la Repubblica

Ebrei, non solo Shoah - Una giornata per scoprirlo

"Siamo un popolo che fa di cultura e conoscenza un valore"

Davide Romano

«Voi ebrei ci avete stufato, sempre a parlare di Olocausto» ci disse un paio d’anni fa un signore sulla sessantina, molto distinto. Ero a cena di beneficenza, insieme ad un amico israeliano. Non appena questo signore sentì che il mio amico era israeliano, scattò il suo sfogo. Tra gente venuta per “dare”, non mi sarei mai aspettato di “ricevere” frasi così. Al di là del tono aggressivo però, un fondo di verità questo signore l’aveva. Certo sbagliava sulla necessità di ricordare il genocidio ebraico, visto che ancora oggi c'è chi lo nega o lo mette in discussione. La Shoah è un avvenimento di cui bisogna serbare memoria perla sua unicità e per rispetto verso le vittime e i superstiti, oltre che per non dimenticare a quali livelli di ferocia l'uomo può arrivare. Ma guai alle lezioni imparate a memoria. Bisogna trasmettere non "solo" il concetto che gli ebrei non vanno perseguitati, ma che bisogna conoscere le diversità per evitare di averne paura. I mass media sanno che lo sterminio di 6 milioni di ebrei attira l'attenzione del pubblico. Questo fa sì che ai rappresentanti della comunità ebraica sia data la parola soprattutto in occasione di ricorrenze legate alla Shoah. Così facendo però, involontariamente, la gente ha l'impressione che gli ebrei parlino solo di Shoah. Ma le cose non stanno così, anzi. Le stesse istituzioni ebraiche sono sempre più desiderose di non cadere in questa “trappola” mediatica. Ed è anche da queste riflessioni che nasce la Giornata della cultura ebraica. Un'iniziativa lanciata sette anni fa, e che sta riscuotendo un successo sempre maggiore. L'obiettivo è offrire al pubblico l'opportunità di venire a contatto con la cultura ebraica, che consiste nella conoscenza della Bibbia e degli illuminanti commenti rabbinici, così come è anche insieme ortodossia e eterodossia nell'interpretazione degli stessi. Ma oltre alla religione c'è anche l'identità laica di un popolo che fa di cultura e conoscenza un valore fondante. Una comunità che ha dimostrato di saper cambiare il modo di pensare del mondo: da Freud ad Einstein, passando per Marx e Milton Friedman. Il programma completo della Giornata della cultura ebraica di Milano è sul sito www.mosaico-cem.it.

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Ebrei - Via Unione l’ostello dei salvati che sognavano la Terra promessa

La comunità milanese rievoca domenica una pagina della sua storia - Paola Sereni: “Qui venivano accolti gli scampati dai lager” – La mensa “Si arrivò a servire mille pasti caldi al giorno” – La partenza “Salpavano dalla Spezia sfidando le navi inglesi”

Stefano Rossi

 

La giornata europea della cultura ebraica è stata istituita dal Consiglio europeo delle comunità ebraiche, da B nai B' rith Europe, la più grande organizzazione ebraica di diritti umani, rappresentata al Parlamento europeo e da Red de Jude­rias de España, che tutela il retaggio sefardita. Lo scopo è aprire a tutti i luoghi della cultura e del popolo ebraico. Quella di dopodomani e la settima edizione e vi partecipano trenta Paesi (nel 2000 erano la metà), inclusi Bosnia, Croazia, Germania, Romania, Russia, Serbia, Turchia e Ucraina. In Italia aderiscono oltre 50 città. La data (la prima domenica di settembre, per non interferire con il calendario delle feste religiose) e il tema sono comuni a tutti. Quest'anno tocca alla strada, come itinerario fisico e spirituale. A Milano viene rievocato un cammino particolare, quello del ritorno dai campi di concentramento. È l'epopea di via Unione, come la definì lo scrittore e diplomatico italo-israeliano Sergio Minerbi. A raccontarla è Paola Sereni che ha studiato il breve ma intenso periodo di via Unione, che va dalla fine della seconda guerra mondiale alla costituzione dello Stato di Israele, nel 1948. Sarà lei a moderare la tavola rotonda dopodomani alle 17, alla sinagoga di via della Guastalla.

Signora Sereni, cosa si intende per "via Unione"?

«Nell'aprile del 1945 Milano era liberata ma distrutta. Quasi subito, il 29 aprile, Riccardo Lombardi, che era stato designato prefetto dal Comitato di liberazione nazionale Alta Italia, nominò Raffaele Cantoni commissario straordinario della comunità israelitica. Questi un personaggio straordinario (partigiano, fuggì avventurosamente dal treno che lo portava ad Auschwitz e fu poi presidente dell'Unione delle comunità israelitiche italiane, ndr) ottenne come sede provvisoria della comunità il Palazzo Odescalchi in via Unione».

La sinagoga di via Guastalla era bombardata e inagibile.

«Nemmeno palazzo Odescalchi era rimasto indenne, però al primo piano c'era un ampio salone intatto, che fu destinato a sinagoga e sala riunioni. Furono installati gli uffici, la mensa, un ambulatorio. Si decise che quello sarebbe stato il centro di accoglienza dei profughi provenienti dai campi di concentramento».

Quando iniziò il ritorno?

«All'inizio il viaggio era lungo e tortuoso, come racconta bene Primo Levi. Qualcuno, liberato già da gennaio, arrivò lo stesso in aprile. La guerra finì l'8 maggio del 1945, fu soprattutto da giugno che l'afflusso crebbe moltissimo. Gli Alleati tenevano gli ex prigionieri in campi di raccolta in Germania e Austria dove la vita era molto dura. In via Unione arrivavano dunque persone sbandate, derelitte e sole, che ricevevano cure mediche, vitto, alloggio, vestiti e conforto dopo tante sofferenze».

Di che nazionalità erano?

«Gli italiani per lo più non passavano da qui, andavano direttamente a casa o a quel che ne restava. Gli ospiti erano originari dell'Europa dell'Est occupata dai tedeschi. Molti erano polacchi».

Si fermavano in Italia?

«Qualcuno sì, come Aron Tenembaum che domenica racconterà la sua esperienza. In realtà si organizzava, e ne parleranno Gualtiero Morpurgo e Mario Pavia che vi collaboravano, l'Alia Beth, la "salita" o "emigrazione" verso Israele. Ma si deve dire la Palestina sotto protettorato inglese, perché Israele ancora non esisteva e l'ingresso era proibito. Le navi comperate con il sostegno delle comunità salpavano da La Spezia. L'Italia chiudeva un occhio ma se si veniva intercettati dalla Marina inglese si finiva nei campi di raccolta di Cipro. Campi inglesi, proprio così».

Quanti ne passarono da via Unione? .

«Molte migliaia. Si arrivò a servire fino a mille pasti al giorno, la gente si coricava dappertutto perché il dormitorio non bastava più. Dal '45 al '48 ci furono 69 viaggi clandestini e almeno 34 partirono da La Spezia. Quando nacque Israele, l'epopea di via Unione finì».

la Repubblica, 1 settembre 2006

 

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