Patria indipendente
Vita e morte di un “traditore”: Fortunato Picchi
Un antifascista pratese per lungo tempo dimenticato
di Carlo Onofrio Gori
Nel 1999 il Comune di Carmignano affidò ad Alessandro Affortunati una ricerca sul sovversivismo e l’antifascismo nel Montalbano, zona collinare fra Prato e Pistoia, e lo storico, fra vari nomi e fatti, localmente più o meno noti, si imbatté, e scrisse, della straordinaria quanto semisconosciuta vicenda di Fortunato Picchi, un antifascista che nel 1941 si fece paracadutare nella prima missione britannica di commandos sabotatori in Italia, ma che fu quasi subito catturato e fucilato come “traditore” (1). L’Amministrazione, interessata ad approfondire la figura umana ed il gesto di questo suo concittadino per nascita, promosse allora nuovi studi dai quali è poi scaturito un altro volume: Di morire non m’importa gran cosa. Fortunato Picchi e l’operazione Colossus (2). Prima di questi libri, c’era stato tuttavia chi non aveva dimenticato il suo gesto: «Un fantasma – scrive nella prefazione Mario Baudino – visitava ogni tanto Franco Lucentini, a partire da quand’era studente universitario e finì in galera per antifascismo». Infatti il noto romanziere, che anteponeva la scelta individuale, morale, ad ogni altra considerazione, scrisse in polemica con Galli Della Loggia e la sua idea di “morte della patria”: «Chiudo con un pensiero alla memoria di … Picchi… I giornali italiani ne dettero l’annuncio in quattro righe e nessuno di poi ne parlò più. Il suo nome non compare in nessuna delle storie della Resistenza. Sarebbe forse ora di ricordarsene e di portare qualche fiore sulla sua tomba se mai si sapesse dov’è» (3). Lucentini, malato, scelse di darsi la morte prima di aver notizia delle ricerche di Affortunati e prima di scrivere quel suo libro su Picchi di cui spesso aveva parlato con l’amico Carlo Fruttero e con il fratello Mauro. Fortunato Picchi nasce a Comeana di Carmignano il 28 agosto 1896 da Ferdinando e Iacopina Pazzi. Quattordicenne segue poi la famiglia, povera e numerosa (i fratelli Averardo, Cleto, Giorgio, Sergio e le sorelle Leonia ed Olga), che si trasferisce in Val di Bisenzio alla Tignamica di Vaiano dove il padre è cuoco presso la ditta tessile “Forti” di La Briglia, uno dei più grossi stabilimenti dell’industria tessile pratese. Durante la grande guerra viene arruolato nel novembre del 1915 e combatte sul fronte macedone “con fedeltà ed onore”, si legge nel congedo, fino al dicembre del 1919. Difficoltà familiari e spirito di indipendenza inducono Picchi, nel 1921, ad emigrare in Inghilterra dove inizialmente lavora come cameriere. Nel ’25, dopo un breve ritorno in Italia, entra al Savoy di Londra dove riesce a costruirsi una brillante carriera divenendo vice-direttore del reparto banchetti. Nel lussuoso hotel frequentato dal “bel mondo”, Picchi lavorerà, guadagnando molto bene, fino all’entrata in guerra dell’Italia fascista, quando con altri connazionali verrà precauzionalmente internato all’isola di Man dove, come vedremo, farà la scelta di operare attivamente contro il regime mussoliniano. Impegno non dettato da opportunismo o esaltazione, ma frutto di una sua lenta, ma costante, maturazione politica avvenuta nella Londra degli Anni Trenta. La democrazia britannica è in quel tempo sottoposta a forti spinte verso destra: si pensi alle simpatie degli ambienti conservatori verso il fascismo italiano, tantoché sir Oswald Mosley nel 1932 può fondare la British Union of Fascists; si consideri, tra l’altro, che re Edoardo VII non nasconderà la sua ammirazione verso il nazismo e che il governo conservatore svolgerà poi un ruolo non indifferente nel favorire la vittoria franchista nella guerra civile spagnola (4). Fortunato, inizialmente non manifesta una precisa collocazione politica, si definisce semplicemente “cattolico” (tra l’altro non praticante, e su questo avverrà nel 1932 la rottura con suo padre, cattolicissimo), ma ammira tuttavia l’anticlericale Garibaldi, visto come campione dell’emancipazione dei popoli e uomo politico che storicamente aveva manifestato, pienamente ricambiato, stima ed affetto per l’Inghilterra. Coltiva poi le sue amicizie più profonde negli ambienti democratici ed antifascisti e rifiuta di frequentare le sezioni del PNF che in quel periodo, per l’atteggiamento benevolo delle autorità, sorgono numerose sul territorio britannico: questo suo comportamento non mancherà di essere debitamente registrato dai consolati italiani. Fortunato che, celibe, vive ai Sussex Gardens, pensionante di una famiglia di lontane origine italiane, i Lantieri, è infatti l’antitesi del “buon italiano” (leggi: “fascista”) all’estero: una informativa del SOE lo definirà poi «An idealist … who is in many ways more English than the English» (5). Infatti da buon londinese tifa Arsenal e spesso porta Billy, il suo cane alsaziano, a correre in Hyde Park. Pur essendo, oltre a questo dato esteriore, un sincero e convinto ammiratore dei fondamenti della democrazia inglese, tuttavia non vorrà mai rinunciare alla nazionalità italiana, per cui allo scoppio della guerra verrà internato. In questo periodo aderisce al Free Italy Movement, un’associazione di antifascisti italiani di varia tendenza politica costituita nell’ottobre del 1940 dal cattolico Carlo Petrone e che annovera fra gli altri suoi dirigenti Paolo e Pietro Treves, figli di Claudio Treves, uno dei fondatori del socialismo italiano, e Umberto Calosso, una delle più note “voci” di Radio Londra (6). Come riferirà Florence Lantieri, dopo sei mesi gli viene offerta la possibilità di lasciare l’isola di Man e tornare al suo ben remunerato lavoro, ma a Picchi la sola attività di propaganda antifascista non può bastare ed è proprio, “paradossalmente”, per “difficile” e grande amor di patria che fa la scelta coraggiosa ed estrema di combattere, se necessario, contro i propri compatrioti. Ottiene infatti di arruolarsi ed inizialmente è inquadrato come sapper (pioniere del genio) poi, nonostante abbia ben quarantesei anni, entra nei paracadutisti sottoponendosi ad un durissimo addestramento ai lanci ed all’uso delle armi. Volendo esser utile anche come interprete si offre per una missione estremamente rischiosa sul territorio italiano: il danneggiamento dell’acquedotto pugliese. Così nella notte tra il 10 e l’11 febbraio 1941, dopo una rapida azione di disturbo da parte della RAF, il No. 2 Commandodel II Special Air Service (SAS), partito da Malta e composto da 34 uomini, fra i quali Picchi, viene paracadutato tra Calitri, Rapone e Pescopagano. I guastatori si raccolgono nel punto prestabilito lungo il fiume Ofanto, poi arrivati al torrente Tragino minano il viadotto, tuttavia il ponte-canale viene danneggiato dall’esplosione, ma non distrutto, ed il sabotaggio ha solo l’effetto di privare dell’acqua, per non molto tempo, alcune zone del foggiano e del barese. Dopo l’azione i parà cercano di raggiungere a piccoli gruppi il punto della costa dove li aspetta un sommergibile, ma ormai carabinieri e milizia, con l’aiuto della popolazione, danno il via ad un vasto rastrellamento che impedirà ai britannici di esser recuperati nei tempi stabiliti. Picchi, che in quei frangenti si prodiga affinché non venga sparso sangue fra i civili, è costretto come gli altri ad arrendersi. Interrogato si qualifica come Pierre Dupont, francese “libero”, poi deve ammettere la sua vera identità e lo fa specificando di esser lì non per tradire l’Italia, ma per combattere il regime fascista. Tutti i britannici, in divisa, vengono considerati prigionieri di guerra ed inviati nei campi di concentramento, mentre Picchi, in quanto cittadino italiano, è subito deferito per tradimento al famigerato Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato (TSDS). La sentenza è di morte per fucilazione alla schiena, eseguita dopo breve lasso di tempo (alle ore 7 del 6 aprile 1941) a Roma nel Forte Bravetta. Mentre Oltremanica i democratici esaltarono il suo gesto parlando di “Life sacrificed for Freedom” e definendolo “Martyr of the New Risorgimento”, in Italia i suoi familiari dovettero fatalmente sopportare le più pesanti angherie del regime fascista, e questa fu l’unica cosa di cui Fortunato si pentì. Scrisse infatti nell’ultima lettera alla madre: «mi dispiace… per voi e per tutti di casa di questa sciagura e del dolore che vi arrecherà… Di morire non m’importa gran cosa, quel che mi dispiace è che io, che ho voluto sempre il bene del mio Paese, debba oggi esser considerato come un traditore». (7) Affortunati rileva che, sia immediatamente dopo il 25 luglio 1943, sia soprattutto dopo la Liberazione, gli antifascisti vaianesi resero onore a Picchi, mentre sulla stampa pratese il Corriere del Mattino del 15 maggio 1945 lo indicò come «il primo patriota [pratese] ed uno dei primi d’Italia» e La Nazione del Popolo del 21 febbraio 1946 lo definì “Eroe”. Tuttavia i familiari di Fortunato rimasti nella zona di Vaiano si opposero tenacemente a qualsiasi utilizzo politico della sua figura, e forse anche per questo il suo coraggioso gesto iniziò ad essere dimenticato. Il 16/17 aprile 1949, in “una temperie politica ben diversa da quella del 1945-’46”, Paolo Caccia Dominioni sul Corriere d’informazione si occupò del pratese con l’articolo: “Era un traditore oppure un eroe?”. Concluse che era sia un po’ l’uno che l’altro, ma questa sua valutazione trovò la strenua opposizione di un democratico inglese, Ivor Thomas, che in una lettera al direttore scrisse: «Fortunato Picchi fu tra gli uomini più valorosi dell’età nostra. Amò la sua terra... e sacrificò la sua vita per contribuire a liberarla dalla tirannia fascista... Se Picchi fu un traditore, allora Mussolini fu un patriota; e io temo che l’articolo di Paolo Caccia Dominioni rafforzerà la posizione di quanti asseriscono che il fascismo riuscì sempre accetto al popolo italiano ed è ora in via di riprendersi» (8). «Da allora – nota Affortunati – di Picchi non si è più parlato se non incidentalmente» (9). Riflettendo su questo oblio dobbiamo osservare che questa vicenda fu “scomoda”, soprattutto per il fondersi di due ragioni. La prima va forse ricercata nel fatto che il “traditore” Picchi fu “partigiano” prima dell’8 settembre 1943, cioè prima che esistessero i partigiani, anzi molti di quelli che, proprio in seguito alla dura ed istruttiva esperienza di una guerra sciagurata, combatterono poi come partigiani il nazifascismo, nel 1941 stavano ancora “dall’altra parte”. Ma anche questa pregiudiziale poteva esser superata pensando, ad esempio, ai comunisti Ilio Barontini e Anton Ukmar che in Etiopia si opposero insieme agli abissini all’occupazione colonialista e fascista italiana, oppure ai numerosi fuoriusciti “garibaldini” di Spagna che a Guadalajara sconfissero i soldati del Comando Truppe Volontarie (CTV) inviato da Mussolini in sostegno al golpista Franco. Tuttavia si tratta di esempi generalmente riconducibili a figure di militanti antifascisti ben politicamente connotati, ma questa, ovviamente, non è una colpa. Ed ecco che arriviamo alla seconda, e forse la vera ragione del lungo oblio al quale venne condannato il pratese: pur essendo stato Picchi un fervente antifascista, non risultò tuttavia legato ad alcun partito politico, né la sua memoria, su questo piano, anche per strenua opposizione della famiglia, poté quindi esser rivendicata da qualcuno in particolare. Ma nemmeno questa è una colpa! Fortunato Picchi, “il traditore”, pur non maturando una scelta politica o ideologica ben definita, amava sinceramente la democrazia e conseguentemente amò la propria Patria fino a compiere scelte “scomode” ed “estreme”. Non dimentichiamoci infatti che nella stessa Inghilterra, dove si scrissero libri To the glorious memory of Fortunato Picchi, persino un suo commilitone del SAS, evidentemente impregnato di spirito militarista e patriottardo, fedele al motto «right or wrong my country is my country», affermerà che sebbene Picchi fosse un idealista «...he was also, after all, a traitor to his country and it seem rather difficult to make him out of hero» (fu dopotutto un traditore del suo paese e risulta difficile considerarlo un eroe) (10). Comprendiamo coloro che, in grigioverde, fino all’8 settembre, pur maturando la consapevolezza delle colpe del regime, spesso per una propria concezione del senso del dovere, si sacrificarono obbedendo agli ordini, ma proprio per questo pensiamo sia altrettanto doveroso ricordare ed onorare chi, come Picchi, consapevole dei rischi, volontariamente volle combattere a fianco del “nemico” contro il fascismo ed il nazismo. Per questo, in un periodo in cui varie amministrazioni locali sembrano rincorrere quelli che ritengono essere i gusti correnti, spesso indulgendo nel sostegno ad una pletora di costose e variegate, quanto caduche, iniziative culturali, va dato atto al Comune di Carmignano di aver promosso serie e rigorose pubblicazioni volte a ricostruire la storia dell’impegno civile e democratico di Fortunato Picchi. (11)
NOTE
1) Cfr. A. Affortunati, Mille volte no. Sovversivismo ed antifascismo nel Carmignanese. Con un profilo di Fortunato Picchi, prefazione di Ivan Tognarini, Mir, 1999.
2) Cfr. A. Affortunati, Di morire non m’importa gran cosa. Fortunato Picchi e l’operazione Colossus, prefazione di Mario Baudino, Pentalinea, 2004.
3) ivi, pp. 9-13.
4) Vd., tra gli altri, P. Preston, Francisco Franco: la lunga vita del Caudillo, A. Mondadori, 1995 e dello stesso A., La guerra civile spagnola. 1936-1939, A. Mondadori, 1999.
5) A. Affortunati, Di morire..., cit., p. 65.
6) Cfr. N. Bobbio, Umberto Calosso e
Piero Gobetti, in “Belfagor”, 3 (1980), pp. 329-338.
7) A. Affortunati, op. cit., pp. 103-104.
8) ivi, pp. 117-118.
9) ibidem.
10) ivi, p. 109.
11) Il Comune di Vaiano ha poi intitolato al nome dell’antifascista un ponte sul fiume Bisenzio nella frazione della Tignamica. Su Picchi, oltre agli articoli recentemente apparsi nelle cronache di quotidiani pratesi, vd. anche il saggio: C.O. Gori, Fortunato Picchi: la memoria di un eroe antifascista per lungo tempo dimenticato, in “QF. Quaderni di Farestoria”, periodico dell’Istituto storico provinciale della Resistenza di Pistoia, n. 3-4 (lug.-dic. 2004).
Patria indipendente, 11 marzo 2007