Patria indipendente
Il Presidente della Repubblica e il “Giorno del Ricordo”
Napolitano sulle foibe: “Orrore e congiura del silenzio”
Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nel “Giorno del Ricordo”, dedicato ai massacrati delle foibe e agli italiani dell’esodo, nel corso di una manifestazione al Quirinale, ha pronunciato il seguente discorso:
Lo scorso anno il Presidente Ciampi volle che si svolgesse qui la prima cerimonia di conferimento della medaglia del “Giorno del Ricordo” a familiari delle vittime – come recita la legge dell’aprile 2004 – «delle foibe, dell’esodo e della più complessiva vicenda del confine orientale». Raccolgo l’esempio del mio predecessore a conferma del dovere che le istituzioni della Repubblica sentono come proprio, a tutti i livelli, di un riconoscimento troppo a lungo mancato. Nell’ascoltare le motivazioni che hanno questa mattina preceduto la consegna delle medaglie, abbiamo tutti potuto ripercorrere la tragedia di migliaia e migliaia di famiglie, i cui cari furono imprigionati, uccisi, gettati nelle foibe. E suscitano particolare impressione ed emozione le parole: «da allora non si ebbero di lui più notizie», “verosimilmente” fucilato, o infoibato. Fu la vicenda degli scomparsi nel nulla e dei morti rimasti insepolti. Una miriade di tragedie e di orrori; e una tragedia collettiva, quella dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati, quella dunque di un intero popolo. A voi che siete figli di quella dura storia, voglio ancora dire, a nome di tutto il Paese, una parola di affettuosa vicinanza e solidarietà. Da un certo numero di anni a questa parte si sono intensificate le ricerche e le riflessioni degli storici sulle vicende cui è dedicato il “Giorno del Ricordo”: e si deve certamente farne tesoro per diffondere una memoria che ha già rischiato di esser cancellata, per trasmetterla alle generazioni più giovani, nello spirito della stessa legge del 2004. Così, si è scritto, in uno sforzo di analisi più distaccata, che già nello scatenarsi della prima ondata di cieca violenza in quelle terre, nell’autunno del 1943, si intrecciarono «giustizialismo sommario e tumultuoso, parossismo nazionalista, rivalse sociali e un disegno di sradicamento» della presenza italiana da quella che era, e cessò di essere, la Venezia Giulia. Vi fu dunque un moto di odio e di furia sanguinaria, e un disegno annessionistico slavo, che prevalse innanzitutto nel Trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una “pulizia etnica”. Quel che si può dire di certo è che si consumò – nel modo più evidente con la disumana ferocia delle foibe – una delle barbarie del secolo scorso. Perché nel Novecento – l’ho ricordato proprio qui in altra, storica e pesante ricorrenza (il “Giorno della Shoah”) – si intrecciarono in Europa cultura e barbarie. E non bisogna mai smarrire consapevolezza di ciò nel valorizzare i tratti più nobili della nostra tradizione storica e nel consolidare i lineamenti di civiltà, di pace, di libertà, di tolleranza, di solidarietà della nuova Europa che stiamo da oltre cinquant’anni costruendo. È un’Europa nata dal rifiuto dei nazionalismi aggressivi e oppressivi, da quello espressosi nella guerra fascista a quello espressosi nell’ondata di terrore jugoslavo in Venezia Giulia, un’Europa che esclude naturalmente anche ogni revanscismo. Il caro amico Professor Paolo Barbi – figura esemplare di rappresentante di quelle terre, di quelle popolazioni e delle loro sofferenze – ha mirabilmente ripercorso la sua esperienza: specie quando ha parlato del “sogno” e del progetto europeo in cui egli ed altri cercarono in modo illuminato il risarcimento e il riscatto oltre l’incubo del passato e l’amarezza del silenzio. Ed è giusto quel che egli ha detto: va ricordato l’imperdonabile orrore contro l’umanità costituito dalle foibe, ma egualmente l’odissea dell’esodo, e del dolore e della fatica che costò a fiumani, istriani e dalmati ricostruirsi una vita nell’Italia tornata libera e indipendente ma umiliata e mutilata nella sua regione orientale. E va ricordata – torno alle parole del Professor Barbi – la «congiura del silenzio», «la fase meno drammatica ma ancor più amara e demoralizzante dell’oblio». Anche di quella non dobbiamo tacere, assumendoci la responsabilità dell’aver negato, o teso a ignorare, la verità per pregiudiziali ideologiche e cecità politica, e dell’averla rimossa per calcoli diplomatici e convenienze internazionali. Oggi che in Italia abbiamo posto fine a un non giustificabile silenzio, e che siamo impegnati in Europa a riconoscere nella Slovenia un amichevole partner e nella Croazia un nuovo candidato all’ingresso nell’Unione, dobbiamo tuttavia ripetere con forza che dovunque, in seno al popolo italiano come nei rapporti tra i popoli, parte della riconciliazione, che fermamente vogliamo, è la verità. E quello del “Giorno del Ricordo” è precisamente, cari amici, un solenne impegno di ristabilimento della verità.
Le foibe e l’esodo degli italiani: le polemiche con il Presidente Giorgio Napolitano e le celebrazioni del “Giorno del Ricordo”
Il discorso del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, pronunciato al Quirinale davanti ai parenti e ai superstiti dell’esodo istriano e ai parenti di alcuni massacrati nelle foibe, nel «Giorno del Ricordo», ha avuto profonde ripercussioni in molti ambienti. Ha ottenuto l’appoggio di tutto il mondo politico italiano, ma ha provocato una crisi diplomatica con l Croazia e con il suo presidente Stipe Mesic. Crisi, per fortuna, poi ricomposta. Proteste sono arrivate dalla Slovenia e da alcuni politici e scrittori della ex Jugoslavia. Prese di posizione si sono registrate anche negli ambienti della Resistenza italiana, tra i partigiani che combatterono con Tito, gli storici di Trieste, di Udine e delle zone di frontiera, dell’Istria e della Dalmazia. Il motivo è sempre lo stesso: il Presidente della Repubblica doveva – secondo queste prese di posizione – ricordare le vittime delle foibe e le sofferenze dei profughi italiani, ma sottolineare anche la gravità delle stragi fasciste e naziste, durante l’occupazione, contro le popolazioni croate, serbe e slovene. Ecco il documento ufficiale dell’ANPI Nazionale e alcune prese di posizione che ci sono arrivate e che pubblichiamo per completezza di informazione.
Presidenza e Segreteria ANPI: “decisa preoccupazione critica”
Comunicato dell’ANPI Nazionale relativo alle recenti celebrazioni della “Giornata del Ricordo”
La Presidenza e la Segreteria nazionali dell’ANPI ritengono di dover esprimere una decisa preoccupazione critica verso modalità di celebrazione del “Giorno del Ricordo” di cui alla legge 30 marzo 2004, n. 92, così come sono state attuate in occasione del recente anniversario dello scorso 10 febbraio. Il senso attuale delle iniziative di ricordo contemplate dalla legge non può che essere quello di una ricostruzione a tutto campo della verità storica di tutti i drammi che hanno contraddistinto le complesse vicende di cui è stato teatro il territorio della Venezia Giulia e più in generale i territori degli stati immediatamente confinanti nell’area di nordest del nostro Paese: realtà nelle quali era insediata una popolazione multietnica costituita essenzialmente da italiani, sloveni e croati. Si tratta in definitiva di realizzare, nel ricordo, un’operazione-verità che valga a superare i silenzi, le rimozioni e le strumentalizzazioni che hanno contraddistinto per decenni la rappresentazione di quegli avvenimenti, una rappresentazione destinata a fini di contrapposizione politica e non di ricerca rigorosa della verità storica. Sennonché questo obiettivo non è stato né perseguito né realizzato in diverse delle iniziative recentemente svolte, dando così continuità ad una visione ed interpretazione miope, settoriale, e perciò stesso inevitabilmente strumentale degli accadimenti storici. Non c’è dubbio che la Storia, per rispetto delle sue categoriche esigenze etiche e scientifiche, esige, soprattutto, l’assoluto rispetto ed il riconoscimento dei fatti nel loro esatto accadimento, ed è altrettanto vero che, omettendo la contestualizzazione dei fatti con gli accadimenti precedenti, direttamente ad essi collegabili, si apre uno spazio “astorico”, facile preda di ogni strumentalizzazione e di ogni deteriore uso politico dei fatti presi in considerazione. Non c’è dubbio che le cosiddette foibe istriane del 1943 e le cosiddette foibe da Gorizia a Fiume del maggio 1945, appartengono alla categoria dei delitti, posti in essere, i primi, da gruppi popolari spontaneisti locali, e, quelli del maggio 1945, da una organizzazione riconducibile ad un comportamento disciplinato ma illegittimo di truppe della Jugoslavia e di apparati della sua polizia di sicurezza; così come appartengono ad una violenza repressiva nazionalistica l’emarginazione e la persecuzione degli italiani residenti su quel territorio da secoli, costringendone oltre 300.000 ad abbandonare le loro case e ad emigrare verso altre regioni italiane o, addirittura, in paesi lontanissimi. Ma questi fatti, enucleati dal loro contesto fattuale, senza un adeguato inquadramento storico, aprono fatalmente il campo a revisionismi deteriori, finalizzati ad una manipolazione politica che vorrebbe equiparare i delitti del fascismo e del nazismo, che hanno offeso l’intera umanità, con dimensioni epocali assolutamente incomparabili con qualsiasi altro delitto, con i delitti delle foibe istriane del settembre del 1943 e delle foibe del maggio 1945. Realizzando così l’annullamento dello stesso significato storico della grande lotta epocale dell’umanità intera, si può dire, contro il misfatto incomparabile posto in essere dal nazismo e dal fascismo. Non può, dunque, essere ignorata in proposito né la politica di sopraffazione del fascismo come parte di un progetto di distruzione dell’identità nazionale e culturale delle minoranze slovena e croata e della distruzione della loro memoria storica, né quella ideologia di superiorità della civiltà e della razza italica che vedeva un nemico in ogni straniero, che voleva impedire lo sviluppo dei porti jugoslavi ai fini di conservare all’Italia il monopolio strategico ed economico sull’Adriatico. Inoltre non va dimenticata, durante la guerra, l’occupazione e lo smembramento della Jugoslavia e l’annessione della provincia di Lubiana al Regno d’Italia alla quale seguirono cruente rappresaglie e repressioni nelle quali gli ultranazionalisti italiani fecero causa comune con i nazisti insediati nel litorale adriatico. Fortunatamente esiste ormai un’ampia storiografia, che ha visto da anni impegnati studiosi di grande valore e prestigio italiani, sloveni e croati, che può essere considerata base di riferimento dell’operazione-verità che si impone. Si deve ricordare, in particolare, che nel 1993 dal Ministero degli esteri italiano e da quello sloveno è stata istituita una commissione storico-culturale, formata da 14 studiosi ed esperti, che aveva lo scopo di fare il punto sui risultati della ricerca storica effettuata nei due Paesi sul tema dei reciproci rapporti. La relazione conclusiva fu approvata all’unanimità, presentata nel luglio del 2000 e resa pubblica l’anno seguente anche se mai ufficializzata. Essa rappresenta, comunque, un punto di sintesi e di riferimento della storiografia italiana e di quella slovena su quel tormentato e complesso periodo storico. In tale relazione si giunge a trattare delle cosiddette “foibe istriane”, degli eccidi d’italiani nell’autunno 1943, “eccidi perpetrati non solo per motivi etnici e sociali, ma anche per colpire in primo luogo la locale classe dirigente”. La sollevazione della popolazione croata istriana acquisì anche il carattere di una sollevazione contadina contro i padroni terrieri e fascisti, figure che quasi sempre si identificavano nelle stesse persone, non certamente quello di epurazione etnica. Diversa fu l’ondata di violenza esplosa nel maggio 1945 «che trovò espressione nell’arresto di molte migliaia di persone, parte delle quali venne in più riprese rilasciata – in larga maggioranza italiani, ma anche sloveni contrari al progetto politico comunista jugoslavo – in centinaia di esecuzioni sommarie immediate – le cui vittime vennero in genere gettate nelle foibe – e nella deportazione di un gran numero di militari e civili, parte dei quali perì di stenti o venne liquidata nel corso di trasferimenti nelle carceri o nei campi di prigionia (fra i quali va ricordato quello di Borovnica) creati in diverse zone della Jugoslavia. Tali avvenimenti si verificarono in un clima di resa dei conti per la violenza fascista e di guerra ed appaiono in larga misura il frutto di un progetto politico preordinato in cui confluivano diverse spinte: l’impegno ad eliminare soggetti e strutture ricollegabili (anche al di là delle loro responsabilità personali) al fascismo, alla dominazione nazista, al collaborazionismo, allo Stato italiano, assieme ad un disegno di epurazione preventiva di oppositori reali, potenziali o presunti tali, in funzione dell’avvento del regime comunista, e dell’annessione della Venezia Giulia al nuovo Stato Jugoslavo» (dallo studio sui “rapporti italo-sloveni fra il 1880 e il 1956”). Nel clima che deve accompagnare la costruzione di una sempre più salda unità europea e il suo allargamento verso est, la Storia, quella con la “S” maiuscola, quella che per sua natura non può piegarsi a compromessi deve essere in grado di prendere il sopravvento, non solo nell’accademia ma anche e soprattutto presso varie collettività nazionali, sulle manipolazioni del periodo precedente. La Presidenza e la Segreteria nazionali dell’ANPI, fedeli ad una tradizione che ha sempre fatto riferimento ai valori di fondo che hanno animato la lotta di liberazione nazionale, ritengono che la valorizzazione della memoria della resistenza si concentri nella valutazione della superiorità e nell’impegno per la realizzazione dei principi di libertà, di giustizia, di pace e di solidarietà nonché di verità storica, che rendono quella memoria non tanto retrospettiva quanto capace di operare nel presente, nel futuro come alimento per la democrazia e definitiva condanna di contrapposti totalitarismi.
Patria indipendente, 18 febbraio 2007