la Repubblica

"Riesumate la salma del Duce"

La richiesta presentata da Guido alla procura di Corno. "Sono disposto ad arrivare alla Corte di giustizia dell'Aja" - Un nipote di Mussolini: voglio la verità sulla sua morte – “Chiedo a Prodi di dirmi, a nome dello Stato italiano, chi l’ha ucciso e perché”

dal nostro inviato Roberto Bianchin

 

Como - Per sapere la verità su gli «assassini» del nonno, ha chiesto alla Procura di Corno di riesumare la salma di Benito Mussolini che dal 1957 riposa nella tomba di famiglia del cimitero di Predappio. Se non lo ascolteranno, Guido Mussolini, figlio di Vittorio e nipote del Duce, andrà a bussare anche alla porta dei giudici di Milano e Roma. Non bastasse ancora, chiederà l'intervento del tribunale europeo: «Se l'Italia non farà nulla, mi rivolgerò alla Corte di giustizia dell'Aja. Perché è assolutamente ridicolo che a distanza di sessant'anni non si sappia ancora come è stato ucciso, e fioriscano le ricostruzioni più varie. Adesso basta. Chiedo al presidente del Consiglio Romano Prodi di dirmi, a nome dello Stato italiano, chi l'ha ucciso, come, quando e perché». È una richiesta che divide la famiglia e fa sobbalzare gli storici. «Pazzesca», la giudica Arrigo Petacco. «Non servirebbe a nulla  -commenta Nicola Tranfaglia - mi pare quasi impossibile che a più di mezzo secolo di distanza si possano avere risposte rilevanti dalla riesumazione». «E poi l'autopsia a suo tempo fu fatta» aggiunge Angelo Fiori, docente alla Cattolica di Roma. Ma Guido Mussolini, 69 anni, sposato con quattro figli, impiegato in una fabbrica di formaggi in provincia di Roma, non demorde. Ha costituito un comitato di una decina di storici e avvocati, per far luce sulla morte del celebre nonno, e sulle «porcate» di quei «maledetti partigiani». «Non cerco niente, né vendette, né soldi né altro - spiega - voglio solo che qualcuno mi dica il nome e il cognome di chi l'ha ucciso in un modo così ignobile! quando invece avrebbe dovuto essere consegnato agli americani e basta». «La mia - aggiunge – non è una battaglia politica. È solo la richiesta di un nipote che vuole sapere chi gli ha assassinato il nonno. E non mi interessa se sono scaduti i termini. Per la verità non c' è prescrizione». E ad Alessandra Mussolini, che dissente dalla sua iniziativa, manda a dire: «Ma che stia zitta e pensi ai fatti suoi! Le avevamo chiesto di partecipare al comitato, ma lei ha rifiutato, perché fa politica. E allora, che si occupi di politica». Nelle cinquanta pagine dell'esposto presentato alla Procura di Corno, per competenza territoriale, dai legali di Guido Mussolini, Luciano Randazzo e Carlo Morganti, il nipote del Duce chiede «la ricostruzione dei fatti accaduti a Dongo nell'aprile del 1945 secondo le attuali fonti storiche», la verifica della «normativa vigente e applicabile al momento del fatto oggetto della presente indagine», e chiarimenti sulla «esecuzione del provvedimento di condanna a morte nei confronti di Benito Mussolini e di altri gerarchi», nonché sulle indagini successive. Le circostanze dell'arresto di Mussolini, vestito con un'uniforme tedesca, e della sua compagna Claretta Petacci, avvenuto il 26 aprile 1945 a Dongo sul lago di Como da parte di un gruppo di partigiani della 52° brigata Garibaldi, non furono infatti mai del tutto chiarite. Così come le modalità e gli autori della loro fucilazione, due giorni più tardi, prima che i loro corpi venissero portati a Milano, insieme a quelli di altri cinque gerarchi fascisti, ed esposti, appesi a testa in giù, alla rabbia della folla in piazzale Loreto. «La storiografia ha proposto 19 versioni diverse, ora è necessario fare quello che non è mai stato fatto - spiegano gli avvocati di Guido Mussolini - e cioè stabilire, con certezza giuridica, la verità». Secondo i due legali, che si dicono in attesa di «documenti inediti», dagli Usa, sarebbe «un falso storico» la sentenza di condanna del Duce da parte del Comitato di liberazione nazionale, perché «i partigiani non avevano alcun mandato istituzionale per poter emettere un simile verdetto».

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Quell’inutile richiesta

Nicola Caracciolo

 

Guido, figlio di Vittorio Mussolini, nipote quindi del duce, ha chiesto di riesumarne il corpo per fargli l'autopsia e chiarire così le cause della sua morte. È una domanda che mi riesce incomprensibile. Intorno alla fine di Benito Mussolini ci sono molti inquietanti interrogativi, ma nessuna certezza. Comunque non vedo in che modo un'autopsia possa chiarire le cose. Di certo c'è il fatto che il duce è stato fucilato, insieme alla sua amante Claretta Petacci che con coraggiosa generosità scelse, al momento del crollo della Repubblica di Salò, di non lasciarlo solo di fronte al suo destino. Appesi per i piedi insieme ad altri gerarchi fascisti, furono esposti a piazzale Loreto agli insulti e agli sberleffi della folla. Un finale inutilmente raccapricciante e truculento. «Bassa macelleria» lo definì Ferruccio Parri. Sono cose note e stranote. Un partigiano comunista, Walter Audisio (nome di battaglia “Colonnello Valerio”), prese su di sé ogni responsabilità  in una serie di articoli pubblicati subito dopo i fatti dall'Unità.  Era una confessione sincera? I dubbi rimasero. Si fecero altri nomi al posto di Audisio. Quelli di Luigi Longo, di Negarville per esempio. Si parlò anche della possibilità che i servizi segreti inglesi fossero ansiosi di tappare la bocca al duce e di far sparire le prove di un suo carteggio con Churchill. Intendiamoci, dubbi molti, ma certezze nessuna. Una qualche tendenza al doppio gioco fa parte  comunque del "modus operandi" di Mussolini. Lavoro in televisione da molti anni ed ho collaborato a lungo con uno storico del calibro di Rerizo De Felice. Riteneva possibile  - forse addirittura probabile - l'esistenza di una corrispondenza tra Churchill e Mussolini. Ma non trovò mai la «pistola fumante», la prova certa del fatto. lo stesso ho cercato documenti in proposito. Intervistai, una ventina  d’anni fa, Vittorio Mussolini che mi confermò che suo padre teneva regolarmente un diario da quando era diventato nel '22 primo ministro. Fu dato in consegna a un prete svizzero al quale fu trafugato. Anche Vittorio Emanuele III teneva un diario del quale si sono perse le tracce. In casa Savoia mi fu detto che il re volle che venisse, dopo la sua morte lasciato alla figlia alla quale si sentiva più legato: Iolanda Calvi di Bergolo. Lei lo ricevette, lo lesse, ci trovò cose che riteneva meglio non fossero rese pubbliche e lo bruciò. In Vaticano mi rivolsi a monsignor - allora non ancora cardinale - Silvestrini. Mi disse che dopo l'8 settembre del '43 Pio XII, temendo un colpo di mano nazista sul Vaticano, aveva preso l'abitudine di far bruciare tutti i documenti che potessero essere compromettenti. Anche in questo caso testimonianze preziose sono state fatte sparire. Ecco - concludo - è lecito supporre che si sia voluto tener nascosto qualche grande segreto. Ripeto: il dubbio non la certezza. Comunque non vedo a cosa possa, servire un'autopsia non farà altro che confermare che sullo scheletro di Mussolini ci sono tracce di colpi d'arma da fuoco. Il mistero è un altro. Approfitto dell'ospitalità di "Repubblica" per una pubblica scusa: un mio programma, "Mussolini tra pace e guerra", avrebbe dovuto uscire lunedì 4 settembre in prima serata su Rai 3. A poche ore dalla messa in onda è stato sostituito - benché già annunciato e recensito da molti giornali - con la cronaca della partita Juventus-Roma. È  una decisione che non condivido. Se fossi stato consultato in anticipo mi sarei opposto. Resta l'amarezza nel vedere una così scarsa considerazione per un programma di storia.

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L’intervista – "Ma finché ci sto io mio nonno non si tocca"

Parla Alessandra Mussolini: se si vuole scrivere la storia bisogna farlo con i  documenti

 

Roma - Ha un diavolo per capello, Alessandra Mussolini. La richiesta di riesumare la salma del Duce, proprio non le va giù. «Mio nonno - tuona - va lasciato in pace».

Perché così contraria?

«Perché se si vuole riscrivere un periodo storico, anche drammatico, si deve tarlo con serenità, attraverso i documenti, per esempio quelli segreti del Vaticano, e attraverso le testimonianze, magari quelle che a suo tempo furono ignorate. Non è giusto tarlo su un corpo che è già stato tanto martoriato, e che fu consegnato a mia nonna Rachele, quelle misere spoglie che erano rimaste, in una piccola cassa di legno».

Ma lei ci aveva mai pensato?

«Nel modo più assoluto. Né io né la mia famiglia. Oltretutto, per decidere una cosa del genere, sarebbe stato necessario un consiglio di famiglia, e che fosse unanime. Invece non c'è mai stato, e non può bastare la decisione di un singolo».

Ma non potrebbe servire a chiarire la storia?

«Non credo che servirebbe a nulla, la storia va lasciata agli storici. Vede, io non ho potuto far nulla contro la cremazione di mio padre Romano, ma farò un macello, e mi opporrò con tutte le mie forze a questa richiesta. Finché ci sarò io, mio nonno non si tocca. E poi, a parte i rischi che sparisca il corpo, c’è una cosa, nella cripta, che non dev'essere rivelata».

Cos'è?

«Un biglietto di donna Rachele, scritto a mano, per il nonno. È giusto che rimanga lì».

la Repubblica, 5 settembre 2006

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