Patria indipendente

60 anni fa i nazisti alla sbarra 

Norimberga: il diritto dei popoli a processare i crimini di guerra

La classe dirigente di un Paese può essere chiamata a rispondere delle stragi e degli abusi

 

di Massimo Coltrinari

 

Sessant’anni fa a Norimberga si concludeva il processo che vide il vertice nazista chiamato a rispondere dei suoi atti e dei suoi crimini. Per la prima volta nella storia, coloro che erano al vertice di uno Stato e attori di una guerra senza leggi e senza limiti, erano chiamati, nel quadro di garanzie processuali riconosciute, a dare conto delle loro decisioni; decisioni che in sei lunghi anni avevano procurato al loro popolo ed ai popoli europei indicibili sofferenze e lutti, oltre a danni materiali immensi. Tenuto a Norimberga, la città tedesca culla della apparente legalità nazista (le famose “leggi di Norimberga” sulle quali si fondò fino al 1942 la giurisprudenza tedesca, travolta poi dalle decisioni della Conferenza di Wansee), questo processo rappresenta la pietra miliare nel Diritto Internazionale per chiamare, in qualche caso, a rispondere dei loro atti tutti i dittatori ed oppressori che si alternano in folla sulla scena di questo martoriato mondo. Ma non solo. Con la dizione di “processo di Norimberga” intendiamo anche le azioni procedurali messe in atto dai vincitori della seconda guerra mondiale, oltre che verso il vertice anche dei maggiori esponenti della dirigenza tedesca. Sono una serie di processi che si svolsero dalla fine della guerra agli inizi degli Anni 50, durante i quali si cercò di ripristinare un minimo di legalità di fronte alla violenza esercitata, oltre i canoni della violenza bellica, dai tedeschi contro popolazioni nemiche i cui componenti non erano belligeranti. Questi processi si tennero non solo in Germania ma anche nei Paesi già occupati dai nazisti, come URSS, Polonia, Cecoslovacchia, Jugoslavia, ecc. Parallelamente a questi processi se ne svolsero altri in seno all’ordinamento giudiziario della Germania Federale, per imputati minori. Questa ultima categoria di processi si qualifica per il fatto che sono Corti composte da tedeschi che giudicano altri tedeschi, ovvero viene meno la composizione internazionale e straniera dell’organo giudicante. Con la metà degli Anni 50 si esaurisce la serie di processi contro i nazisti per vari fattori, primo fra tutti l’imperante guerra fredda e la divisione del mondo in blocchi. Ma sarà il processo ad Eichmann, in Israele, che riporterà la problematica all’attenzione del mondo. Per la prima volta «un processo si pone come obiettivo di dare lezioni di storia». Il pubblico accusatore Giedeon Hausner basa la sua accusa non su prove documentali, come si era fatto a Norimberga, ma chiamando a testimoniare il maggior numero di sopravissuti. L’accusato Eichmann viene “cancellato” dalla parola delle vittime: sono 111 testimonianze che guidano lo spettatore nell’inferno della violenza, della sofferenza e della desolazione quale era il mondo concentrazionario nazista. In pratica con il processo Eichmann si crea una “domanda di conoscenza” di quello che veramente era accaduto e che le varie reticenze avevano seminascosto o relegato nell’indifferenza e crea le premesse per conoscere quello che è stato non solo l’Olocausto ma tutto il violento mondo repressivo e sterminatore nazista. Dopo il processo Eichmann, svoltosi nel 1961, che rappresenta uno spartiacque fra i processi di Norimberga e la residuale azione processuale nei confronti di coloro che per vari motivi si sottrassero al giudizio, si svolsero dagli Anni 80 in poi alcuni processi contro responsabili nazisti di crimini oggetto di imputazione a Norimberga, più per una questione di principio e di coerenza che di reale giustizia (processi contro Klaus Barbie, Paul Touvier, Maurice Popon, in Francia, Erich Priebke e Michael Seifert in Italia). Con questa nota si tenta di tracciare un quadro generale di questi avvenimenti, che debbono essere intesi come premessa introduttiva al problema della punibilità o meno di comportamenti non accettati in guerra o in situazioni conflittuali estreme nel contesto internazionale attuale.

 

La genesi

 

Gli alleati iniziarono a pensare ai trattamenti da riservare ai nemici dell’Asse già nell’autunno del 1943. Inizialmente si pensò di sottoporre i responsabili ad un “consiglio militare di guerra” poi, acquisiti ulteriori dati, si decise di sottoporli a regolare processo. Alla conferenza di Londra dell’estate del 1945 si presero in esame tre categorie di “crimini”: la prima, “crimini contro la pace”, tesi sostenuta da americani ed inglesi, in cui si sottolinea che l’aggressione tedesca ha leso i diritti di tutto il mondo; la seconda, “crimini di guerra”, tesi sostenuta da sovietici e francesi, in cui si inseriscono i maltrattamenti, le uccisioni, i lavori forzati, l’assassinio e le violenze sui prigionieri di guerra, l’esecuzione di ostaggi,le razzie, la distruzione ingiustificata di villaggi, non sostenuta da esigenze militari. Nonostante tutti gli sforzi queste tesi non riuscivano ad includere quello che era il più grande problema sul tappeto: l’Olocausto. Già la definizione di ebreo era un problema; se non si trovava una soluzione, il genocidio ebraico e le vessazioni subite dagli ebrei in Europa rimanevano fuori da ogni processo. Fu quindi necessario ricorrere alla tesi di “crimini contro l’umanità”, cioè lo sterminio, la deportazione e qualsiasi atto disumano commesso contro le popolazioni civili, prima e durante la guerra, fuori della violenza bellica, e le persecuzioni per motivi etnici, religiosi, politici, razziali, di sicurezza od occasionali. I crimini contro l’umanità per poterli definire hanno bisogno di essere correlati alla tesi del “complotto” ordito per sostenere una aggressione o un crimine di guerra, altrimenti la mera definizione di “crimine contro l’umanità” rischia di esulare dalla prassi processuale. In altre parole si accetta il principio che i “crimini contro l’umanità” non possono essere perpetrati prima della guerra, ovvero a partire dal 1° settembre 1939.

 

Il processo al vertice nazista

 

Il 18 ottobre 1945 a Norimberga, scelta proprio in virtù del fatto che fu il palcoscenico dei riti nazionalsocialisti di rilievo, si tenne la prima udienza di quello che poi nella dizione comune è passato alla storia come Processo di Norimberga. Principale imputato presente era Hermann Goering; gli altri imputati erano Rudolf Hess, Robert Ley, Julius Streicher, esponenti del partito nazista; Hjalmar Schacht, ministro dell’economia e presidente della Reichbank; Walter Funk, addetto alla arianizzazione del popolo tedesco e delle popolazioni dei territori occupati; Wilhelm Frick, ministro dell’Interno; Joachin Ribbentropp, ministro degli esteri; Franz von Papen, vicecancelliere; Albert Speer e Fritz Sauckel, addetti allo sfruttamento della forza lavoro coatto. I militari imputati sono Wilhelm Keitel, capo del Comando Supremo delle Forze Armate e Alfred Jodl, del Comando Supremo delle Forze Armate; Erich Raeder, capo della Marina, e Karl Doenitz, comandante delle Forze Subacquee. A tutti questi si aggiungono cinque esponenti della burocrazia statale di vertice nei territori occupati: Baldur von Schirach, per l’Austria; Konstantin von Neurath, per il protettorato di Boemia e Moravia; Hans Frank per il Governatorato generale cioè la Polonia; Alfred Rosenberg, per i territori dell’Est e Arthur Seyss-Inquart, per i Paesi Bassi. I principali imputati però sono assenti perché deceduti. Hitler, in primo luogo, suicidatosi il 30 aprile 1945, Himmler, suicidatosi il 23 maggio 1945, Heydrich, ucciso da patrioti cecoslovacchi a Praga nel 1942, Muller, capo della Gestapo, e Martin Bormann, capo del partito, eclissatisi al momento del crollo della Germania. I capi di accusa sono: “crimini contro la pace”, “crimini di guerra”, “crimini contro l’umanità”, nella accezione più sopra esposta. Il dibattimento fa emergere schiaccianti prove documentali e testimoniali nei confronti di tutti gli imputati, portate per lo più da loro collaboratori subordinati, oltre che da testimoni oculari. La linea difensiva addotta è semplice: si dichiararono «non a conoscenza dei crimini commessi contro chiunque, ebrei compresi»; se qualcuno di loro vi ha partecipato lo ha fatto senza rendersene conto. In pratica hanno solo ubbidito agli ordini, emanati da uno solo, Hitler. La maggior parte delle prove e dei dossier di accusa sono presentati dalla parte americana, che nella sostanza ha promosso e gestito l’intero processo. Sono presentati 2.630 documenti, sono ascoltate 240 deposizioni e sono messe agli atti 300.000 deposizioni scritte sotto giuramento. Tutto viene registrato ed alla fine del processo sono 24 i chilometri di nastro di registrazione e circa 7.000 i dischi. Alla fine del processo, che si concluse il 1° ottobre 1946, furono comminate 11 condanne a morte mediante impiccagione, tre ergastoli e altre sette pene tra i dieci e i venti anni di detenzione. L’unico che venne liberato è Schacht perché la sua azione di arianizzazione è esercitata prima dello scoppio della guerra.

 

I processi alla dirigenza nazista

 

Parallelamente al processo di Norimberga sono istruiti processi contro funzionari di vario livello della dirigenza tedesca. Il 26 aprile 1945 gli alleati ordinano di arrestare di ufficio gli appartenenti ai seguenti gruppi:

• Dignitari del partito dal grado più basso della gerarchia;

• Funzionari e Dirigenti della Gestapo e del Sicherheitsdienst;

• Waffen-SS dal grado più basso di sottufficiale;

• Ufficiali di Stato Maggiore delle tre Forze Armate;

• Ufficiali di Polizia;

• SA dal grado più basso di ufficiale;

• Ministri ed alti funzionari, responsabili territoriali e comandanti civili e militari dei territori occupati;

• Nazisti e simpatizzanti nazisti dell’industria e del commercio;

• Giudici e procuratori dei Tribunali speciali;

• Traditori Alleati passati al servizio dei nazisti.

La data di riferimento per i capi di accusa è il 1° settembre 1939, ove emerge che i “crimini contro l’umanità” non possono essere stati perpetrati prima della guerra. Con questo vengono dichiarate non criminali le seguenti organizzazioni:

le SA, perché nel corso della guerra le loro attività furono insignificanti; il Consiglio di Gabinetto, perché ristretto di numero, e l’Alto Comando dello Stato Maggiore Generale nella sua generalità (l’accusa riguarda solo alcune decine di generali). Quindi non sono dichiarati criminali il Corpo degli Ufficiali e quello della Funzione Pubblica. Con questi criteri di imputazione si individuano circa 5.000 persone. Ma il numero si riduce a circa 200 in ragioni di tipo “procedurale”; sono duecento “esponenti” centrali nella determinazione della tragedia dell’Olocausto. Costoro sono raggruppati in dodici procedimenti d’accusa, che vale la pena di elencare: contro i medici nazisti; contro il maresciallo dell’aeronautica Eberhard Milch; contro il ministro della giustizia Franz Schlegelberger e i suoi collaboratori; contro Oswal Pohl e la burocrazia dei campi di concentramento e sterminio; contro gli industriali del gruppo Flick; contro la I.G. Farben; contro i generali dell’Esercito operanti nei Balcani, nello scacchiere Sud-Est; contro i membri dell’Ufficio Centrale della razza; contro i componenti degli Einsatzgruppen; contro il gruppo industriale Krupp; contro alti dignitari della Politica del III Reich; contro i generali in comando nella Campagna di Russia. In totale, sono poste sotto processo 185 persone, 15 escluse per diverse cause. Alla fine dei 12 processi “minori” di Norimberga si hanno i seguenti verdetti: 35 imputati dichiarati non colpevoli; 97 condannati a pene detentive fino a vent’anni di carcere. Ogni considerazione appare superflua.

 

I processi della magistratura tedesca

 

Anche in questo campo i risultati sono deludenti. Basta proporre un arido elenco di cifre per chiarire il concetto. I tedeschi che non sono giudicati da tribunali internazionali o stranieri ma da tribunali tedeschi, potenzialmente sono tredici milioni. La legislazione di denazificazione individua cinque categorie di criminali: grandi criminali, criminali, criminali di importanza minore, complici, e i non colpevoli. Dei tredici milioni potenzialmente colpevoli, ad una prima scrematura ne risultarono accusati 3.445.700, prosciogliendo tutti gli altri; tra gli accusati furono amnistiati senza processo 2.489.700, il rimanente rinviato a giudizio. Le pene furono le seguenti: condanti ad ammende 569.600; condannati a restrizioni di impiego 124.400; condannati alla interdizione dai pubblici uffici e servizi 23.100; condannati alla confisca dei beni 25.900; condannati al lavoro speciale senza internamento 30.500; inviati a campi di lavoro 9.660; condannati a pene detentive 300 individui. La lista quindi porta ad una conclusione molto lineare: la denazificazione in Germania ha portato a comminare pene a 300 persone, ovvero coloro che commisero reati penali in nome del nazismo in Germania furono solo 300 individui. In pratica fu un fallimento, dimostrando con le cifre che la giustizia tedesca non raggiunse tutti coloro che parteciparono attivamente alla violenza nazista. Sul finire degli Anni 50 fu creato un Ufficio centrale che doveva investigare sui crimini nazisti. Il lavoro andò avanti per vent’anni ed alla fine le cifre sono ancor più eloquenti: 816 accusati, 118 condannati all’ergastolo, 318 condannati a qualche anno di reclusione, 300 liberati senza alcuna condanna.

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Se il quadro generale dei “processi” di Norimberga non è esaltante, un elemento positivo peraltro emerge: la Comunità internazionale ha affermato con i processi di Norimberga del 1945-1949 il principio che nessuna classe dirigente o vertice di uno Stato può essere immune da un giudizio davanti ad una corte di giustizia. E questo, se da una parte può orientare il dittatore e la sua leaderschip a resistere fino all’estremo, non vedendo via di scampo ai suoi crimini, dall’altra apre uno spiraglio di speranza e di giustizia per tutti coloro che ne subiscono le crudeltà e la violenza e ne patiscono le sofferenze.

Patria indipendente, 10 dicembre 2007

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