con commozione da padre Luis Terrato, superiore della basilica. "Stavamo giusto finendo di recitare i vespri - ha raccontato il francescano - poco prima delle 16, in attesa di cominciare la nostra processione quotidiana nella cappella del Santo Sepolcro, quando alcuni uomini della vigilanza sono venuti a dirci: 'presto, fate presto che sta arrivando il Papa'. Hanno letteralmente buttato fuori i turisti e alle 16.30 è arrivato il Papa. Cosa posso dire? Non riesco a crederci. Il Papa stamani era andato via con il desiderio di salire al Calvario. Se ne era andato guardando lassù, sovrapensiero. Ma mai avremmo creduto che sarebbe tornato". Il Papa era già stato al Santo Sepolcro in mattinata. Giovanni Paolo II si era raccolto in preghiera, con le due mani sulla pietra che ospitò il corpo di Cristo, nella grotta del sepolcro. C'era arrivato percorrendo a piedi l'ultimissimo tratto della via Dolorosa, come un qualunque pellegrino aveva prima baciato e sfiorato con la mano la pietra dell'Unzione e alla fine si era inginocchiato per baciare due volte la pietra sepolcrale. Durante la messa, Giovanni Paolo II ha rinnovato l'esortazione all'unità della Chiesa. "Qui presso il Santo sepolcro e il Golgota, mentre rinnoviamo la nostra professione di fede, possiamo forse dubitare che nella potenza della spirito della vita ci verrà data la forza per superare le nostre divisioni e operare insieme al fine di ricostruire un futuro di riconciliazione, di unità e di pace?". L'ultimo giorno del viaggio del Papa in Terra Santa è segnato dalle visite ai luoghi tra i più sacri alle tre religioni. Prima del Santo sepolcro, il Papa ha pregato davanti al Muro del Pianto e ha collocato tra le antiche pietre la sua "fituch", il foglio che nella tradizione ebraica contiene preghiere, richieste fatte a Dio, meditazioni personali. Il foglio, che contiene la parola "forgiveness", perdono, e porta lo stemma del Vaticano e la firma del Papa, verrà esposto al memoriale di Yad Vashem. Quindi Giovanni Paolo II è salito alla spianata delle moschee di Al Aqsa e della Roccia, sul monte del Tempio, accolto dal Mufti di Gerusalemme Ikrama Sabri. "Haram al-Sharif (il nome arabo della spianata delle moschee, ndr) è collegato con la memoria di Abramo che per tutti i credenti è un modello di fede a Dio altissimo", ha detto il Papa. Quindi, rispondendo indirettamente alle polemiche sorte con il Mufti di Gerusalemme, ha aggiunto: "Gerusalemme è sempre stata venerata dagli ebrei, dai cristiani e dei musulmani. Gerusalemme è la città santa per eccellenza". E attraverso il suo rappresentante a Gerusalemme Est Faisal Husseini, l'Autorità nazionale palestinese si è dissociata dalle recenti dichiarazioni del mufti di Gerusalemme sulla Shoah. "Su una simile questione", ha detto Husseini, "non si tratta di cifre: in quegli anni è accaduto in Europa qualche cosa di orribile, di tremendo, che noi tutti condanniamo senza riserve". Secondo il mufti la cifra di sei milioni di ebrei uccisi nell'Olocausto è superiore alla realtà e viene strumentalizzata da Israele e dalle comunità ebraiche nel mondo. In serata il Papa, in elicottero, ha raggiunto l'aeroporto di Tel Aviv da cui è ripartito per Roma con un aereo della El-Al.

Da la Repubblica, 26 marzo 2000, per gentile concessione

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