Patria indipendente

Gli occupanti nazisti e l’operazione “Sonderaktion Krakau”

Fucilazioni e massacri per cancellare la cultura polacca

 

di Joanna M. Sondel

 

«Nello spazio di quindici-vent’anni il Führer è deciso a fare di questo Paese un territorio prettamente tedesco. D’ora in poi il termine, sede della nazione polacca, non verrà più impiegato in rapporto al governatorato generale ed ai territori limitrofi», annotava Hans Frank nei suoi diari nel marzo 1941. Le parole di uno dei più importanti gerarchi nazisti testimoniano chiaramente le intenzioni di Hitler nei confronti della nazione polacca. Queste divennero realtà con l’invasione del 1° settembre 1939. A pochi giorni dalla vittoria militare sulla Polonia i tedeschi intrapresero un’azione sistematica di “snaturalizzazione” e di colonizzazione, con lo sterminio di tutti coloro che si presumeva potessero in qualche modo organizzare un’azione di resistenza. Le SS, la Gestapo e la Selbstschutz, un’organizzazione paramilitare terroristica guidata da fanatici criminali estratti dalla minoranza tedesca, effettuavano un controllo di prevenzione e repressione contro possibili atti di resistenza su tutto il territorio polacco. Inoltre, conformemente al piano di colonizzazione della Posnania e della Pomerania, due regioni dove l’elemento autoctono tedesco era più forte, elaborato ancor prima dello scoppio della guerra e successivamente destinato ad estendersi verso altri territori polacchi, già dall’ottobre 1939 si diede avvio alle espulsioni di polacchi dai territori annessi per stabilirvi i tedeschi provenienti dal Reich e Volksdeutsche arrivati dai diversi Paesi dell’Europa orientale e sud-orientale. I polacchi espulsi vennero privati dei loro beni che venivano assegnati dalle autorità d’occupazione ai neo immigrati tedeschi. Secondo elemento della politica d’occupazione era la germanizzazione. I nazisti miravano all’annientamento della cultura e della fisionomia della nazione polacca. Nelle loro intenzioni i popoli slavi ed in particolare i polacchi erano destinati a ricoprire il ruolo di schiavi lavoratori senza qualifica, pertanto non necessitavano d’istruzione superiore o universitaria. Così in tutto il territorio occupato era stato fatto divieto alle università di riaprire i loro corsi come pure era vietata ogni forma di insegnamento, ad eccezione di quella elementare e professionale. Questo programma fu presentato dettagliatamente in un promemoria, redatto da Himmler nel maggio 1940, ove si poneva: «Per la popolazione dell’Oriente non tedesca non deve esistere nessuna scuola superiore alla scuola elementare di quattro classi. Lo scopo di tale scuola elementare deve essere unicamente quello di insegnare a fare di conto fino al massimo di cinquecento, a scrivere il proprio nome, ad apprendere (il che è un comandamento divino) ad essere obbedienti ai tedeschi, ad essere onesti, laboriosi e docili. Non ritengo sia necessaria la capacità di leggere». Oltre agli istituti scolastici furono chiusi i cinema, i teatri, i musei ed altre istituzioni culturali, perfino i giardini pubblici. Gli occupanti tedeschi intrapresero inoltre l’opera di distruzione o trafugamento delle opere d’arte (sparì inesorabilmente un famoso quadro di Raffaello, custodito assieme alla Dama con l’Ermellino di Leonardo da Vinci alla Galleria dei Principi Czartoryski di Cracovia, mentre un’opera del famoso pittore Jan Matejko, rappresentante un atto di omaggio del Principe Prussiano Albrecht Hohenzollern al re polacco Sigismondo I nel 1525, fu tagliata a pezzi da soldati tedeschi inferociti). Così avvenne anche per i volumi antichi e rari ed altri beni dal significato storico-nazionale. La repressione nazista si abbatté anche contro i principali esponenti del mondo della cultura. Dal settembre al novembre 1939 fu eseguita l’operazione Intelligenzaktion che portò all’eliminazione di decine di migliaia di intellettuali polacchi, della nobiltà e del clero giudicati dalla Gestapo nemici del Terzo Reich o comunque «elementi suscettibili di sostenere la resistenza contro l’occupazione». Secondo le fonti degli stessi tedeschi, nell’arco di questi due mesi in Pomerania, nelle foreste presso Wejterowo e Starogard e in località presso Sepolno, Chelmno, Skrwilno e Rypin furono uccise 20.000 persone. Nello stesso periodo 4.000 furono i massacrati in Posnania e nel solo mese di settembre la Wehrmacht, le SS ed altri reparti assassinarono ben 16.000 fra polacchi ed ebrei. L’episodio più clamoroso di quest’opera di sradicamento della cultura polacca fu la Sonderaktion Krakau. Con questo nome in codice i tedeschi definirono l’azione condotta contro i docenti dell’Università Jagellonica e dell’Accademia della Tecnica Mineraria e Siderurgica di Cracovia compiuta il 6 novembre 1939 (Action gegen Universitätsprofessoren). Cracovia fu occupata il 5 settembre 1939 e divenne la sede del Governatorato generale tedesco, al cui vertice fu nominato Hans Frank. Nonostante le scuole superiori in tutto il governatorato venissero chiuse, il rettore dell’Università, prof. Tadeusz Lehr - Splawinski decise  di riprendere i corsi regolari il 13 novembre, ma questo non poté avverarsi. Il 6 novembre 1939 tutti i docenti furono convocati dall’Obersturmbannführer delle SS Bruno Müller per presenziare ad una conferenza sulle «idee di insegnamento della Germania». I centosessanta professori, presentatisi volontariamente all’incontro, furono arrestati e deportati al campo di concentramento di Sachsenhausen/Oranienburg. Gli avvenimenti di Cracovia suscitarono la forte indignazione e protesta dell’opinione pubblica internazionale. Le notizie, uscite dapprima sulla stampa d’emigrazione polacca, furono successivamente pubblicate sui più importanti giornali inglesi, francesi, svizzeri e americani. Alcuni di essi, cercando di spiegare questi fatti, senza precedenti sulla scena europea, interpretarono l’arresto dei professori di una delle più antiche e prestigiose università europee come una punizione per aver rifiutato di far parte di un governo fantoccio sotto la protezione dell’occupante. In realtà questa drastica misura fu presa allo scopo di dimostrare che le autorità d’occupazione non avevano alcun interesse ad una collaborazione politica con i polacchi e rientrava perfettamente nel clima di terrore che cercava di creare l’occupante. In favore dei docenti arrestati si schierarono le diplomazie ed i centri culturali di tutta Europa. Le università di diversi Paesi occidentali si mobilitarono per esprimere indignazione e solidarietà presso le rappresentanze diplomatiche polacche. Uno dei primi interventi per la liberazione dei professori fu quello ungherese, in particolare in favore di due professori, Jan Dabrowski e Zygmunt Sarna, legati da contatti scientifici agli scienziati ungheresi. Allo stesso modo operarono anche i governi svedese, svizzero, serbo e spagnolo. Anche alcuni scienziati tedeschi, tra cui l’eminente slavista Max Vasmer e D. Westermann, professore di glottologia all’Università di Berlino, presentarono all’inizio di gennaio una petizione, chiedendo la liberazione dei professori polacchi, evidenziando i fervidi contatti dell’Università di Cracovia con il mondo accademico tedesco. Questo atto di protesta di alcuni docenti tedeschi, testimonianza del loro coraggio, fu tanto più clamoroso tenuto conto che nessuna delle organizzazioni scientifiche tedesche si attivò per salvare i colleghi polacchi. Fra gli interventi atti alla liberazione dei detenuti si rivelò particolarmente efficace l’azione diplomatica italiana. Va evidenziato che in questa occasione il mondo accademico italiano dimostrò una grande solidarietà con i professori polacchi. Numerosi furono i rappresentanti del mondo culturale, tra cui il noto slavista prof. Enrico Damiani e il Presidente dell’Associazione mutilati e invalidi di guerra, Carlo Del Croix, che intervennero personalmente. Sul versante opposto emerge il comportamento del noto storico Gioacchino Volpe, il quale, nonostante prima della guerra fosse ospitato con grandi onori a Cracovia, sollecitato dalla figlia di uno dei professori arrestati, si rifiutò di offrire aiuto. Si mosse anche la diplomazia polacca che, indipendentemente dalla guerra, aveva mantenuto le sue sedi a Roma. Attorno alla residenza romana dell’Accademia polacca delle Scienze si costituì inoltre un comitato di intellettuali con l’obiettivo di raggiungere tutti i possibili interlocutori del governo italiano e convincerli ad un passo diplomatico nei confronti dell’alleato tedesco. L’Ambasciatore polacco a Roma, generale Boleslaw Wieniawa Dlugoszowski parlò con Galeazzo Ciano e ricevette dal ministro degli Esteri garanzie di aiuto. Allo stesso scopo il direttore dell’Accademia delle Scienze, prof. Józef Michalowski, si rivolse a Luigi Federzoni, allora Presidente dell’Accademia d’Italia e Presidente del Senato, mentre il Vaticano intraprese un’azione diplomatica presso le autorità tedesche tramite il suo nunzio a Berlino. Sotto la pressione dell’opinione pubblica europea ed in particolare della diplomazia e delle autorità scientifiche le autorità del Reich rinunciarono al proposito di eliminare i detenuti ed acconsentirono alla liberazione di un gruppo di professori “più anziani” che lasciarono il campo di Sachsenhausen il 6 febbraio 1940. Purtroppo, già nel primo inverno, diciannove docenti, fra cui l’illustre storico e giurista, ex rettore dell’Università, Stanislaw Estreicher e il polonista Ignacy Chrzanowski, l’ellenista Sternbach e il geografo Jerzy Smolenski perirono per le conseguenze della detenzione. Secondo le relazioni dei sopravvissuti le condizioni nel campo di concentramento erano durissime, si soffriva di fame, freddo ed i detenuti, malgrado la loro avanzata età, furono costretti a pesanti lavori fisici, non di rado venivano malmenati o perfino torturati. Gli altri professori, trasportati in seguito a Dachau, furono rilasciati tra il 1940 e il 1941. L’indugio sulla loro liberazione fu sostanzialmente causato dal fatto che secondo le autorità germaniche, essendo giovani, potevano, una volta liberi, entrare a far parte della resistenza e dei comitati direttivi delle organizzazioni partigiane. Nonostante queste drastiche misure atte ad assoggettare la cultura polacca, attuate praticamente fin dall’inizio dell’occupazione nazista in Polonia, si sviluppò un mondo culturale clandestino. A Cracovia ed in misura maggiore a Varsavia funzionavano scuole di tutti i livelli, compresi corsi universitari, ove le lezioni si tenevano negli appartamenti privati, anche se i docenti e gli studenti si rendevano perfettamente conto del rischio che correvano. Sempre in abitazioni private si svolgevano rappresentazioni teatrali clandestine, che non di rado diedero vita a soluzioni assai innovative dal punto di vista della concezione della rappresentazione, come nel caso del Teatro Indipendente di Tadeusz Kantor oppure del Teatro Rapsodico, dove tra l’altro recitava il giovane studente di lettere Karol Wojtyla. Le formazioni partigiane curavano inoltre la stampa clandestina che comprendeva non solo bollettini politici ma anche veri e propri giornali di carattere scientifico e culturale e perfino la stampa di alcuni libri. Grazie al contributo di numerosi tra i massimi poeti e scrittori polacchi, le pubblicazioni si caratterizzavano per l’elevato livello artistico-culturale. Così nel 1943 fu stampato, a cura della Commissione Propaganda del Comitato Generale dell’AK (Esercito Nazionale) il libro Kamienie na szaniec (Pietre sulla trincea) di Aleksander Kaminski, un racconto-reportage che trattava delle vicende delle Schiere Grigie, formazioni militari di boy-scout inquadrate nell’AK.

Nota

Tutte le citazioni provengono da G. Vaccarino, Storia della resistenza in Europa 1938-1945. I paesi dell’Europa centrale: Germania, Austria, Cecoslovacchia, Polonia, Feltrinelli, Milano 1981, pp. 318-319.

Patria indipendente, luglio 2007

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