la Repubblica
AUSCHWITZ 50 DOPO
Silenzio colpevole. I vescovi tedeschi e l'ombra di Auschwitz. Il Vaticano sotto accusa. La conferenza episcopale afferma: «Durante il nazismo ci fu nella Chiesa un atteggiamento antisemita»
di Andrea Tarquini
Bonn. La Chiesa cattolica si rese corresponsabile
dell’antisemitismo nei dodici anni del Terzo Reich, con il suo silenzio, con
una prevalente indifferenza, perfino con l’adesione di non pochi credenti
all’ideologia nazionalsocialista, fu colpevole di mancata resistenza
allo sterminio degli ebrei. Ē quanto afferma la conferenza episcopale
tedesca nella dichiarazione resa pubblica ieri per l'imminente cinquantesimo
anniversario della liberazione di Auschwitz. Un nobile documento che costituisce
un gesto senza precedenti nella storia dei cattolicesimo contemporaneo: per la
prima volta viene posta in modo così autorevole, dall'interno della stessa
chiesa cattolica la pesante, spinosa questione del
silenzio del Vaticano di Pio XII davanti all'Olocausto. L’autocritica dei vescovi
tedeschi, in sintonia con la scelta europeista e democratica
dell’establishment di Bonn, è un passo che va oltre ogni precedente presa di
posizione ecclesiastica sul doloroso tema e secondo ogni indicazione vuole
incoraggiare la Santa Sede a rompere infine il silenzio su quel nodo.
“Auschwitz è il simbolo dell’annientamento dell’ebraismo europeo”,
sottolinea il documento, in una implicita ma netta sconfessione della contestata
scelta delle autorità polacche di dare alle imminenti cerimonie commemorative
del cinquantenario un’impronta soprattutto cattolico-nazionale. Sconfessa poi quelli che fin
dall’involuzione autoritaria di Guglielmo II furono i luoghi comuni sugli
ebrei sanguisughe della prosperità tedesca: “Gli ebrei hanno fornito un
contributo decisivo allo sviluppo della scienza e della cultura tedesca”.
Viene subito dopo il passo decisivo, il grande mea culpa: “Ciò nonostante, un
atteggiamento antisemita restò vivo anche in ambienti della Chiesa”. Ciò,
notano ancora i vescovi tedeschi, “ha avuto come conseguenza il fatto che
negli anni del Terzo Reich i cristiani non hanno opposto la doverosa resistenza
contro l’antisemitismo razzista. Tra cattolici ci furono molte mancanze al
dovere e molta colpa. Non pochi di loro – incalza la dichiarazione – si
lasciarono sedurre dall’ideologia nazional socialista, e restarono
indifferenti ai crimini contro la proprietà e la vita degli ebrei”. Secondo i vescovi tedeschi, dunque, ribellarsi alla tirannide
razzista è giusto, e colpevoli furono i cattolici che non lo fecero. La
dichiarazione nota che tra i fedeli non ci furono soltanto gli indifferenti:
“Altri fornirono aiuto al crimine, o divennero essi stessi criminali; ignoto
è il numero di quanti. vedendo scomparire i loro vicini ebrei, erano inorriditi
ma non trovarono in se stessi il coraggio per protestare; i pochi che aiutarono
gli ebrei a rischio della loro stessa vita furono spesso lasciati soli”.
Da la Repubblica, 21 gennaio 1995, per gentile concessione
L'urlo di Auschwitz. «La memoria è libertà»
Olocausto 50 anni dopo. Commozione, rabbia, ricordi e qualche polemica sotto il cielo del lager nazista
di Leonardo Coen
AUSCHWITZ - Sui famigerati blocchi del campo di sterminio di
Birkenau, sulle macerie dei forni crematori, delle sei camere a gas, sui prati
in disgelo che nascondono le ceneri di un milione e duecentomila vittime, soffia
forte un vento stranamente tiepido e sembra che voglia portar via con sé tutti
i ricordi e le lacrime e anche quel disperato bisogno di urlare al mondo “ma
Dio, Dio dov'era?”. L'una è passata da qualche minuto, alla tv polacca il
cardinale di Coblenza Karl Lehman ha appena chiesto perdono «per tutte le
vittime dei lager nazisti», all'Università Jagellonica di Cracovia, la più
antica di Polonia, la più nobile, la più cristiana, Lech Walesa (e c'era pure
il primate polacco Jozef Glemp) ha dovuto inghiottire il boccone amaro di vedere
la poltrona che doveva essere occupata da Elie Wiesel vuota, polemicamente
vuota, il premio Nobel per la pace non c'è stato al rispetto di un programma
ufficiale dal sapore nazionalista, asettico e fazioso, a macerare la rabbia e il
disappunto davanti alle toghe dei professori... Lo sanno tutti, dov'è Elie Wiesel, dove non potrebbe non
essere: è insieme ai suoi fratelli giudei, a sessanta chilometri da Cracovia,
dietro i fili spinati elettrificati che continuano simbolicamente a cingere,
oggi come allora, Birkenau (o Auschwitz 2), a celebrare con lo strazio nella
voce i cinquant'anni di una liberazione che non è mai finita. Lì c'era il
camino che spargeva le ceneri, lì il papa si abbassò a baciare la terra e a
gridare «Pace! Solo Pace!», lì si stringono i sopravvissuti che hanno potuto
ritrovarsi per questa mesta celebrazione, si chiamano, si incontrano. «Quando
arrivasti? Quando sei uscito?», a loro basta un cenno, lo sguardo indica il
polso, «Ce l'hai ancora?-, certo che sì, il numero tatuato è il più atroce
degli emblemi, quello non lo devi cancellare, quello è la vergogna dell' uomo;
Helmuth Szprycer solleva la manica della giacca e anche della camicia, leggi
170835, senti i brividi addosso rigarti la schiena, Helmuth era uno dei 183
bambini rimasti ad Auschwitz quando i russi arrivarono, appoggia una corona di
fiori davanti ai monumento per le vittime. «Ma la memoria è necessaria! Questo è un cimitero senza
tombe, noi camminiamo sulle ossa e qualcuno tenta persino di negarlo», denuncia
Maurice Goldstein, il presidente degli ex deportati di Auschwitz: «La memoria
di quel che è avvenuto ad Auschwitz non è soltanto un valore del passato, è
soprattutto un valore per il presente, perché ci sono nel mondo intolleranze,
odii razziali, pulizie etniche, e più di ogni cosa deve preoccupare che ci
siano dei giovani e che questi giovani aderiscano al neonazismo, e dicano che
l'olocausto non c'è stato». Non si può, non si deve dimenticare, insiste
Sheva Weiss, presidente della Knesset israeliana, il parlamento di Gerusalemme,
la polemica incalza, prende la parola Jean Kahn, il presidente del Congresso
ebraico europeo, rincara la dose: «Dobbiamo evitare che vincano l'indifferenza,
la falsificazione, che si ripetano i tentativi di banalizzare la Storia, di dire
- lo fecero i regimi comunisti - che qui morirono tutti, indifferentemente, non
solo ebrei, anzi, primi di tutti i polacchi, poi i russi, gli altri e
quindi anche gli ebrei, né più né meno, dimenticando che contro gli ebrei
l'Olocausto fu organizzato e pianificato. Bisogna vigilare perché non avvenga
quel che aveva in mente una parte del clero, quando fu costruito il convento
delle Carmelitane per cristianizzare la shoah…», le
parole, amare e taglienti, ripugnano negli animi di queste mille persone strette
come impaurite
dal fantasmi del passato.
Kohl al Bundestag: «Non dimenticheremo». Per il cancelliere «la crudeltà criminale dei nazisti non ha eguali»
di A. T. (Andrea Tranquini)
BONN (a.t.) Auschwitz fu la pagina più buia e orrenda nella storia della Germania, e un crimine senza pari attraverso i millenni di vita dell'umanità: i tedeschi non dovranno mai dimenticare il monito che viene loro da quel luogo, simbolo della volontà criminale di annientare l’uomo europeo. Con queste dure parole, rivolte anche contro ogni tentazione della nuova destra di rileggere la storia e rilanciare esaltazioni nazionaliste, Il cancelliere Helmut Kohl ha porto ieri a nome della democrazia tedesca Il suo solenne omaggio alle vittime dell'Olocausto nel cinquantesimo anniversario della liberazione del più famigerato dei campi di sterminio nazisti. «Auschwitz - ha detto - è il simbolo della follia razzista dei nazisti e del genocidio degli ebrei, che per la sua fredda pianificazione e la crudeltà criminale con cui fu messo In pratica resta senza paragoni possibili nella storia». Una netta distanza quindi dai neonazionalisti che minimizzano o relativizzano l'Olocausto accostandolo alla repressione staliniana o ad altri totalitarismi. Il Bundestag ha commemorato la liberazione di Auschwitz con una solenne cerimonia «Chi nega o minimizza l'Olocausto se ne rende complice», ha detto la presidente del Parlamento Rita Suessmuth. E ha aggiunto «Le giovani generazioni non possono e non devono dimenticare quel monito. Così come dovranno sempre ricordare che la liberazione di Auschwitz accelerò la liberazione della barbarie nazionalsocialista e la liberazione della Germania come dell'umanità intera. I tedeschi ebbero allora delle democrazie vincitrici la chance di costruire una società democratica: non dobbiamo mai metterla in pericolo». Il ministro degli Esteri Kinkel ha definito dovere della Germania e dei tedeschi far sì «che mai più l'antisemitismo, la xenofobia e l'odio razziale risorgano nel nostro paese, né mai più tornino minacciosi in alcuna parte dei mondo».
«Amiamo il popolo ebraico».
Il cardinal Martini condanna gli orrori del passato e chiede
impegno contro l’antisemitismo
di Marco Politi
CITTÀ DEL VATICANO - Per Auschwitz totale condanna, ma anche
«impegno a prevenire in futuro, qualunque cosa vada nel senso
dell'antisemitismo o dell'offesa al popolo ebraico». Lo afferma il cardinale
Martini, che ricorda le colpe dei cristiani nei confronti dell'ebraismo. «Fin
dall'antichità - afferma l'arcivescovo di Milano - sentimenti di minore stima,
di disprezzo verso gli ebrei, hanno in qualche misura contribuito
all'emarginazione di questo popolo e di tali atteggiamenti bisogna fare ammenda.
Nel cinquantenario dell'arrivo degli alleati nei campi di concentramento
nazisti, il porporato si preoccupa che la commemorazione non chiuda
frettolosamente la pagina dell'esame di coscienza che tutti devono fare.
Ignoranza e pregiudizi verso gli ebrei persistono ancora, dice, e «ogni tanto
sorgono focolai di antisemitismo, episodi anche brutali e vergognosi». Nei
confronti del popolo, che Giovanni Paolo Il ha definito «fratello maggiore»
dei cristiani, il cardinale Martini ritiene sia necessario un autentico amore,
qualcosa di più del rifiuto puro e semplice dell'antisemitismo. Secondo il
porporato, ci vuole un'opera profonda di conoscenza che porti alla stima,
all'ammirazione, all'affetto per tutto quello che questo popolo porta di
tradizioni millenarie, contribuendo al progresso della civiltà». La Radio Vaticana
commemora l'anniversario, citando le tragiche stime del
Centro di documentazione ebraica di Milano. Nel lager di Auschwitz furono
uccise tra il gennaio 1942 e il gennaio1945 – quando arrivarono le truppe sovietiche -
circa un milione e trecentomila prigionieri tutti ebrei tranne centomila. L'Osservatore
Romano dedica all’argomento un commento dello storico Giorgio Rumi,
di taglio più filosofico. I lager nazisti, sostiene Rumi in sintonia con quanto
più volte affermato da Giovanni Paolo II, sono stati una «macchina costruita
per la distruzione dell'uomo». La loro esistenza rivela che «una lunga notte
della ragione ha interrotto un'antica illusione del progresso illimitato
e irreversibile. Ė stato il trionfo dell'ideologia sulla dignità dell'uomo
e in nome di ragioni ideologiche sono stati messi in campo «mezzi repressivi e
militari senza precedenti». Popoli interi sono stati annientati, dissenso
politico differenze etniche e sociali sono diventati una colpa capitale.
Allargando l’orizzonte della riflessione, Rumi sottolinea che benché l’orrore dei campi di concentramento sia «del
tutto inedito» il totalitarismo e le sue pratiche non possono essere
considerate limitate al nazismo. «Il regime sovietico - scrive lo storico - non aveva nulla da invidiare al Reich quanto a
terrore ed esperienze concentrazionarie e, semmai, poteva vantare un vero
primato in materia. I fatti di Katyn (dove migliaia di ufficiali polacchi furono
uccisi dai sovietici durante la guerra) dimostrano che i comportamenti antiumani
di massa superano le differenze ideologiche e gli schieramenti politico-militari».
Ampliando troppo il discorso, l’articolo di Rumi rischia
peraltro di stemperare in una serie di altri esempi l’originalità assoluta
(tragica originalità) dell’Olocausto: altrove venivano uccisi anche coloro
che venivano sospettati, anche paranoicamente,
di essere nemici. Per l’ideologia nazista, invece, l’ebreo doveva essere
annientato soltanto in quanto essere vivente anche se bambino, anche se (com’è
accaduto) era stato un patriota tedesco, un combattente per la Grande Germania
guglielmina. L’Osservatore dedica ad Auschwitz anche un altro articolo
per invitare a intervenire nei confronti di tanti eccidi e lager che oggi sono
sotto i nostri occhi.
Da la Repubblica, 27 gennaio 1995, per gentile concessione