Patria indipendente

Il discorso di Giorgio Napolitano a Cefalonia

L’omaggio alla “Acqui” per ricordare migliaia di eroi

 

di Carlo Boldrini

 

Rendo nuovamente omaggio qui a Cefalonia – raccogliendo l’ispirazione del mio predecessore Carlo Azeglio Ciampi – ai combattenti e ai caduti della Divisione Acqui. E lo faccio nel giorno in cui si celebra in Italia la Festa della Liberazione. È la Festa di tutti gli italiani. Volli dirlo in Parlamento, nel momento d’inizio del mio mandato: “ci si può ritrovare – senza riaprire le ferite del passato – nel rispetto di tutte le vittime e nell’omaggio non rituale alla liberazione dal nazifascismo come riconquista dell’indipendenza e della dignità della patria”. E proprio perché il 25 aprile sia riconosciuto e sentito come Festa di tutti gli italiani, è importante dare il giusto posto – nella memoria storica e nella coscienza comune – alle diverse tappe e alle molteplici componenti del processo di maturazione e di lotta che sfociò nell’approdo glorioso di una liberazione piena del nostro paese e del nostro popolo. Tra quelle componenti, fu certamente essenziale l’apporto delle formazioni partigiane, nelle montagne e nelle città, con un vasto sostegno di solidarietà popolare, che si espresse tra l’altro nell’appoggio spontaneo ai giovani che si rifiutavano di subire la chiamata alle armi con la repubblica di Salò, agli ebrei che cercavano di sfuggire a un destino di morte, e anche a molti militari alleati fuggiti dai campi di prigionia che spesso si univano alle unità dei combattenti della libertà. Ma accanto al decisivo apporto delle formazioni partigiane, fu altamente significativo e obbiettivamente importante il contributo sia dei militari chiamati a repentine, durissime prove all’indomani dell’armistizio dell’8 settembre 1943, sia degli ufficiali e dei soldati che si unirono ai partigiani rafforzandone la capacità di combattimento, sia delle nuove forze armate che si raccolsero nel Corpo Italiano di Liberazione. Questo multiforme contributo, a lungo sottovalutato, è ormai iscritto a pieno titolo nella storia del nostro riscatto nazionale. E di esso fu parte singolare e rilevante – per molto tempo quasi ignorata – la resistenza di centinaia di migliaia di militari italiani internati in Germania nei campi di concentramento, che respinsero, in schiacciante maggioranza, l’invito a tornare in Italia aderendo al regime repubblichino. È dunque questa più comprensiva visione del percorso che condusse l’Italia dal crollo dell’8 settembre 1943 all’insurrezione del 25 aprile 1945, che può favorire un effettivo riconoscimento unitario, oggi nel nostro paese, del valore della Festa che ovunque celebriamo. Ecco il contesto nel quale si colloca – signor Presidente della Repubblica ellenica – la cerimonia che abbiamo promosso a Cefalonia. È una cerimonia – desidero sottolinearlo, esprimendole gratitudine per aver voluto parteciparvi – che noi intendiamo dedicare anche all’amica Grecia, così dolorosamente ferita nella seconda guerra mondiale dalle aggressioni fascista e nazista e dall’occupazione straniera, e quindi pur essa impegnatasi a combattere per liberarsi, e per conquistare il ruolo che le spettava nella costruzione di una nuova Europa unita nella pace e nella democrazia. Nella vicenda di Cefalonia si rispecchiò interamente la tragedia delle giornate seguite all’8 settembre che segnarono – come scrisse un grande intellettuale, combattente e caduto per la libertà, Giaime Pintor – un vero e proprio “disfacimento della compagine italiana”. Ne furono responsabili l’ambiguità e l’incapacità di quanti gestirono l’armistizio con le potenze alleate, e non garantirono alcuna preparazione e alcuna guida rispetto alla reazione delle forze tedesche. Ne furono vittime innanzitutto i reparti militari italiani, colti alla sprovvista e abbandonati a se stessi, sul territorio nazionale e ancor più nei paesi in cui stazionavano come truppe di occupazione. In quella condizione, che si fece ben presto disperata, si produssero straordinarie manifestazioni di volontà di resistenza contro le pretese tedesche di sopravvento con la violenza e di odiosa umiliazione: a Porta San Paolo a Roma come a Piombino e ad Ascoli, e su più vasta scala a Cefalonia, a Corfù e in altre isole greche, nei Balcani. La resistenza della Divisione Acqui a Cefalonia si risolse in lunghi giorni di sanguinosi combattimenti e quindi in un orrendo massacro da parte delle forze tedesche, che erano riuscite a prevalere con il determinante concorso dell’aviazione e ad imporre la resa alle truppe italiane. Di qui l’eco grandissima, che ancora continua, di quella che resta una vicenda senza eguali per il suo feroce, criminale epilogo, tanto da dar luogo a una specifica valutazione e condanna già da parte del Tribunale di Norimberga. Alessandro Natta, protagonista e analista d’eccezione dell’«altra Resistenza» – come egli la definì in un suo libro – si interrogò sulle “ragioni immediate” della ribellione e della lotta di quei nostri militari, e lo fece senza indulgere a interpretazioni non fondate oggettivamente o ad anticipazioni improprie. Ed è così che ci si deve atteggiare nel ricostruire quegli eventi: si può quindi affermare che se decisive furono la stanchezza di una guerra che il popolo italiano non aveva sentito come sua, e dunque l’aspirazione a ritornare a casa, prevalse l’impegno a cercare la via del rimpatrio – come si è più di recente rilevato – nella salvaguardia della sicurezza e della dignità militare. Rifiuto della capitolazione e della consegna delle armi, crescente insofferenza e reazione antitedesca, senso dell’onore e della dignità anche personale, scandirono il comportamento di quegli italiani in divisa. La maturità delle motivazioni ideali e politiche che caratterizzarono la Resistenza in Italia sarebbe venuta più tardi. Ma a Cefalonia si manifestò un impulso egualmente nobilissimo e destinato a dare i suoi frutti. Si può ben cogliere – fuori di ogni mitizzazione – un ponte ideale tra quell’impulso e la successiva maturazione dello spirito della Resistenza. Molto si continua a scrivere e a discutere sul clima che si creò in seno alla Divisione Acqui, sul modo in cui si giunse alla decisione di affrontare lo scontro con i tedeschi, su errori militari che ne condizionarono l’esito, su responsabilità del Comando Supremo italiano e su scelte strategiche delle forze anglo-americane che resero fatale la sconfitta. Ma non c’è polemica storiografica o pubblicistica, non c’è disputa sulle cifre o sulle persone, che possa oscurare l’eroismo e il martirio delle migliaia di militari italiani che scelsero di battersi, caddero in combattimento, furono barbaramente trucidati – soldati, ufficiali, generale Comandante – dopo la sconfitta e la resa, o portati alla morte in mare, o deportati in Germania. Una simile somma di sacrifici non potrà essere mai dimenticata dall’Italia, non potrà che riceverne sempre il commosso omaggio. E non potrà mai cancellarsi l’infamia di quell’ordine di Hitler che si tradusse nello sterminio degli italiani ormai prigionieri di guerra, né l’orrore del comportamento di quanti si resero colpevoli dell’esecuzione di quell’ordine. E d’altronde non sono mancate testimonianze della consapevolezza di ciò ormai maturata nella coscienza pubblica della nuova Germania democratica ed europea. È soltanto un assurdo residuo del passato quel recente pronunciamento del magistrato di Monaco, che ha rispolverato l’indegna giustificazione o attenuante – per l’eccidio di Cefalonia – del presunto “tradimento” italiano, assumendo così implicitamente la tesi che l’Italia dovesse restare legata alla catena di un’insensata e servile alleanza e di una già incombente disfatta. Sono peraltro venute poi dalle autorità politiche e giudiziarie della Baviera delle significative precisazioni, nel riconoscimento di come col massacro di Cefalonia fossero state “infrante in modo terrificante e disonorevole le regole del diritto internazionale di guerra” e di come “i soldati italiani erano rimasti fedeli alle istituzioni nazionali”. Sessantadue anni fa, la conclusione della Guerra di Liberazione vide le formazioni partigiane e i reparti delle nostre Forze Armate, rinate in quella missione, sancire il libero e determinante concorso del popolo italiano alla vittoria alleata sulla Germania nazista e all’abbattimento di quel che era sopravvissuto del regime fascista come appendice dell’occupante tedesco. In questo senso, il 25 aprile rappresentò uno storico punto di arrivo, ma nello stesso tempo esso fu anche e soprattutto un punto di partenza. Si creò cioè la premessa essenziale per la costruzione di una nuova Italia democratica, le cui fondamenta sarebbero state poste nel 1946 dal referendum istituzionale e dalla elezione dell’Assemblea Costituente. I valori, i princìpi e gli ordinamenti basilari iscritti nella Costituzione repubblicana hanno mostrato la loro efficacia favorendo la ricostruzione economica e sociale del paese, garantendo il più ampio dispiegamento della vita democratica – al di là dell’asprezza delle divisioni ideologiche e politiche – e aprendo la strada a una degna collocazione internazionale dell’Italia nel quadro dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e di tutte le istituzioni multilaterali via via sviluppatesi, e soprattutto nella prospettiva originale e feconda dell’integrazione europea. Fu la lungimirante adesione a questa prospettiva, a partire dai primi Anni 50 dello scorso secolo, che permise all’Italia, dopo la sconfitta e l’isolamento cui l’aveva condotta la guerra fascista, di recuperare un suo ruolo nella comunità occidentale, e di farsi partecipe di una grande impresa di pace e di collaborazione nel cuore dell’Europa. Sappiamo che il mondo è profondamente cambiato non solo rispetto al 1945 ma anche rispetto ai decenni successivi. E tuttavia non hanno perso validità e attualità le grandi motivazioni ideali della Resistenza, e tutte le esperienze attraverso le quali l’Italia seppe rialzarsi dal crollo dell’8 settembre 1943 e farsi protagonista del suo stesso riscatto, della sua stessa liberazione. Resta altamente impegnativo per il nostro paese e per le sue Forze Armate, l’obbiettivo della pace, definito in tutti i suoi aspetti nell’articolo 11 della Costituzione: un obbiettivo che è stato conseguito grazie – voglio ripeterlo – all’integrazione europea, fino ad esser garantito nell’intero continente, ma che va perseguito anche fuori dei confini dell’Europa. Il non assistere inerti ai conflitti che lacerano vaste zone del mondo e investono diverse, cruciali aree di crisi, il fare la nostra parte per la pace e per la sicurezza internazionale sotto la guida delle Nazioni Unite e nell’ambito delle nostre alleanze, significa porsi in coerenza e continuità con il retaggio ideale della Resistenza e con la missione che in essa assunsero i militari italiani. È su quella missione, è su quel ruolo che abbiamo voluto oggi porre l’accento celebrando a Cefalonia il 25 aprile. Ma è combinando in una visione più ampia tutti gli aspetti, civili e militari, della nostra presenza in difficili e impegnative aree di crisi, ed è rinnovando una solidarietà profonda tra popolo, Forze Armate e istituzioni democratiche, che noi possiamo raccogliere nel modo più degno l’eredità di dedizione e sacrificio degli uomini della “Acqui” e onorare la memoria dei tanti di loro che caddero difendendo la dignità della Nazione italiana.

Patria indipendente, maggio 2007

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