Patria indipendente

L’orrore delle Ardeatine in un nuovo libro su Papa Pacelli

Ricomincia la campagna contro i partigiani di via Rasella

 

di Fernando Orsini

 

Le bugie di Andrea Tornielli, vaticanista del “berlusconiano” Il Giornale.

Una lettera di Massimo Rendina. Fare storia sbagliando tutto in modo grossolano

 

I luoghi comuni sono veramente duri a morire. Quelli che per oltre sessant’anni hanno alimentato la leggenda nera dell’attentato di via Rasella sono poi eterni. Anche Andrea Tornielli, vaticanista de Il Giornale ed autore dell’ultima ponderosa biografia di Papa Pacelli Pio XII Eugenio Pacelli – Un uomo sul trono di Pietro, appena uscita da Mondadori, non ha resistito a quei luoghi comuni, inanellando non pochi errori frammisti a qualche mistificazione storica. Iniziando a descrivere (pag. 430) l’attacco partigiano, il biografo pacelliano sostiene che nell’attentato del 23 marzo 1944 rimasero «vittime quarantadue poliziotti tedeschi… abitanti dell’Alto Adige, costretti ad arruolarsi e appartenenti all’11a Compagnia del Reggimento “Bozen”», il cui compito era «quello di sorvegliare alcuni edifici pubblici» e, pertanto, non si trattava «di truppe combattenti e in molti casi questi [agenti] manca[va]no di qualsiasi preparazione militare». Tornielli sbaglia nel sostenere che non erano “truppe combattenti”, perché sono stati proprio alcuni superstiti di quella stessa Compagnia (Konrad Sigmund e Franz Bertagnoli) a riferire che erano armati con machine-pistolen, fucili, rivoltelle e bombe a mano alla cintura, preceduti e seguiti da due motocarrozzette con mitragliatrici. Quegli “agenti”, componenti della 11° Compagnia del 3° Battaglione dello “SS Polizei Regiment Bozen”, di fatto erano SS armate di tutto punto, con il colpo in canna e sempre pronti a sparare, volontari (non reclute coatte) con giuramento di fedeltà a Hitler, specificamente addestrate alla “lotta contro le bande” e per compiere, fra l’altro, rastrellamenti della popolazione civile e stragi (come è accaduto nel Bellunese, in Istria e altrove, ad opera di altri reparti dello stesso reggimento), come la storiografia più accreditata ha successivamente appurato. Ma la regina delle mistificazioni arriva subito dopo qualche riga. «Nello stesso pomeriggio del 23 marzo, e per tutto il giorno successivo, la popolazione di Roma – scrive Tornielli, “dimenticando” tra l’altro che la strage delle Ardeatine iniziò alle 14 di quel “giorno successivo”, e cioè il 24 marzo, 22 ore dopo l’attacco partigiano del 23 marzo, e che Roma era soggetta al coprifuoco dalle 18 del pomeriggio alle 6 del mattino successivo – viene avvertita dalle autorità tedesche, attraverso automobili fornite di altoparlanti, che ci sarebbe stata una pesante rappresaglia se gli attentatori non fossero stati catturati o non si fossero consegnati». Dove l’autore abbia appreso tutto ciò non viene in alcun modo detto nel libro e pensiamo che Tornielli non lo potrà mai spiegare ai lettori, e ciò per la semplicissima ragione che quella dell’annuncio della rappresaglia da parte tedesca è un’autentica leggenda, un conclamato falso storico ormai clamorosamente e definitivamente smentito. Sarebbe bastato dare una scorsa alla deposizione resa dal feldmaresciallo Kesselring nel processo a carico di Kappler celebratosi innanzi al Tribunale Militare di Roma, oppure consultare, fra i tanti, il libro di Alessandro Portelli L’ordine è già stato eseguito, edito da Donzelli, particolarmente dettagliato ed autorevole che ha dimostrato, attraverso l’uso scrupoloso e sapiente delle fonti orali, proprio l’inesistenza di qualsiasi annuncio della rappresaglia da parte germanica. Peraltro, la circostanza che l’annuncio della rappresaglia in realtà non è stato mai fatto, è emersa – e ciò Tornielli dovrebbe sapere molto bene – nel corso del processo per diffamazione che si svolse innanzi al Tribunale di Roma nel 1974 a carico di Robert Katz ed altri e che fu promosso proprio dagli eredi di Papa Pacelli. In quel procedimento penale, proprio per sostenere la tesi secondo cui Pio XII non sarebbe stato informato dell’imminenza della rappresaglia, il Tribunale non trovò alcuna conferma all’esistenza dell’appello tedesco ed anzi affermò come «unica verità» che prima del 25 marzo 1944 né manifesti, né avvisi radio, né bandi, né comunicati dell’alto comando germanico annunciarono o minacciarono «misure di rappresaglia da adottare con riferimento ad eventuali azioni terroristiche o a seguito di attentati effettivamente eseguiti». E proseguendo di menzogna in falsificazione, senza evidentemente aver consultato la bibliografia aggiornata e senza curarsi troppo di quel che afferma, Tornielli lapidario aggiunge: «Del resto, lo scopo della loro azione è quello di scuotere l’atteggiamento dei romani, giudicato troppo passivo nei confronti degli occupanti, invitandoli così a sollevarsi. Agli stessi “gappisti” non è ignoto che fin dal primo giorno dell’occupazione tedesca di Roma le autorità del Reich avevano fatto sapere che, per ogni soldato o cittadino tedesco ucciso in azioni partigiane, sarebbero stati fucilati dieci italiani».

Anche qui, oltre a quanto sostenuto dal Tribunale di Roma nel processo intentato dagli eredi di Pio XII contro l’autore di Morte a Roma, sarebbe bastato che l’autore avesse letto, anche sommariamente, le pronunce dei giudici romani (compresa anche la Suprema Corte di Cassazione) degli Anni 90, per sapere che dopo un lungo iter giudiziario contro tre dei membri dei GAP romani che parteciparono all’attacco di via Rasella, Rosario Bentivegna, Carla Capponi e Pasquale Balsamo, accusati di avere agito per provocare la rappresaglia, gli stessi – al termine di indagini approfondite – furono prosciolti da quell’accusa. Un’accusa che ancora oggi e malgrado la solidità degli atti ufficiali che l’hanno smontata, Tornielli ritiene di imputare loro. E insieme a lui coloro che riducono la Storia ad un uso distorto e di parte, sottraendosi alla fatica di capire come andarono veramente le cose e al difficile equilibrio fra ricerca e giudizio storico. Tornielli come chiunque altro ha il diritto di pensarla come meglio crede su via Rasella e sui fatti della Resistenza romana, ma chi fa Storia non può riportare quegli eventi in modo non rigoroso, non dando conto degli interventi che la magistratura e la storiografia più autorevole hanno operato su quei fatti. La realtà è che ancora una volta la vulgata antipartigiana su via Rasella viene eletta a verità storica per infangare e delegittimare la Resistenza. Se ne sentiva veramente la necessità di [ri]affermarla in un libro come quello scritto da Tornielli?

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Ad Andrea Tornielli, ha anche scritto Massimo Rendina, dirigente dell’ANPI di Roma e del Lazio.

Ecco il testo della lettera:

«Egregio dr. Tornielli, abbiamo letto il libro da Lei scritto Pio XII Eugenio Pacelli riscontrandovi, pure su segnalazione di nostri soci e di storici accreditati, numerosi errori inesplicabili – anche per la superficialità dei commenti che li accompagnano – forse a dimostrazione della mancata attenzione alla verità storica, ampiamente acclarata da documenti inoppugnabili, a proposito dell’occupazione nazifascista di Roma (10 settembre 1943, due giorni dopo l’annuncio dell’armistizio - 4 giugno 1944, ingresso degli Alleati nella Capitale) e dell’attacco dei partigiani in via Rasella (23 marzo 1944). Li enumeriamo.

1) L’11ª Compagnia del 3° Battaglione dello SS Polizei Regiment Bozen, attaccata in via Rasella dai partigiani con una azione militare nell’ambito della guerra di Liberazione – come sancito anche da sentenze di Tribunale sino alla Cassazione – non era composta, secondo quanto Lei scrive, da poliziotti altoatesini «costretti all’arruolamento», ma da volontari che avevano giurato fedeltà a Hitler prima che alla Germania. Nessuno di loro – non esistono documenti che provino il contrario – era stato forzato a compiere quel passo.

2) La Compagnia non era stata dislocata a Roma per addestrarsi al presidio di edifici. Nei manuali militari non esiste preparazione per tali mansioni. Vero è – qui i documenti ci sono – che i suoi componenti venivano preparati alla «lotta contro le bande» (dei partigiani), ma soprattutto dovevano specializzarsi nelle tecniche di rastrellamento in previsione della deportazione di una gran parte della popolazione. Il reggimento avrebbe dato prova di straordinaria efficienza nelle stragi di civili compiute in seguito nel Bellunese e in Istria.

3) Le SS in via Rasella non transitavano pacificamente. Erano armate di tutto punto, fucili e pistole mitragliatrici con il colpo in canna (testimonianze dei superstiti Konrad Sigmund e Franz Bertagnoli), bombe a mano nelle cinture e infilate negli stivali, causa della maggior parte delle perdite perché esplose “per simpatia” in concomitanza della deflagrazione provocata dai partigiani, mitragliatrici pesanti carrellate, in testa e in coda alla colonna.

4) Infine è altrettanto falso quanto Lei scrive sul preteso «avvertimento ai partigiani»: «nello stesso pomeriggio del 23 marzo e per tutto il giorno successivo (evidentemente, aggiungiamo noi, mentre già si stava compiendo la strage delle Ardeatine) automobili fornite di altoparlanti avvertivano la popolazione che ci sarebbe stata una grave rappresaglia se gli attentatori non fossero stati catturati o non si fossero consegnati». Lei intende smentire anche Kappler che al processo (si legga gli atti) disse che per il comando tedesco era più urgente e importante eseguire la strage (che gli storici considerano più vendetta che rappresaglia) che «cercare i partigiani»? Uguali parole erano state, del resto, usate da Kesselring nel processo di Venezia, subito dopo la Liberazione. Siamo a Sua disposizione per indicarle i documenti da consultare negli Archivi di Stato, nei centri di documentazione della Wehrmacht a Dresda e a Berlino, o presso di noi, nella nostra “Casa della Memoria e della Storia”.

Patria indipendente, luglio 2007

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