Patria indipendente

Quello che racconta e spiega la sorella di un caduto partigiano

“A chi nega i valori della Resistenza io dico…”

Il prezzo pagato dalla famiglia Maggini ai valori di libertà e democrazia

 

di Vera Maggini Maltoni

 

Tempo fa “Patria” promosse l’iniziativa di raccogliere nuove testimonianze su quella che fu la partecipazione di tanti italiani alla lotta di Liberazione; era la volontà di ascoltare voci silenti, sempre importanti nella ricostruzione e nel ruolo di “quella scelta” tanto giusta e decisiva per il Paese. Sono la sorella di un partigiano caduto; fui tentata di inserirmi in quella motivazione, spinta dalla inestinguibile nostalgia di “Lui”; mi trattenni, riflettendo che proporre Alessandro Maggini, martire riconosciuto e glorificato da sempre, sarebbe stato come voler rilevare un intimo dolore in quella infinita strada di croci che ci accomuna; e poi ritenni giusto l’intento primo di “Patria”, quello cioè di fare emergere quelle voci dall’ombra prima che si spengano per sempre. Spesso, tra la nostra gente, ricorre il sentimento del pudore che spinge al riserbo personale; forse ritrovarci, sempre uniti nel ricordo, davanti ai nostri cippi, ripercorrere i luoghi delle nostre lacrime, rimpiangere le nostre vittime consapevoli e innocenti, ci mette, ogni volta, a confronto con la dimensione della tragedia vera e ci inibisce dal tradurla in modo individuale. Ma la Resistenza deve sopravvivere ai suoi protagonisti e deve trovare, al di là del mito, la forza e la capacità di difendere e diffondere i suoi inalienabili valori; e se la mitizzazione è il sentimento alto e nobile della gratitudine, la partecipazione e la tenacia nel contrastare attacchi vili e spregiudicati è la doverosa manifestazione di altrettanta riconoscenza.Respingiamo dunque con le nostre “voci” e con le nostre “storie” lo squallore intellettuale e morale di quanti, con la livella dei “combattenti di qua e di là”, e con l’ostinata ricerca di vendicativi “scoop storici”, allontanano da quella partecipazione necessaria a procedere lungo il percorso democratico che i resistenti stessi hanno indicato. «C’è, nel clima politico-culturale sempre più dominante, un’aggressiva negazione dei valori della democrazia e della resistenza che forse ci costringe a ridiventare ciò che speravamo e credevamo di non venire più costretti ad essere, ossia intransigenti antifascisti»: sono parole di Claudio Magris. E in queste parole scorgiamo il nostro percorso: c’è la condanna senza appello del fascismo, l’importanza fondamentale dei valori della Resistenza, la ferma denuncia di ogni tentativo di aggressione; ma ciò che vi si avverte è soprattutto la preoccupazione per le conseguenze di questo incalzante e rinnovato rancore, che si accentua nel fantasioso delirio, nel reiterato insulto e nell’infame obiettivo di pseudopersonaggi che, prezzolati, danno fiato al “furore dei vinti” e dimenticano quel fiume di sangue “dei Giusti e degli Innocenti”. Ai responsabili di tanto spregio consiglio di leggere solo alcune delle lettere di condannati a morte della Resistenza Italiana; basterebbe ripercorrere l’odissea di quegli infelici, il più delle volte condotti alla morte dopo aver subito atroci torture, per identificare i loro carnefici in camicia nera; basterebbe scorgere la purezza di quella loro passione ideale, per esaltarne l’altruismo; basterebbe recepire l’anelito di libertà e giustizia che li animava per intendere e commuoversi di fronte al loro coraggio e alla loro modestia. Loro! Innocenti e Onesti che chiedono perdono al dolore; Loro! Che davanti agli impietosi spengono in se stessi l’odio per lanciare l’ultimo messaggio di pace della loro “causa”; commuoversi non sarebbe difficile neanche per i paladini di tanto scempio, se solo potessero spegnere quel livore sordo che li acceca. Ma la colpa non li ha redenti, la vergogna non li sfiora, il generoso oblio loro concesso non ha spento la sete di vendetta che li anima; e così si condannano ad ascoltare le nostre voci che non si spegneranno mai, perchè noi continueremo caparbi a raccontare il nostro dolore mai lenito e difenderemo all’infinito tutti gli ideali, tutti i valori, tutte le speranza della Resistenza italiana. Debbo a questo punto aggiungere alla mia riflessione l’esempio di quanto, uomini irriducibili e idealisti tenaci, hanno pagato per la libertà del loro Paese; sono uomini della mia famiglia, una famiglia che dal 1° al 2° Risorgimento ha perso pezzi lungo l’interminabile lotta per la “causa Giusta”. Il mio bisnonno Giuseppe Maggini – assertore del diritto dell’Italia alla sua libertà nazionale, seguace prima del vecchio partito rivoluzionario carbonaro mazziniano e più tardi della “Giovane Italia” – sarà arrestato dagli austriaci e dopo alcuni giorni di feroci torture, il 25 luglio 1849 verrà condannato a morte insieme al grande patriota Antonio Elia. Suo figlio Ubaldo, convinto che si può e si deve tutto tentare per la libertà della sua terra, combatte con le armi e col pensiero, ma viene scoperto in possesso di documenti compromettenti e, arrestato, verrà torturato fino alla morte. (Ancona, n. 1830 m. 1858) Mio zio Remo Maggini – fratello gemello di mio padre – sarà trucidato dalle squadracce fasciste che nell’agosto 1922 irruppero con selvaggio furore nella città di Ancona “Rossa”. (Ancona, n. 22-12-1896 – Ancona, m. 2-8-1922) Alessandro Maggini, “Sandro”, partigiano, mio fratello, la mia parte più dolente; sono nata che lui non c’era più e forse anche per questo è entrato nella mia vita in maniera imponente e indissolubile. 20 anni di bontà, di intelligenza, di studio e d’amore messi davanti ad un freddo muro di cinta mentre una raffica assassina spegneva la sua Bella Gioventù. (Ancona, n. 1-3-1924 – Ostra, m. 6-2-1944) Riporto di seguito la poesia che il compagno partigiano Alberto Galeazzi “Alba” dedicò all’eccidio di Monte Sant’Angelo (Arcevia) e alla memoria del gruppo dei GAP che prese il nome di mio fratello e che fu sterminato in quell’eccidio. Aleandro Longhi “Aleandro”, partigiano, mio cugino, figlio di Cornelia Maggini trasferitasi con la famiglia a Genova nel 1915. Il filo conduttore di un’inestinguibile necessità di virtù morale; antifascista “eccellente” si dà alla lotta clandestina e viene arrestato sin dall’8-9- 1942; dopo il 25-7-1943 Aleandro riacquista la libertà, riprende i contatti con i suoi compagni e sarà tra gli organizzatori della Resistenza nella sua città. Verrà arrestato in seguito a delazione e il nemico infierirà su di lui in maniera disumana. Il 30-7-1944 l’annuncio sul Secolo XIX: “Un gruppo di terroristi condannato a morte: la sentenza eseguita all’alba di ieri in uno dei forti della città”. (Ancona, n. 5-7-1909 – Genova, m. 29-7-1944).

Riporto di seguito l’ultima lettera di Aleandro alla madre.

Genova, 29-7-1944

Cara mamma, mi devi perdonare per questo grande dolore che ti reco. Lo sai, io sono sempre stato comunista e per questo devo pagare con la vita. Cara mamma, non devi piangere e devi essere forte come sono forte io. Io ho sempre fatto il mio dovere di operaio, non ho mai fatto del male a nessuno, in questo momento non devo rimproverarmi niente. Un giorno ho visto Eugenio a Genova, mi rincresce che non abbia potuto venire a trovarti. Il pensiero è tutto per te e per i miei fratelli. Ho parlato con il Reverendo, mi ha promesso di venirti a trovare per farti coraggio: lui ti potrà dire della mia calma. Il partito mi ha dato degli incarichi che ho fatto tutto il possibile per assolvere. Mi ero impegnato a far uscire l’Unità e sono riuscito a stampare il primo numero. Tanti saluti e baci a tutti, Eugenio, Osvaldo, Nello e alla piccola Silvana e Rina, tanti baci a zio Giuseppe, a sua moglie e figli. Cara mamma, tanti baci. Tuo figlio Aleandro P.S. Ti mando il numero della mia matricola da Marassi n. 1053.

Questa è storia vera, vissuta con gli strappi più laceranti, ma quello che mi preme sottolineare con forza, soprattutto ai velenosi e agli stolti, è il messaggio che questi uomini hanno lasciato: un messaggio fiero e coraggioso, un messaggio di lotta e di coerenza, ma soprattutto il messaggio di un supremo sacrificio per la pace e la libertà di tutti. Nei quarant’anni vissuti con mia madre ho conosciuto in lei la sofferenza più profonda che una donna possa patire, la perdita di un figlio; ma nel suo cocente rimpianto, mai una volta mi ha istigata all’odio e al rancore per la persona; il suo rifiuto e la sua condanna erano per il fascismo, per la violenza, per la sopraffazione. Imparino, quei signori dalla penna superficiale e maligna, il riguardo della storia. Si emancipino dal loro squallore mercenario e non strumentalizzino la sofferenza di un periodo tanto tragico per il popolo italiano.

Patria indipendente, 21 gennaio 2007

 

 

 

 

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