Patria indipendente

Busto Arsizio: aggredito a 84 anni, non lo ha difeso nessuno

Angelo Castiglioni ai naziskin:

“Sì, partigiano. E fiero di esserlo”

D.D.P.

 

Sono quasi le otto quando Angioletto saluta gli amici della panchina e si avvia da solo verso il motorino parcheggiato per tornare a casa. Fa buio, ma sotto i portici, a Busto Arsizio, c’è ancora gente al bar, a prolungare nell’ultimo aperitivo il pomeriggio di un sabato di fine estate. «Mentre stavo per montare in sella, ho sentito gridare in coro proprio dietro di me – “Heil, Heil Hitler!” – mi sono voltato e c’erano una ventina di giovinastri col braccio teso e le svastiche tatuate», racconta Angioletto. Spintonando gli si stringono intorno e il più piccolo del mucchio, uno di Busto, gli urla in faccia, stavolta: «Eccolo, è questo, è lui lo sporco partigiano!». Angelo Castiglioni è del ’23 e quando era ragazzo lui il sabato bisognava passarlo per forza tra adunate, esercizi ginnici e sfilate in camicia nera: «Fu proprio in quei giorni che maturò in me e in tanti miei coetanei venuti su col fascismo l’insofferenza per un regime che penetrava fin dentro il nostro privato». Poi, arrivò la guerra e la chiamata alle armi nell’aeronautica. L’otto settembre coglie Angelo a Taranto, bombardata dagli alleati alla fine di agosto: «Tornai a casa e compresi che bisognava fare qualcosa per salvare l’Italia dal disastro. Mi mosse l’amore per la Patria – un sentimento che, seppure strumentalizzato dall’ideologia fascista, era forte in tutti quelli della mia generazione – e il tam tam di notizie sulla strage di ebrei compiuta dai nazifascisti sul lago di Meina». Castiglioni entra come tornitore alla Metallurgica Marcora di Busto e, con altri undici compagni, organizza e porta a termine diversi sabotaggi alla macchina da guerra tedesca. Fino ad una spiata che fa arrestare tutto il gruppo che opera in clandestinità. Da quel momento è la solita, spietata trafila di interrogatori e torture, prima della deportazione in Germania. «Sono passato per una teoria infinita di campi di prigionia, quasi tutti quelli dell’Italia del nord e poi, in Germania, a Flossenbürg e nel sottocampo di Zwickau, dove sono rimasto per nove mesi, il massimo che un uomo potesse reggere, e dove ho visto morire nei modi più atroci i miei compagni». Dopo nove mesi di prigionia, l’Armata Rossa si avvicina e Angelo deve sopportare l’ultimo incubo di una marcia di oltre 300 chilometri a tappe forzate, durante la quale la sua colonna si ricongiunge coi prigionieri provenienti da Auschwitz. «Avevamo solo una coperta e una rapa e chi non poteva o non ce la faceva a camminare veniva finito con un colpo alla nuca», continua a ricordare Castiglioni. Poi finalmente, giunti nelle vicinanze di Praga, la liberazione: «Allo stremo delle forze, non ci rendemmo neanche conto che non eravamo più sorvegliati dai nazisti. Il mio sguardo scorse uno stemma della Croce Rossa Internazionale e, subito dopo, sentii le prime mani tese che mi aiutavano a sorreggermi». «Eccolo, è questo, è lui lo sporco partigiano!»: Angelo Castiglioni, 84 anni. Vigliacchi! Nessuno, tra i cittadini di una comunità decorata con Medaglia di Bronzo al Valor Militare per la lotta di Liberazione, interviene in suo soccorso. E a Busto Arsizio la polemica infuria, visto anche il coinvolgimento del capogruppo di AN (autosospeso nel suo partito ma presente in Consiglio comunale) come indagato nell’inchiesta sul Movimento dei Lavoratori Nazionalista e Socialista, gruppo di chiara matrice neonazista, che ha riguardato il territorio di Varese, Como, Lecco e Milano. C’è poi la questione dei rapporti dell’amministrazione con Comunità Giovanile, associazione culturale ufficialmente apartitica, apolitica e pluralista ma punto di riferimento per l’estrema destra lombarda. E ancora la querelle sulla sede individuata per la neonata Fondazione “Giovanni Blini”, intitolata allo scomparso militante bustocco di Fare Fronte e fondatore proprio di Comunità Giovanile. Gli amministratori di Provincia e Comune non hanno trovato di meglio che assegnarle i locali dell’edificio che ospita attualmente il Liceo Artistico in Piazza Trento e Trieste e che durante l’occupazione nazifascista fu comando cittadino delle SS e luogo di detenzione e tortura dei partigiani e antifascisti della zona. Che incredibile coincidenza, vero. Nella sua città, da tanti anni, Angelo è il custode del Tempio Civico, un sacrario che rende omaggio e conserva la memoria del sacrificio dei caduti dei due conflitti mondiali e delle vittime della deportazione. Nei giorni successivi all’inquietante episodio ha ricevuto la solidarietà di cittadini e istituzioni. Quella del sindaco di centrodestra Gianluigi Farioli e del Consiglio comunale, che ha approvato, praticamente all’unanimità, un documento di condanna dell’aggressione squadrista. Angioletto ora, però, fa fatica a proseguire l’intervista: «Poi rischiamo anche di fare troppa pubblicità a questi neofascisti». E precisa di aver denunciato l’episodio alla Digos solo dopo l’insistenza di un amico avvocato. Difficile per un uomo riservato accettare di parlare e far parlare di sé. «Ho raccontato la mia storia perché sono un testimone. Quando incontro i ragazzi nelle scuole, prendo la parola per quelli a cui è stata tolta, per quelli che non hanno potuto avere voce. I neonazisti che mi hanno aggredito non hanno umiliato me, ma le vittime del nazifascismo e la nostra Costituzione. A quei violenti ho detto di andare a visitare i campi di sterminio, di stare un po’ lì a guardare da dietro le recinzioni, poi ne riparliamo. E, soprattutto, ho risposto loro che io sono un partigiano pulito. Come pulita è stata la nostra Resistenza».

Patria indipendente, ottobre 2007

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