TESTIMONIANZE di SOPRAVVISSUTI

Quinto Osanno: L'inferno a Mauthausen. Ricordi e pensieri di un ex deportato

PICCOLO JUDEN

HERR DOCKTOR  

Non piangere, piccolo Juden  

Non avevi nulla del kapò  

asciuga le lacrime sul viso adolescente:  

né l'aria truce, i modi sguaiati

Coraggio piccolo Juden

la voce cattiva, il bastone pronto

non avere paura.

tu, eri gentile:

Stella di Davide,

lo sguardo dei tuoi occhi chiari era dolce.  

triangolo rosso, nero, verde

Sul tuo petto vi era

non hanno senso

il triangolo rosso,  

se non per gli aguzzini.

dentro batteva un cuore comunista: eri un deportato politico, 

Noi siamo solo numeri,

mio caro indimenticabile docktor viennese. 

atei ed ebrei

Comandavi il blocco 32 del revier:  

cattolici e protestanti

blocco di convalescenza.

ortodossi e musulmani.

Non ti vidi mai sorridere

Qui piccolo Juden

non scherzavi, parlavi poco,  

regna una sola religione,

ma eri tanto giusto

con pochi comandamenti:  

con i compagni del tuo blok,

sofferenza, fame, speranza.

mio caro herr docktor.

Sorridi piccolo Juden, 

Sorvegliavi attentamente la distribuzione del cibo,

i tuoi occhi azzurri non devono più piangere  

le medicazioni, le fasciature dei compagni piagati,

Vedrai sono sicuro che tu non passerai per il camino. 

agevolavi, allungavi, quando riuscivi,

le degenze, specialmente dei giovani, 

SOLE E LUNA

mio caro herr docktor.

Sole e Luna,

Ricordo che il periodo di convalescenza,

materia vagante nello spazio.

non poteva durare più di dieci,

Sole

quindici giorni.

che riscaldi il mondo con i tuoi raggi ardenti  

poi dovevi rimandare al lavoro i compagni,

Luna

guariti oppure al blocco degli invalidi i non recuperati  

che brilli pallida nel cielo

con le sue conseguenze,  

dove eravate in quel tempo lontano?

eppure ...... tu, indimenticabile herr docktor

Mi sforzo, mi tormento ma...

trovasti il modo di tenermi sessanta giorni.  

non vi ricordo, non vi ricordo.

“E io che so cosa significava

Ricordo i compagni caduti, la fame,

restare sessanta giorni a riposo,

il freddo, il vento, la pioggia, la neve.

senza lavorare, senza bastonate,

Ma di voi nulla, nulla, nulla.

con la stessa razione di cibo giornaliero”  

Dov'eri sole all'aurora?

sapendo ora che erano

Dov'eri sole al tramonto?

gli ultimi tre mesi di prigionia,

Dov'eri luna alla sera?

posso dire che tu, mio buon herr docktor

Dov'eri luna nelle notti chiare?

mi salvasti la vita.

Ora ...... siete tornati

Ricordo i sotterfugi a cui ricorrevo

Luna e Sole, Sole e Luna 

per non lasciar rimarginare la piaga sulla gamba,

vi vedo, vi guardo, vi amo...

ricordo le medicazioni,

Sole e Luna, Luna e Sole.

che, caso strano ...

facevi quasi sempre tu.

Ricordo il tuo mutismo, le tue rare parole:  

“passauf italiano”, “attento italiano”  

per farmi capire che tu sapevi  

dei miei sotterfugi per rallentare la guarigione.  

Ma sotto la tua impronta,

sotto la tua maschera imposta di kapò,  

si scorgeva la tua bontà,

la tua umanità, il desiderio

di salvare più gente possibile.

Ricordo infine,

mio caro herr docktor  

quel giorno che allungai la gamba

sullo sgabello per le medicazioni

e tu ... non mi toccasti

mi guardasti fisso negli occhi, e con la testa,  

mossa in segno di diniego dicesti:  

“fer’ tig italiano, morgen arbeiten” 

Quella fu la seconda volta,

che mi salvasti la vita.  

Il giorno dopo ebbe inizio 

l'eliminazione di quelli rimasti al revier.  

Ti ricorderò sempre

caro buon compagno  

docktor viennese.

IT 59022

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