Patria indipendente

Torna alla luce la pellicola del 1968 di Gianni Puccini

Eroismo senza retorica nel film I 7 fratelli Cervi

Per tutti gli appassionati di cinema, storia e Resistenza, l’appuntamento era uno di quelli da non perdere.

di Daniele De Paolis

 

Dopo quasi quarant’anni di oblio e nessuna messa in onda TV a memoria di telespettatore moderno, è stato proiettato alla Casa della Memoria e della Storia di Roma I 7 fratelli Cervi, film di Gianni Puccini, prima uscita nelle sale anno 1968. Scritto con la collaborazione di Zavattini e interpretato da un cast d’eccezione, preventivamente censurato e poi vietato ai minori di 14 anni, il film era “scomparso” a causa di lunghe traversie legali sui diritti di sfruttamento. Oggi, risolta la questione a favore dell’Istituto “Alcide Cervi” che ne ha curato la riedizione in DVD, è finalmente possibile rivedere una tra le più importanti opere cinematografiche di soggetto resistenziale. Il film sulla famiglia Cervi focalizza lo sguardo sugli ultimi tre anni di attività antifascista clandestina, dall’entrata in guerra dell’Italia nel secondo conflitto mondiale all’esecuzione dei sette fratelli, all’alba del 28 dicembre 1943. In ampi flashback in bianco e nero però, sono ripercorse le tappe fondamentali della storia dei Cervi che, da sempre mezzadri nella Bassa reggiana, sotto la guida del padre Alcide, scelgono di affittare un podere tutto per loro. Campi Rossi, a Gattatico, costa poco ma è una proprietà considerata da tutti quasi incoltivabile. Eppure i Cervi in pochi anni riescono a trasformare quel terreno, spianandolo, rendendolo fertile con sistemi d’irrigazione all’avanguardia e attuando la rotazione delle colture. Il terzo dei figli maschi, Aldo – impersonato da Gian Maria Volonté con la solita maestria – legge e studia libri di agronomia e si è sempre scontrato coi padroni che miravano ad un guadagno garantito solo dallo sfruttamento dei lavoratori della terra. È lui che acquista con le cambiali il primo trattore del circondario, a bordo del quale fa il suo ingresso trionfale ai Campi Rossi, tenendo alto un grande mappamondo. Aldo Cervi è politicizzato da tempo: alla fine degli Anni 20, durante il servizio militare, è stato rinchiuso tre anni a Gaeta. Il carcere è la sua università, legge Marx e Gramsci ed evolve la sua cultura cattolica e popolare, prima verso posizioni socialiste e poi comuniste. Gli altri fratelli (interpretati nel film da grandi nomi come Riccardo Cucciolla e Renzo Montagnani e dal cantante Don Backy), pur tra vivaci discussioni, concordano con Aldo sulla necessità di agire e di organizzare l’opposizione alla dittatura. Allestiscono una biblioteca itinerante con titoli vietati dal regime, diffondono la lettura de l’Unità clandestina, compiono azioni di volantinaggio. Già entrati in contatto con cellule del partito comunista attraverso i Sarzi, famiglia di teatranti girovaghi, e in particolare Lucia (Lisa Gastoni), dopo l’armistizio i sette fratelli danno rifugio ad antifascisti, soldati sbandati, militari alleati. Il passo successivo sarà la nascita di uno dei primi raggruppamenti partigiani che prenderà la via dell’Appennino. Con loro c’è anche don Pasquino Borghi, sacerdote di campagna che subirà torture e pagherà con la vita la sua scelta. Per chi deve fare i conti con le difficoltà della montagna e con una struttura militare appena nata (ancora nel dicembre del ’43 sono poco più di 10.000, in tutta Italia, i partigiani saliti sui monti) i problemi organizzativi non mancano: servono armi, rifugi, rifornimenti alimentari, direttive precise. Tornati al podere per mettere in collegamento un gruppo di soldati alleati, la notte del 25 novembre 1943 i sette fratelli, insieme al padre Alcide, sono accerchiati e fatti prigionieri da un plotone di 150 camicie nere. I fascisti danno fuoco al fienile, lasciando le donne di casa Cervi a spegnere le fiamme e a piangere i loro uomini. Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio ed Ettore (il primogenito aveva 42 anni, l’ultimo 22) vengono fucilati dai fascisti un mese dopo, all’interno del poligono di tiro di Reggio Emilia, per rappresaglia contro l’uccisione del segretario comunale del PNF di Bagnolo in Piano, in provincia di Reggio Emilia. È, ovviamente, una delle scene più struggenti del film ma, al tempo stesso, girata e montata con una compostezza e una dignità che raggelano. Negli anni del regime il regista Gianni Puccini fu tra gli animatori della rivista Cinema (diretta da Vittorio Mussolini) prendendo parte, assieme al fratello Massimo Mida Puccini, a personalità del calibro di Francesco Pasinetti, Mario Alicata, Umberto Barbaro, Guido Aristarco e Pietro Ingrao, e a futuri autori come Visconti, De Santis, Lizzani, Antonioni e Pietrangeli, ad una vera e propria fronda culturale al fascismo e contribuendo ad edificare le basi teoriche della rinascita del cinema italiano. Nel 1942 firma con Luchino Visconti la sceneggiatura di Ossessione, film capostipite del Neorealismo, e nel dopoguerra quella del grande successo nazional-popolare Riso amaro, di Giuseppe De Santis. Per raccontare una delle storie più crude della nostra Resistenza, Puccini si avvalse della scrittura di un altro padre nobile del cinema italiano, Cesare Zavattini, artista attento all’uomo, alle persone nome e cognome – come si diceva allora – più che alle figure eroiche. Una conferma che negli Anni 60 gli intellettuali più sensibili cercano di superare la visione agiografica della Resistenza, anticipando spesso le indagini e le riflessioni della ricerca storica. A Gianni Puccini va anche il merito di aver indagato per primo l’ambiente della resistenza diffusa al fascismo nel mondo contadino, anticipando autori come Bertolucci (Novecento) e i fratelli Taviani (La notte di San Lorenzo). Alla sua uscita nelle sale, nei primi mesi del ’68, il film ottenne discreti incassi mentre la critica notò che, proprio nel tentativo di azzerare la retorica, fossero venute a mancare alla pellicola quella forza e quell’incisività, che la vicenda di per sé conteneva al massimo grado, necessarie per entusiasmare un pubblico più vasto. Da segnalare, infine, gli attori che completano il cast: Carla Gravina nel ruolo della compagna di Aldo Cervi, Andrea Checchi, Duilio Del Prete, il francese Serge Reggiani. E la presenza nelle vesti di aiuto regista di un giovanissimo Gianni Amelio, autore negli Anni 90 di Il ladro di bambini e Lamerica. «Mai ci si riconosce quando un film racconta la tua storia – spiega Maria Cervi, figlia di Antenore, alla platea della Casa della Memoria –. L’importante però è che il film si faccia, diceva la mia famiglia, comprendendo la necessità di ricordare uno dei più drammatici e nello stesso tempo emblematici episodi della Resistenza». L’occhio di oggi rileva, in realtà, una vistosa assenza. Nel film di Puccini, infatti, le figure femminili sono appena abbozzate, mentre le indagini storiografiche più avanzate hanno messo in evidenza la novità e la portata del contributo delle donne nella lotta di Liberazione dal nazifascismo. La vicenda di mamma Genoeffa Cocconi Cervi può essere considerata simbolo di tutte quelle madri, spose e figlie che condivisero le scelte dei loro cari pur mantenendo autonomia e indipendenza di pensiero. Genoeffa, per esempio, non abbandonò mai la sua fede cristiana, vissuta con una sensibilità contadina che la avvicinava ai sentimenti di giustizia, libertà e impegno sociale dei figli. Senza le donne sarebbe stato impossibile mettere in piedi la rete di sostegno indispensabile ad ogni attività, sia politica sia militare: solo tra il luglio e il novembre del ’43 – ricorda Maria – la loro casa ospitò oltre 80 uomini che le Cervi curarono, sfamarono, vestirono. Non solo, Genoeffa e le sue quattro nuore sostituirono nelle stalle e nei campi gli uomini quando erano impegnati nelle attività della Resistenza. C’è però un aspetto che il film coglie e affronta con straordinaria delicatezza, anticipando la riforma del diritto di famiglia del 1975. Una idea del senso di appartenenza alla comunità familiare fondata sui sentimenti: Genoeffa, cristiana devotissima, accoglie in casa la compagna di Aldo, pur non sposata, considerandola pari a Margherita, Iolanda e Irnes, mogli di Antenore, Gelindo e Agostino. Genoeffa morirà di crepacuore un anno dopo la morte dei suoi figli. Quando ancora una volta i fascisti le bruciano la casa la sua forza viene a mancare, ma le nuore rimarranno unite e, assieme al padre Alcide e ai nipoti, saranno loro a coltivare la memoria dell’intera famiglia. «Casa Cervi – ha detto Rossella Cantoni, presidente dell’Istituto Cervi e sindaco di Gattatico – è diventata un simbolo subito, già nell’immediato dopoguerra. La gente non ha aspettato il riconoscimento ufficiale delle istituzioni. Per anni migliaia di persone sono venute ai Campi Rossi a parlare con Alcide o solo per rendere omaggio al luogo». Se oggi il Museo intitolato alla memoria dei sette fratelli e l’istituto che lo gestisce sono fiori all’occhiello della ricerca e della cultura italiana è grazie alla volontà di Alcide Cervi e alla sua idea che ricordare vuol dire anche educare e studiare. Nato nel 1972 per iniziativa della Confederazione Italiana Agricoltori, dell’ANPI, della Provincia di Reggio Emilia e del Comune di Gattatico, l’Istituto “Alcide Cervi” promuove e realizza attività culturali e scientifiche per esplorare e rinnovare il sapere sul mondo agricolo, sull’antifascismo, sulla guerra e sulla Resistenza indagati sotto il profilo storico, economico, sociale, giuridico, letterario e anche artistico. Il museo Cervi è una realtà che continua ad arricchirsi di nuovi spazi, in linea con la sua vocazione di pensare al futuro e ai giovani: nel 2006 sono stati inaugurati il Parco Agronomico e l’installazione multimediale Quadrisfera, ultima frontiera della divulgazione scientifica. Dal 1979 vengono pubblicati gli annali che con altre opere di ricerca realizzate dall’Istituto Cervi sono stati donati alla biblioteca della Casa della Memoria e della Storia di Roma in occasione della proiezione del film. Una trentina di volumi che costituiscono il primo passo della collaborazione tra le due istituzioni, prefigurata e vagheggiata fin dal duplice incontro, nel 1997 e poi nel 2001, tra il Sindaco di Roma Walter Veltroni e Maria Cervi. Un rapporto ispirato alla frase che papà Cervi pronunciò ai funerali dei suoi figlioli: «dopo un raccolto ne viene un altro».

Patria indipendente, 21 gennaio 2007

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