Patria indipendente
La straordinaria “resistenza” del padre di Piero Angela
“Questi? Sono solo dei matti” E così salvava gli ebrei
di Leo Donati
Alla libreria Melbook Store di Roma, alla presentazione del libro L’allenatore errante, che narra la storia del tecnico del Grande Torino Ernest Egri Erbstein, cacciato dall’Italia nel 1938, in seguito alle leggi razziali fasciste, è intervenuto – accanto ad Antonio Ghirelli, Giancarlo Governi e la figlia di Erbstein, Susanna Egri – anche Piero Angela. C’era folla, curiosa per la presenza del più noto divulgatore della TV pubblica alla presentazione di un libro come quello, che non tratta di tecnologia, né di scienza, argomenti che Angela affronta da moltissimi anni con la competenza che gli è riconosciuta. E allora? Come mai si trovava lì? Lo ha spiegato lui stesso, che in gioventù – ha raccontato – giochicchiava al calcio e dunque il Grande Torino gli stava nella testa, se non proprio nel cuore. E che poi ha sposato Margherita, una allieva della danzatrice Susanna Egri, della quale però ignorava il destino di profuga che aveva rischiato, col padre, la deportazione ad Auschwitz e che a Budapest aveva dovuto camminare per strada con la stella gialla cucita sul cappotto. Infine perché – e qui Piero Angela si è aperto davanti al pubblico in maniera inaspettata – la tragedia della Shoah ha riguardato da vicino la sua famiglia. «Mio padre – ha detto – è stato dichiarato un “giusto” dallo Stato di Israele e in suo nome è stato piantato un albero nel Giardino dei Giusti di Gerusalemme. Mio padre – ha continuato Angela – ha salvato molti ebrei, accogliendoli nella sua clinica per malattie mentali e insegnando loro come dovevano comportarsi per apparire matti. Quando arrivavano le SS, si trovavano di fronte ad una piccola folla di malati di mente e allora se ne andavano». Piero Angela, dice chi lo conosce bene, non parla mai volentieri di sé e della propria famiglia. Poche parole per accennare a questa vicenda e poi basta. Sicché tocca a noi raccontare quella storia, venuta alla luce qualche anno fa in maniera inaspettata. Se fosse stato per lui, Piero Angela, essa sarebbe forse rimasta sconosciuta ai più. Ma nel 1995, uno dei «salvati» dal padre, l’avvocato Massimo Ottolenghi, dichiarò pubblicamente di avere beneficiato della solidarietà del professor Carlo Angela presso Villa Turina, la clinica che sorgeva a San Maurizio Canavese. «Mia moglie – raccontò Ottolenghi – era incinta ed avevamo già una bambina. Il professore le nascose presso il reparto pazze furiose». Poco dopo, fu un libro scritto da Renzo Segre (Venti mesi), ebreo di Biella, a fare luce completa, grazie ad un diario scritto in quel periodo. Solo dopo la sua morte, la figlia Anna decise di pubblicare quel diario presso Sellerio anche se, aggiunse, «è stato difficile decidere di dare alla luce uno scritto così intimo». Nicola Tranfaglia scrisse allora che da quel diario emergeva «il ritratto di un uomo che brilla di luce propria ed è la figura del professor Angela, del medico che accoglie i Segre e tanti altri nella sua clinica e riesce per venti mesi a proteggerli dai nazisti come dai fascisti repubblicani» Ma il prof. Carlo Angela non se ne era mai vantato e c’è voluto molto lavoro per ricostruire quella vicenda. Era nato a Olcenengo, presso Vercelli, il 9 gennaio 1875 e nel 1899 si era laureato in medicina. Poi aveva viaggiato fino in Congo, alle dipendenze dell’esercito del Belgio, quindi aveva raggiunto Parigi studiando col prof. Babynsky, che tra i suoi allievi aveva anche Freud. Tornato in Piemonte dopo la grande guerra, aderisce a Democrazia sociale, che fornirà purtroppo al governo Mussolini ben 4 ministri. Allora Carlo Angela se ne distacca e si avvicina al socialismo riformista di Ivanoe Bonomi. Alle elezioni del 1924 si presenta anche nelle sue liste ma il trionfo è dei fascisti e nessuno dei bonomiani viene eletto. Quando Matteotti viene ucciso, il prof. Angela scrive sul settimanale Tempi Nuovi che «il nefando delitto ha macchiato indelebilmente l’onore nazionale». I fascisti non gliela perdonano e gli uffici del giornale vengono incendiati. Gli anni a venire vedranno il prof. Angela operare, in una sorta di autoconfino, dedito alla cura delle malattie mentali, come se la dittatura fascista ne fosse la causa e il simbolo. Ma intanto accoglie nella clinica Villa Turina Amione, di cui è direttore sanitario, il ventenne Paolo Treves, figlio dell’esponente socialista Claudio. Il giovane Treves ha scritto una lettera di solidarietà con Benedetto Croce, che Mussolini ha personalmente ingiuriato: finirebbe al confino, ma il professor Angela gli certifica una falsa malattia mentale. Anche quando la situazione si fa estremamente pericolosa, con i tedeschi che occupano l’Italia e i fascisti che fondano la Repubblica di Salò, Carlo Angela intesse una rete di protezione che testimonia la sfida ad entrambi: nella clinica accoglie renitenti alla leva della RSI, antifascisti e molti ebrei, dei quali falsifica le cartelle cliniche, trasformando la loro appartenenza ebraica in quella di ariani, dichiarando i sani malati di mente, salvando così decine e decine di persone, tra le quali Donato Bachi, direttore di Tempi Nuovi, il colonnello dei carabinieri Lattes, il capitano Finzi, il professor Valobra, la moglie e la figlia di Ottolenghi, la famiglia Fiz, il capitano Dogliotti, il conte Ravelli di Beaumont, i coniugi Renzo e Nella Segre. Il professor Angela, che si è rifiutato di aderire alla RSI, rischia grosso e parecchie sono le irruzioni delle SS nella clinica. In seguito a una rappresaglia fascista, l’11 febbraio 1944, egli viene arrestato e rischia la fucilazione. Quando il Nord viene liberato, egli è posto alla testa della giunta comunale e il 1° maggio del 1945, al comando di un piccolo gruppo di partigiani, decide di lasciar passare una forte colonna tedesca in ritirata, facendo credere che i partigiani siano tanti e che abbiano occupato il paese. Il giorno dopo accoglie finalmente i soldati americani. Passata la guerra, torna al suo lavoro di medico come presidente dell’ospedale Le Molinette di Torino. La morte lo coglierà il 3 giugno del 1949, a 74 anni. «Quando lo assistevo – ha raccontato Piero Angela – ricordo che avevamo parlato proprio del Grande Torino, caduto a Superga nel mese precedente». Il 3 giugno del 2000 è stata scoperta a San Maurizio Canavese una lapide apposta sul muro di Villa Turina, che dice: «In questa casa di cura operò il prof. Carlo Angela (1875-1949) insigne psichiatra e nobile figura del primo antifascismo. Praticò la forma più alta di resistenza civile, offrendo sicuro rifugio ad ebrei e perseguitati politici. Nel cinquantunesimo anniversario della scomparsa, i sanmauriziesi ne ricordano pure l’opera generosa ed efficace quale primo sindaco dopo la Liberazione. 3 giugno 2000 - Comune e sezione ANPI». Fu in quella occasione che i figli Piero e Sandra ricevettero a nome del padre la medaglia dei “Giusti fra le nazioni” da parte dell’ambasciatore di Israele. Ed è questa la storia cui Piero Angela ha appena accennato alla presentazione de L’Allenatore errante: un lascito che egli ha voluto onorare pubblicamente, come segno di solidarietà con la figlia di Ernest Erbstein, la danzatrice Susanna, che nel 1944 era costretta a percorrere le strade di Budapest con la stella gialla cucita sul cappotto e che scampò ad Auschwitz grazie ad una serie di coraggiosi stratagemmi che la rendono così vicina al professor Carlo Angela, quello che insegnava ai sani come sembrare pazzi.
Patria indipendente, 21 gennaio 2007