Patria indipendente
Il Gruppo di combattimento “Cremona” sul fronte del Senio
“Cremonina” fu chiamata una bimba nata ad Alfonsine durante la battaglia di sfondamento
di Roberto Bonfiglioli
Il Gruppo di combattimento “Cremona”, formato dal 21° e dal 22° Reggimento Fanteria e dal 7° Reggimento Artiglieria, primo delle formazioni del rinnovato Esercito italiano ad entrare in azione, sfondò la linea del Senio tra il 9 e il 10 aprile 1945. Logoranti mesi di guerra difficile, nell’intrico di canali e argini e pianure a nord di Ravenna sino alle valli di Comacchio, colpi di mano e scontri di pattuglie tra caposaldo e caposaldo, fitto intrecciarsi di azioni e contrattacchi, trovavano così il loro compimento, in una azione che avrebbe consentito la definitiva avanzata a nord, sino a Venezia. Il “Cremona”, occorre ricordarlo, era un “Gruppo” un po’ speciale: non soltanto per le sue veramente nobili tradizioni militari, ma perché, trasferito sul continente dopo la resistenza opposta ai tedeschi in Sardegna, era stato inviato al fronte nel settore est della Linea Gotica, dopo una preparazione alquanto affrettata, ma aveva trovato nuova linfa ed energie nel massiccio afflusso di ex partigiani toscani, umbri, marchigiani, laziali e di tante altre regioni, arruolatisi volontari con tutta la loro carica di passione e di entusiasmo. Così il “Cremona” s’era trovato a impersonare l’immagine dell’esercito di tipo nuovo; dove, sì, la disciplina era la vecchia disciplina militare, ma la volontà, la coscienza, non erano quelle della vecchia “naia”; diventava improvvisamente quell’esercito di popolo che più tardi avrebbe trovato la sua definizione nella Carta Costituzionale dell’Italia libera e democratica. Qui non e il caso di fare la storia di questo esercito e nemmeno di questo Gruppo di combattimento; ci limiteremo a ricordare come, dopo l’entrata in linea a Sant’Alberto di Ravenna, collegato con quella meravigliosa Brigata Garibaldi “Gordini”, comandata da “Bulow”, fu chiamato a una operazione territorialmente limitata ma tatticamente difficile, come quella del Po di Primaro, della quale chi l’ha vissuta non può dire se maggiore sia stato l’eroismo o la spaventosa complessità; e come dopo tante ansie, attese, scaramucce, pattugliamenti, scontri, gli venne affidato il compito di superare il Senio, quel torrente, quel fosso, che se oggi lo guardi sembra nulla ed era invece una poderosa fortificazione attrezzata dai tedeschi a resistente linea di difesa. Davanti, c’erano case, case italiane, una cittadina, Alfonsine, i cui edifici erano ridotti in macerie e che avrebbe potuto subire, se la resistenza tedesca si fosse prolungata, ulteriori distruzioni, poiché la via dell’avanzata finale, verso il Po e verso il nord, passava di lì. Lo evitarono i fanti, i partigiani del “Cremona”, balzando all’assalto, liberando d’impeto la cittadina, tra la sorpresa degli abitanti che vedemmo piangere di fronte ai liberatori che portavano sulle divise il tricolore italiano. Proprio quel giorno, proprio il 10 aprile 1945, tra scoppi di bombe di mortaio, raffiche di armi automatiche, mentre i soldati italiani, superato alfine il torrente dagli argini impervi, entravano in Alfonsine e la liberavano, nasceva una bimba. Le imposero il nome di “Cremonina”; un nome insolito, certo, che dava però il segno dell’affetto, della gioia e dell’entusiasmo con i quali i liberatori italiani erano accolti dopo tante sofferenze e sacrifici. E, in mezzo alle rovine, alle macerie, ai Caduti e ai feriti ancora da raccogliere, mentre ancora la battaglia divampava, sui cento disperati segni di guerra, di desolazione e distruzione, spiccava questo segnale di speranza, una nuova vita che s’accendeva, una creatura che nasceva libera, un germoglio che vinceva l’aspra durezza delle zolle inaridite.
Lacrime e abbracci dopo cinque mesi di sofferenze
Quando soldati e partigiani liberarono Alfonsine
208 caduti e 678 feriti. Un comandante battezza una bambina
di Luigi Pattuelli
Un paese stretto nella morsa della guerra: la popolazione costretta a vivere nei rifugi sotterranei sotto l’incubo delle granate, dei bombardamenti e dei mitragliamenti aerei che colpivano, di giorno e di notte, senza concedere un momento di pace; il centro del paese, alla destra del fiume Senio, minato e raso al suolo dai tedeschi; le immani difficoltà a reperire viveri e medicinali; i morti che dovevano essere sepolti in fretta nel cortile di casa per paura delle bombe e per l’impossibilità di raggiungere il cimitero; la paura di venire catturati, deportati o fucilati dai nazisti che avevano impartito l’ordine di sfollamento generale del paese. Così Alfonsine, sommersa da cumuli di macerie, ha vissuto e resistito nell’inverno 1944-’45 cinque mesi sulla linea del fronte, pagando alla guerra voluta dal fascismo il prezzo più alto: 380 morti, centinaia di feriti, mutilati e invalidi, oltre il 75 per cento delle case distrutte. L’incubo terminò il 10 aprile 1945, quando i valorosi ex partigiani volontari del Gruppo di Combattimento “Cremona” nel corso della Battaglia del Senio liberarono Alfonsine: «… verso mezzogiorno del 10 aprile – racconta Alessandro Montanari del locale CLN – non appena si diffuse la notizia che i tedeschi ripiegavano e che le truppe Alleate convergevano verso il perimetro meridionale di Alfonsine, anziani e bambini vennero fuori da tutti i ricoveri sotterranei per muovere, con orgogliosa esultanza, incontro ai liberatori. L’entusiasmo raggiunse i vertici del delirio, quando si constatò che quei liberatori erano soldati del Nuovo Esercito Italiano con il fazzoletto rosso al collo. Vi furono abbracci con i soldati italiani e canti di bandiera rossa. Si piangeva e la commozione era indicibile. Poi, in un attimo, via Mazzini fu invasa da tutta la popolazione. Anche i soldati della “Cremona” erano commossi per l’accoglienza festosa e sorpresi nel trovare tanta gente in un paese che credevano deserto…». «L’attacco – racconta il Generale Giuseppe Mastrobuono – venne fissato per il mattino del 10 aprile, alle ore cinque, con venticinque minuti di preparazione di artiglieria. Il cielo era più limpido del solito quella mattina. Non una nuvola all’orizzonte. Il più assoluto silenzio incombeva sulla zona, che appariva di una luminosità paradisiaca. Nessuno avrebbe potuto mai immaginare che di lì a poco quella pace sarebbe stata violentemente turbata e dall’aspetto paradisiaco saremmo passati a quello infernale del rabbioso fuoco. Alle cinque precise, infatti, tutta l’artiglieria del V Corpo d’Armata inglese aprì il fuoco che si protrasse violento con il concorso del 7° Reggimento del “Cremona” ed anche di tutti i mortai da 3 pollici del 21° e 22° fanteria. Allo scadere del venticinquesimo minuto, con gli ultimi colpi partono di corsa i fanti che piombano addosso ai tedeschi, annidati nelle ben protette postazioni ricavate nei massicci argini del Senio, ancora prima che possano riaversi dalla sorpresa. Li snidano dalle loro postazioni, passando a guado il Senio, costituiscono la prevista testa di ponte, formano il fianco difensivo verso Fusignano e, senza indugio, si avviano verso il tergo di Alfonsine per attuare la prevista manovra. Tutto con sbalorditiva celerità. La “Via Reale” è praticamente aperta dal Gruppo “Cremona”. Alle ore 13.05 due compagnie raggiungono il “Borghetto”. Alfonsine è liberata in poche ore». Il valoroso “Cremona” ebbe 208 “caduti” in combattimento, 678 feriti e 72 dispersi. Per tutti ricordiamo, con dolore e riconoscenza, il giovane volontario del “Cremona” Mario Morgantini, caduto eroicamente in combattimento il 10 aprile 1945 per la liberazione di Alfonsine; decorato di Medaglia d’Oro al Valor Militare. A sessantadue anni dalla Liberazione ricordiamo, con orgoglio, che nonostante la distruzione del paese e lo spadroneggiare dei nazisti, la popolazione di Alfonsine non si lasciò piegare, ma seppe lottare, organizzarsi. Eccezionale e di massa fu il contributo delle donne. Attraverso il CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) locale furono affrontati i difficili problemi dell’alimentazione, furono allestite zone ospedaliere, sotto le case diroccate si ricavarono rifugi per la popolazione e per i partigiani, la lotta contro i nazisti giunse a manifestazioni di massa che imposero la liberazione di partigiani catturati. La capacità di lotta della popolazione aveva un grande punto di sostegno nell’estensione del movimento partigiano il cui cuore era la leggendaria 28a Brigata Garibaldi “Mario Gordini”, che incalzava i tedeschi sino a Venezia a fianco dell’eroico Gruppo di Combattimento “Cremona”. Per Alfonsine, la giornata del 10 aprile è diventata il simbolo di una grande rottura storica: il giorno del riscatto, la festa che esprime in sé tutti i valori più nobili di libertà, democrazia e di lotta conquistati con il sangue di tanti giovani.
Patria indipendente, 8 aprile 2007