la Repubblica

Mussolini l’ultimo segreto

Un documento inedito rivela che il Duce tenne epistolari con Churchill, Roosevelt e Chamberlain.  Si tratta di un elenco delle missive di Stato fino al ’45, due fogli sfuggiti al rogo dei carteggi fatto dai nazisti – Una delle due pagine di chiara provenienza istituzionale reca l’intestazione dell’Ambasciata di Italia a Berlino – La corrispondenza con Laval primo ministro di Vichy e quella tenuta fino alla fine della guerra, con Washington

di Roberto Festorazzi

Nella vicenda dei carteggi che Mussolini conservò fino all'aprile 1945 emerge un retrosceI1a sorprendente. Vale a dire un documento inedito di fonte italiana, che proverebbe l'esistenza di epistolari intrattenuti dal Duce con statisti come Churchill, Chamberlain, Roosevelt e Làval. La storia che ci accingiamo a raccontare ha un suo solido fondamento e non può essere facilmente ricondotta alla fantasia di qualche nostalgico ammiratore del capo del fascismo. Il 27 aprile del 1945, poco distante da Linz; nell'Alta Austria, all'approssimarsi dei liberatori americani, uomini dei servizi segreti nazisti si diedero a distruggere tutta la documentazione "topsecret" giacente negli archivi dell'abbazia di Kremsmünster. L'imponente complesso monastico benedettino fin dalla seconda metà del 1940 era stato utilizzato come deposito delle opere d'arte razziate dai tedeschi in Belgio, Olanda e Francia: a Linz era infatti prevista la realizzazione del Führermuseum, destinato celebrare i natali austriaci di Adolf Hitler. I monaci erano stati definitivamente allontanati nell'aprile del 1941, allorquando l'abbazia venne sequestrata e occupata dagli Stati maggiori della polizia segreta hitleriana, la Gestapo, e delle Ss, per essere trasformata in un quartiere generale della Rsha, l'Ufficio centrale per la sicurezza del Reich, il cui capo supremo era il potente e temibile Ernst Kaltenbrunner, austriaco di Linz e per questa ragione caro al Führer. Prima che gli americani, il 5 maggio '45, giungessero a liberare l'abbazia, a Kremsmünster un rogo senza sosta ridusse in cenere migliaia di documenti riservati dell'archivio della polizia segreta di Kaltenbrunner. Un ufficiale delle Ss addetto all'operazione sottrasse tuttavia alcuni documenti dalla catasta delle carte destinate alla distruzione: tra di essi vi era un blocco di riproduzioni fotografiche. Si trattava della traduzione in lingua tedesca del primo gruppo dei "Pensieri sardi e pontini" scritti da Mussolini, nell'estate del 1943, durante le settimane della sua prigionia a Ponza e alla Maddalena. L'ex ufficiale con la svastica nel dopoguerra vendette quel prezioso materiale a un quotidiano di Salisburgo, il Salzburger Nachrichten, che lo pubblicò nel gennaio del 1950. In Italia i diritti di edizione della prima parte dei diari di prigionia del Duce furono acquisiti in esclusiva dal settimanale L'Europeo diretto da Arrigo Benedetti, che nel febbraio successivo li pubblicò in quattro puntate. Le traduzioni in tedesco della seconda parte dei “Pensieri sardi e pontini” e del blocco unitario dei "Pensieri del Gran Sasso d'Italia" (questi ultimi redatti dal dittatore durante i dieci giorni trascorsi a Campo Imperatore, prima della liberazione da parte dei tedeschi) furono successivamente scoperti in Germania dal giornalista-storico Duilio Susmel, e apparvero su Tempo Illustrato tra il 1962 e il 1964. Ma dal rogo di Kremsmünster fu salvato un altro importante documento, ben più scottante, che soltanto oggi viene alla luce. Vale a dire i negativi di due riproduzioni fotografiche rimaste nell'archivio privato di Alessandro Minardi, il redattore capo dell'Europeo che Benedetti mandò a Salisburgo per valutare i materiali in possesso del Salzburger Nachrichten. Minardi, giunto in Austria, s'incontrò con il caporedattore del quotidiano salisburghese, l'ex ustascia Stjepan Tomicic, morto ottantenne nel 1999 e noto per essere stato addetto stampa della rappresentanza diplomatica del governo di Ante Pavelic a Berlino, nonché collaboratore di riviste nazionalsocialiste. Nel dopoguerra, aveva cambiato il proprio nome in Alfons Dalma ed aveva iniziato una brillante carriera che lo avrebbe portato, nel giro di un paio di decenni, nell'entourage del leader cristiano-sociale bavarese, Franz Josef Strauss, e quindi alla radio austriaca con l'incarico di capo­redattore. Minardi, rientrato a Milano, consigliò ad Arrigo Benedetti la pubblicazione della tranche dei memoriali mussoliniani. Il giornalista presentò al suo direttore, oltre alle immagini dei diari, anche un altro paio di fotoriproduzioni che aveva ricevuto da Tomicic-Dalma: due fogli contenenti un elenco piuttosto dettagliato (anche se probabilmente parziale) di carteggi di Stato appartenuti a Mussolini, e della più grande importanza storica dal momento che ci riferiamo alla corrispondenza con i maggiori statisti del tempo. Sebbene si trattasse di carte provenienti anch'esse dagli archivi di Kremsmünster, Benedetti non le volle pubblicare. Per quale ragione? Probabilmente perché confidava nella possibilità di recuperare la serie completa dei documenti. Ciò non avvenne ed ecco la ragione per la quale queste due pagine su carta fotografica dell'epoca sono riemerse soltanto ora, essendoci state messe cortesemente a disposizione dal figlio di Minardi, Maurizio. Occorre tuttavia sottolineare che non ci stiamo riferendo a un documento di dubbia autenticità, ma, al contrario, di carte contraddistinte da una inequivocabile provenienza istituzionale, in quanto uno due fogli reca l'intestazione dell'Ambasciata d'Italia a Berlino: sede retta, nel periodo della Repubblica sociale italiana, da Filippo Anfuso. Un elemento conduce a ritenere che il documento sia stato scritto (non sappiamo da chi) nelle giornate immediatamente precedenti la caduta. L'elenco contiene infatti, in modo molto aggiornato, il riferimento a una lettera del 13 aprile 1945. Ma veniamo al dettaglio delle rivelazioni contenute in questo elenco. Il documento indica quali destinatari della corrispondenza di Stato, il francese Pierre Laval, Adolf Hitler, i britannici Neville Chamberlain e Winston Churchill, l'americano Franlklin Delano Roosevelt. Escludendo Hitler, i cui carteggi con il Duce sono ampiamente noti, occorre soffermare l'attenzione sulla quantità di missive che vari uomini politici stranieri avrebbero scambiato con il Duce. Cominciamo dalla corrispondenza con Laval, che, nel periodo 1939-42, fu ragguardevole: 26 lettere di Stato e 12 lettere personali. Quanto agli epistolari con i premier inglesi, quello con Chamberlain (1938-39) consisté in 7 lettere di Stato e 3 messaggi personali; il carteggio con Churchill (1939-40) sarebbe invece quantificabile in 9 lettere ufficiali e 4 missive personali. Decisamente sorprendente è la parte che si riferisce a Roosevelt (indicato non con il nome completo, ma con l'iniziale “Rn”, come nel caso di Hitler dove viene usata la "H"), la quale indica che la corrispondenza tra Mussolini e la Casa Bianca sarebbe proseguita praticamente fino alla conclusione della guerra. Questa circostanza, se risultasse confermata, avrebbe un significato dirompente, in quanto correggerebbe la convinzione circolante tendente a negare che il Duce avesse seguitato a intrattenere corrispondenza con i capi delle nazioni nemiche, dopo l'entrata in guerra dell'Italia, il 10 giugno 1940. Un'asserzione del genere dovrebbe tuttavia tener conto della "linea morbida" che continuò a serpeggiare a Londra e Washington. Se ne ebbe una vistosa prova alla Conferenza di Casablanca del gennaio 1943, durante la quale le potenze anglosassoni furono concordi sulla sorte da riservare all'Italia: Churchill e Roosevelt ritennero che la formula della resa senza condizioni non dovesse essere estesa al nostro Paese. Almeno fino al ‘43, ma probabilmente anche oltre, Mussolini, sotto certe condizioni, era ancora ritenuto un possibile interlocutore ai fini dello svuotamento dell'Asse e dunque della conclusione del conflitto. Lo stesso Stalin, nel 1943, prima della disfatta subìta dai tedeschi Kursk, era pronto a firmare là pace con il Tripartito. Suscita però non poca meraviglia leggere quanto si riferisce al numero di lettere che Mussolini avrebbe scambiato con Roosevelt: 5 lettere personali nel settembre 1943, cioè nei giorni della fondazione della Repubblica sociale italiana, 17 messaggi di Stato nel 1942-43, 71 lettere di Stato e 5 di natura personale nel 1943-44, infine 22 missive di Stato e 3 di carattere privato nel 1944-45. Possibile che il Duce avesse seguitato a trattare con il presidente degli Stati Uniti d'America fino a pochi mesi prima dell'arrivo degli americani a Milano? La risposta a questo interrogativo può essere in parte ritrovata nelle memorie dell'ambasciatore Anfuso. Nel suo libro Da Palazzo Venezia al lago dì Garda (Cappelli, 1957), il diplomatico racconta l'epopea dei suoi venti mesi di incarico a Berlino, trascorsi per buona parte nel bunker sotterraneo allestito dopo il bombardamento della sede dell'ambasciata a Tiergarten, spiato ad ogni passo dall'onnipresente Gestapo. Anfuso, richiamato nel marzo del ‘45 a Salò per essere nominato sottosegretario agli Esteri, fu testimone degli interventi svolti da Mussolini presso Roosevelt per sopravvivere politicamente in un quadro europeo che risultava ipotecato dal pericolo bolscevico. Pietro Carradori, brigadiere di Pubblica sicurezza addetto alla persona del Duce, attestò di aver accompagnato il dittatore in una villa di Porto Ceresio, al confine svizzero, in due occasioni, il 21 settembre '44 e il 21 gennaio '45. In entrambi i casi, Mussolini s'incontrò con emissari angloamericani. Il recupero del Duce, in chiave anticomunista, come sappiamo, non fu possibile, ma resta il fatto che segmenti del regime neofascista come il principe Junio Valerio Borghese, furono considerati dall'Oss come risorsa utile a combattere la penetrazione dell'imperialismo sovietico in Italia. Il 18 aprile del 1945, Anfuso ripartì dal lago di Garda alla volta di Berlino, per riprendere il suo posto di ambasciatore rimasto vacante. Ma nell'imminenza della resa tedesca, fu dirottato a Bad Gastein, nella Bassa Austria, dove rimase come un relitto tra i resti del corpo diplomatico accreditato nel Reich. Prima dell'abbandono della sede diplomatica di Berlino, tutti gli archivi furono bruciati. Ma certamente Anfuso recava con sé carte riservate e appunti che con ogni probabilità dovevano servire ad allestire l'arsenale documentario che Mussolini stava predisponendo in vista di una Norimberga italiana. E in ogni caso, il diplomatico aveva co­gnizione diretta dei carteggi intrattenuti da Mussolini con i principali capi di Stato e di governo: Si può dunque ipotizzare che il documento giunto in nostro possesso possa essergli stato sottratto, non sappiamo da chi, nelle giornate dell'epilogo, prima che l'ambasciatore fosse arrestato come criminale di guerra e recluso nelle carceri francesi, ben lontano da ogni possibile contatto con la sua patria. Non si vuole in questa sede enumerare le testimonianze qualificate che, dal 1945 ad oggi, hanno corroborato la tesi della sussistenza di voluminosi carteggi tra il Duce e i capi delle maggiori potenze mondiali. Basti tuttavia ricordare quanto scrisse, nel 1949, in un suo libro intitolato Difesa dell'Italia (Cappelli editore), un informatissimo giornalista svizzero, Paul Gentizon, corrispondente dall'Italia del Temps, dal 1927 al 1940. Gentizon riferì che Mussolini portò con sé, fino a Dongo, fascicoli della sua corrispondenza con Churchill, Laval, Roosevelt, Mac Donald, Léon Blum. Altri accennarono anche a Chamberlain e a Daladier. Senza alcuna pretesa di trasformare la ricerca storica in verità rivelata, ci è parso tuttavia doveroso offrire queste novità al pubblico italiano.


Quei diari dalla prigione di Benito

Due blocchi persi e ritrovati

I diari di prigionia di Mussolini furono pubblicati tra il 1950 e il 1964. I due blocchi delle memorie, vergate tra la fine di luglio e il 10 settembre del ‘43, furono consegnati dal Duce stesso all'ispettore generale di Pubblica Sicurezza Giuseppe Gueli, responsabile della sorveglianza a Campo Imperatore, sul Gran Sasso. Alla liberazione del dittatore, il 12 settembre 1943, né Gueli né Mussolini si preoccuparono di segnalare al capo missione tedesco, il colonnello delle Ss Otto Skorzeny, la presenza del plico di documenti. Dopo una prima tappa a Vienna, il capo del fascismo proseguì il suo viaggio per Monaco, mentre Gueli si preparò a rimpatriare. Tuttavia, quando l'ispettore giunse a Innsbruck, s'imbatté per caso in Skorzeny che ordinò la sua perquisizione. Furono così rinvenuti i diari, subito sequestrati e inviati a Ribbentrop e a Himmler. I testi delle meditazioni mussoliane furono tradotti in tedesco e oggetto di una attenta analisi. Ne furono ricavate cinque copie, una delle quali destinata a Hitler. Mussolini, che aveva dapprima considerato dispersi i suoi diari, s'infuriò moltissimo non appena seppe che erano stati sequestrati dagli alleati tedeschi. Ne pretese la restituzione. Berlino dapprima tergiversò, sostenendo che l'armadio blindato nel quale erano stati conservati gli originali era rimasto distrutto sotto i bombardamenti. Come bugia non valeva granché, perché alla fine Hitler stesso dovette autorizzare la riconsegna dei materiali al legittimo proprietario, che li ricevette dapprima in copia, nell'estate del 1944. Poi, nel gennaio del '45, a Mussolini furono restituiti gli originali. Tale documentazione giunse fino a Como, il 25 aprile, nel bagaglio della moglie del Duce, Rachele. Ma se ne persero subito le tracce. Un verbale di consegna di numerose carte del dittatore, stilato nel dicembre 1945 dal prefetto di Como, Virginio Bertinelli, prova tuttavia che almeno la prima parte degli originali dei «Pensieri sardi e pontini» venne inviata al governo. Dove sia finita, è un mistero. Tale scomparsa obbligò tanto L'Europeo quanto il giornalista-storico Duilio Susmel a lavorare sulla ritraduzione in italiano di un testo già tradotto in tedesco.

(R. Fe.)

la Repubblica, 19 aprile 2006

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