la Repubblica
Il codice nell'orlo delle gonne così i nazisti spiavano Londra
Modelli da sartoria e una giovane lady tra le armi segrete di Hitler
Svelati i trucchi dell’intelligence tedesca nell'ultima guerra. Una baronessa polacca informava Berlino – Lo stratagemma contenuto in documenti riservati resi pubblici per la prima volta – La cattura di due agenti nazisti, nel ’42, permise ai britannici di decifrare il codice
dal nostro corrispondente Enrico Franceschini
Londra - Punto, linea, punto, linea, punto, linea, linea, punto. Non ci vuole molto a riconoscere l’alfabeto Morse, il codice con cui si trasmettevano i messaggi con il telegrafo e il linguaggio d'ordinanza delle comunicazioni radiofoniche navali. Ma è decisamente più difficile riconoscerlo se punti e linee sono tratteggiati lungo i contorni di modellini di abiti femminili, da ritagliare su giornali di moda. Era questo uno dei sistemi ideati dalle spie naziste in Gran Bretagna per inviare con la posta normale dei messaggi in codice ai loro complici nel Terzo Reich: un'idea ingegnosa, che il servizio segreto britannico scoprì solo grazie all'arresto di due agenti tedeschi e che soltanto oggi, a oltre sessant'anni di distanza, il Regno Unito si è deciso a rivelare. Lo stratagemma fa parte di una serie di documenti riservati che gli Archivi Nazionali di Stato hanno reso pubblici per la prima volta: ci sono, oltre al trucco dell'alfabeto Morse nascosto nelle figurine di tailleur, gonne e stivali svariate curiosità sullo spionaggio del tempo di guerra, inclusa la storia di una «Mata Hari» britannica, che andava a letto con gli uomini più potenti della Londra 1940 e poi spifferava le loro confidenze d'alcova a Hitler. Si chiamava Malwina Gertler, era una rifugiata polacca arrivata in Gran Bretagna nel 1935, all'età di 27 anni. La sua bellezza fece colpo, sposò un aristocratico inglese, lord Howard di Effingham, assumendo il titolo di lady Howard, Non gli fu, tuttavia molto fedele. Allo scoppio della seconda guerra mondiale lady Howard ebbe stretti contatti con gli ambasciatori di Russia, Turchia ed Egitto, ed era intima amica del futuro ministro degli Esteri britannico Anthony Eden. Se la faceva con tutti, ma non per piacere: il suo vero amore era Edward Weisblatt, un trafficante d'armi sospettato di lavorare sia per la Gestapo che per Stalin. E proprio a Weisblatt, secondo i rapporti riservati dell'MI5, il controspionaggio britannico, la «Mata Hari» di origine polacca riferiva le notizie apprese dai suoi corteggiatori ed amanti, che prontamente il suo uomo trasmetteva in Germania. Ma non durò molto: lady Howard fu scoperta e arrestata nel 1941. Sembra quasi di vedere un vecchio film in bianco e nero, con Humprey Bogart, Ingrid Bergman e ombre minacciose dietro ogni angolo. Quanto al codice Morse tratteggiato nei vestitini, col senno di poi può far sorridere, come un sistema infantile ed ingenuo. Eppure funzionò, almeno per un po'. «Pesanti rinforzi del nemico sono attesi di ora in ora», diceva un messaggio celato nei punti e nelle linee di un abito. «Quattordici fortezze volanti arrivate ieri a Londra, ci si aspetta che i piloti bombardino Kiel (in Germania, ndr)», diceva un altro, simulato in una gonna. La cattura di due agenti nazisti, nel 1942, permise al controspionaggio britannico di decifrare il codice e da allora le figurine non ebbero più segreti per Churchill. Ma le spie di Hitler ricorsero anche ad altri sistemi, nascondendo messaggi nell’inchiostro invisibile, negli spartiti musicali, nelle descrizioni di partite a scacchi, perfino in cartoline per innamorati, che venivano spezzate per inserire nell'intercapedine dei minuscoli rotolini di carta col messaggio cifrato e poi di nuovo incollate. Tutto veniva poi impostato e spedito a paesi neutrali con la posta normale: stava al censore militare scoprire, in quelle lettere apparentemente innocenti, messaggi segreti che potevano influire sulle sorti della guerra. Una cosa gli Archivi Nazionali non dicono, ma si capisce lo stesso dalla mole del materiale reso noto: di spie naziste, nella Londra 1940-’45, dovevano essercene molte di più di quanto si sapeva finora. «Mata Hari», evidentemente, non era sola.
la
Repubblica,
5 settembre
2006