Patria indipendente

Ancora Carabinieri ma già partigiani

Con 200 di essi e altrettanti soldati nacque a Spalato il Battaglione “Garibaldi”, primo nucleo della futura Divisione “Italia” che combatté in Jugoslavia fino al maggio 1945

 

di Giuseppe Maras

 

Il gran tempo trascorso ha stemperato un po’ i ricordi ma ha anche smussato gli angoli. Oggi guardiamo a quegli avvenimenti storici con altri occhi, con altro animo, con più distacco e forse siamo più obiettivi. Ma la tragedia dell’8 settembre è rimasta intatta; è ormai stampata nella nostra memoria e non dobbiamo fare un grande sforzo per rivivere, attimo per attimo, quelle eccezionali giornate. Rivedo ancora nitidi davanti a me (ero un ufficialetto giovane giovane), i volti preoccupati degli uomini del mio plotone che mi chiedevano angosciati una parola di speranza per il futuro, che si attaccavano a me come ad un padre anche se molti di loro avevano ormai un’età più vicina a quella di mio padre che alla mia. Erano volti duri, tesi, scavati dal lavoro prima e dalla guerra poi, ma volti umani, di gente semplice che si sentiva abbandonata, lontana da casa e che cercava disperatamente una strada, una qualunque strada, per realizzare quel sogno per tanto tempo inseguito invano: la fine della guerra ed il ritorno in famiglia. Ma fin dai primi momenti, appena sentito l’annuncio dell’armistizio, leggendo come in un libro aperto sulle facce dei superiori la sorpresa e lo sbigottimento, apparve subito chiara una cosa: eravamo in balìa di noi stessi, i Comandi non ci potevano aiutare, i Comandi non ci sapevano aiutare, il sogno rimaneva tale. Ma, tra quei volti tesi, anche facce calme, consapevoli, decise, direi quasi serene. Era un folto gruppo di carabinieri che per l’ormai radicata abitudine all’obbedienza e per l’alto attaccamento alle istituzioni vigenti, sentito per radio che il Governo italiano invitava a non collaborare più con i tedeschi, non avevano avuto dubbi da quale parte stare. E senza distinzione di grado o altro, avevano immediatamente fatto la loro scelta. Rileggo con commozione le note della prima giornata scritta e descritta sul Diario storico di quello che sarà il battaglione «Garibaldi». «Spalato. In seguito all’armistizio, si delinea tra i militari un movimento antitedesco e, di conseguenza, favorevole ai partigiani, ai quali molti militari nostri hanno già consegnato volontariamente le armi. Già dalla sera del 10 settembre, il cap. Elia Francesco, del CCRR di Spalato, è passato ai partigiani. Nella giornata dell’11 vi passano il ten. Mongilardi Ilare del 4° bersaglieri, il s. ten. Leone Edmondo del 6° battaglione mitraglieri di C.d’A., il s. ten. carrista Giordano Antonio portandosi al seguito un nucleo di militari armati ed equipaggiati. I suddetti raggiungono Dubrava, dove trovasi il comando partigiano, dal quale vengono accolti bene. Con i militari affluiti, i predetti ufficiali cominciano ad organizzare un reparto di italiani capace di combattere e di essere impiegato in breve tempo. La sera stessa, infatti, un reparto del 6° mitraglieri con 4 Breda, al comando del s. ten. Leone, si reca a prendere posizione a Naklice, per fronteggiare ed ostacolare eventuali tentativi di uscita degli ustascia di Almissa». Era l’11 settembre del 1943, un sabato, con cielo sereno, caldo. Così si legge nel Diario, ma mi sia consentito citare anche qualche altro passo dei giorni successivi: «12 settembre. ... il t. col. Venosta Attilio, comandante i CCRR della Divisione “Bergamo”, il ten. Mambor Felice, comandante la 259a sez. CCRR ed il s. ten. Tinto Luigi, comandante la 388a sez. CCRR, si riuniscono e decidono di passare ai partigiani per combattere contro i tedeschi, anziché diventare loro prigionieri. A tale scopo si mettono in contatto anche col t. col. Venerandi Luigi, comandante il 9° battaglione CCRR mobilitato, il quale ha deciso anch’egli di passare ai partigiani e sta riunendo i suoi uomini... 13 settembre. ... il t. col. Venosta, il cap. Giancola ed il ten. Mambor si recano a Spinut ove parlano ai loro carabinieri colà concentrati, invitandoli a seguirli per passare nelle file partigiane. Oltre un centinaio tra sottufficiali e carabinieri aderiscono all’invito e vengono accompagnati presso il Comando del Gruppo Carabinieri ove si riarmano e si costituiscono in reparto agli ordini del t. col. Venosta... Al Comando del Gruppo CCRR affluiscono, intanto, altri militari del 9° battaglione mobilitato ed anche militari di altre armi che desiderano combattere contro i tedeschi. Viene istituito un ufficio reclutamento diretto dal cap. dei CCRR Cerica Guglielmo». Nasce così il battaglione “Garibaldi” il cui nucleo principale è costituito da circa 200 carabinieri del presidio di Spalato, cui si aggiungono militari di altri reparti della zona (fanti, artiglieri, genieri, bersaglieri, alpini, carristi, marinai, avieri, guardie di finanza, ecc.) cementati da un unico denominatore comune: non cedere alle imposizioni tedesche, continuare a combattere, ma dalla parte degli Alleati e delle forze partigiane jugoslave. Pochi giorni dopo, mentre il “Garibaldi” ha già lasciato la zona per essere impiegato altrove, altri militari italiani, per lo più della Divisione “Bergamo”, sulla scia dell’esempio dei carabinieri, decidono nello stesso senso e costituiscono a Livno, nell’entroterra spalatino, il battaglione “Matteotti”. I due battaglioni, inquadrati separatamente nelle due più famose e prestigiose unità partigiane jugoslave, daranno poi vita, dopo la liberazione di Belgrado, unificandosi, alla Brigata, poi diventata Divisione “Italia”. Ma quei 200 carabinieri, primo nucleo del “Garibaldi”, sono sempre rimasti il nerbo principale, il punto di forza, anche della Divisione “Italia”. Non è per caso infatti, che delle 4 brigate della divisione, 2 erano comandate da carabinieri: Ciocioni Primo, carabiniere, comandava infatti la I Brigata “Garibaldi” e Guerrini Guido, brigadiere dei carabinieri comandava la IV Brigata “Fratelli Bandiera”, due coraggiosi e valorosi uomini che con il loro comportamento sul campo di battaglia seppero meritarsi e mantenere il grado di ufficiali partigiani, che solo oggi, molto tardivamente, viene ufficialmente riconosciuto dallo Stato italiano, quando i partecipanti e i protagonisti di quelle gloriose vicende sono ormai tutti in pensione. Ma non solo Ciocioni e Guerrini; quasi tutti i superstiti di quei famosi 200 seppero conquistarsi un grado e ricoprire un incarico superiori a quelli rivestiti nel disciolto Esercito italiano, applicando nella pratica e nella vita quotidiana il motto che distingue l’Arma: «Nei secoli fedele». Perché fedelissimi rimasero anche al Governo Badoglio dell’epoca, come lo sono oggi alla Repubblica Italiana. Perché i carabinieri nelle istituzioni italiane erano e sono un punto fermo, un punto di riferimento.

Patria indipendente, 8 aprile 2007

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