Patria indipendente
Cefalonia:
imbarcati al posto dei nostri feriti e ammalati
I
soldati italiani salvarono i prigionieri tedeschi
In 441 furono spediti a Taranto rispettando la Convenzione di Ginevra. Anche i “badogliani” presi dai nazisti trattati da soldati a differenza degli IMI
di Massimo Coltrinari
Nel
trattare il tema della prigionia, è raro imbattersi in episodi che rispettino
alla lettera i dettami della Convenzione in essere al momento della guerra,
tanto più se si tratta di tedeschi. Quindi sorprende apprendere che i
prigionieri italiani della guerra di Liberazione, i “badogliani”, furono
trattati “come” prigionieri di guerra, secondo la Convenzione di Ginevra del
1929. Risulta, infatti, che i tedeschi si sono comportati secondo le norme per
questi prigionieri italiani del 1944-1945 in un panorama, quello
dell’internamento italiano in Germania, denso di angosce e crudeltà.
Analizziamo più da vicino questa anomalia. Veniamo ai fatti. Secondo la
ricostruzione di Claudio Sommaruga (1) il 10 settembre 1943, superato il
disorientamento dell’8 settembre, il presidio della “Acqui” a Corfù
predispone la resistenza ai tedeschi ripiegando le postazioni costiere sui passi
montani. Il 13, il Colonnello Lusignani rifiuta la resa e dà battaglia: i
tedeschi di stanza nell’isola sono disarmati, la contraerea italiana apre il
fuoco su un aereo tedesco, un tentativo di sbarco tedesco a Benitza viene
respinto ma la nostra torpediniera “Stocco”, in rada, è messa fuori
uso. Il 14 la città di Corfù, bombardata dai tedeschi, è abbandonata dalla
popolazione. Dal 9 al 15 settembre 4.000 nostri militari, in fuga
dall’Albania, sbarcano nell’isola con mezzi di fortuna sperando, da qui, di
potere raggiungere l’Italia ma la loro partecipazione ai combattimenti è
limitata dallo scarso armamento. Intanto i partigiani greci di Papas Spiru si
mettono a disposizione del nostro comando. Il 18, i prigionieri tedeschi vengono
trasferiti al Golfo di S. Giorgio in attesa della torpediniera che dovrebbe
trasportarli in Italia, ma la “Sirtori” è bloccata in rada e il 24
verrà messa anche lei fuori uso. Alle 17 del 21 settembre, 441 prigionieri
tedeschi (tra cui 7 ufficiali) trasferiti da Gardelades a Cassiopi
s’imbarcheranno con alcune decine di carabinieri di scorta su pescherecci
mobilitati dai partigiani e sbarcheranno fortunosamente nell’Italia del Sud, a
Taranto, dove verranno avviati al campo di concentramento. Il 25 settembre anche
Corfù, senza i soccorsi promessi dall’Italia e dagli Alleati, si arrende dopo
Cefalonia e con un tragico bilancio: 600 soldati e tre ufficiali caduti in
combattimento; 22-28 ufficiali trucidati dopo la cattura; perdita di sei
idrovolanti alla fonda e delle due torpediniere. Ma i tedeschi, oltre ai 450-550
prigionieri (441 dei quali trasferiti, come detto, in Italia), lamenteranno più
di 200 caduti, 18 cacciabombardieri incredibilmente abbattuti dalla contraerea e
tre dall’aviazione e cinque mezzi da sbarco affondati. A Cefalonia fu fatto
prigioniero un intero battaglione tedesco. Anche questo fu trattato secondo le
convenzioni. Nessuno fu fucilato. Il campo di concentramento nel quale i
prigionieri vennero raccolti fu dotato di una bandiera tedesca affinché la
stessa aviazione tedesca non lo colpisse. Il trattamento, quindi, fu secondo le
norme ma il rispetto della Convenzione non salvò dalla strage la guarnigione
italiana di Cefalonia che fu, come noto, decimata. Secondo la logica tedesca,
dovevano essere fucilati anche i prigionieri della guarnigione di Corfù ma,
ancora una volta, i tedeschi agirono fuori dalle norme e perfino dalla loro
logica. Infatti anziché procedere
alla “strage” come a
Cefalonia, per tema di ritorsioni ai loro prigionieri in mano “badogliana”,
a Corfù si “limitarono” a fucilare, dopo la cattura, come già detto, 22-28
ufficiali (16 dei Comandi, 5 della contraerea e alcuni altri). I restanti, oltre
5.000 uomini, saranno inviati in Germania come IMI, ma di fatto considerati e
trattati come KGF, ovvero senza tutela al pari – per intenderci – dei
prigionieri sovietici in mano tedesca (2). Per coerenza il Governo Badoglio a
Brindisi avrebbe dovuto procedere alla fucilazione dei 441 tedeschi prigionieri,
gli unici di tutta la guerra, in sue mani. In realtà li trattò come
prigionieri di guerra, non consegnandoli agli Alleati, essendo queste consegne
vietate dalla Convenzione (3). Cefalonia non finisce mai di portare sorprese.
Nonostante la dichiarazione di guerra del Regno del Sud il 13 ottobre 1943, il
Reich germanico non riconosceva il Regno d’Italia di Vittorio Emanuele III.
Qui si apre un’altra pagina angosciosa imputabile a chi firmò l’Armistizio
(del 3 settembre a Cassibile e del 29 settembre a Malta) cioè al Maresciallo
Badoglio. Come scrive Sommaruga «la Germania ignorò la dichiarazione di
guerra dell’Italia anche perché priva di valenza: l’armistizio italiano con
gli Alleati vietava infatti all’Italia atti formali internazionali, tant’è
che l’Italia non fu considerata belligerante nemmeno dagli Alleati». Una
delle conseguenze di questo mancato riconoscimento fu che i combattenti
italiani, a qualsiasi titolo combattessero dopo l’8 settembre 1943, furono
trattati dai tedeschi come franchi tiratori e quindi immediatamente
giustiziabili. Il fatto che prigionieri tedeschi fossero in mano ai
“badogliani” deve aver condizionato Berlino in quanto, in una sorta di
reciprocità, il trattamento dei “badogliani” del I Raggruppamento
Motorizzato, poi del Corpo Italiano di Liberazione e poi dei Gruppi di
Combattimento fu rapportato a quello dei prigionieri di guerra, secondo la
Convenzione di Ginevra del 1929. È significativa la disposizione dell’Oberkommando
der Wehrmacht del 30 marzo 1944 (AZ, 2 F Chef Kriegsgef. Alleg. 1 A, n.
53/44gkos) che, pur non riconoscendoli come prigionieri di guerra tuttavia
stabilisce che dovevano essere trattati come tali, sia pure con certe
restrizioni: «…Sebbene il governo dei traditori Vittorio Emanuele e
Badoglio non rappresenti una nazione belligerante, questi prigionieri vanno
trattati come prigionieri di guerra occidentali (...) [ma] separati dagli
altri prigionieri di guerra e dagli internati militari italiani, sia nei Lager
che nelle unità di lavoro, che durante i trasferimenti (…). Il trattamento di
questi prigionieri deve differenziarsi in maniera evidente da quello degli
internati militari italiani, nel senso che a questi vanno assegnati gli alloggi
e i posti di lavoro meno favorevoli. Come Lager particolare per questi
prigionieri viene per ora destinato lo Zweiglagwer Schellrode dipendente dallo
Stalag IX/C Bad Sulza» (4). Hitler aveva tutto l’interesse a non
riconoscere i soldati italiani catturati dopo l’8 settembre 1943 come
prigionieri di guerra poiché aveva bisogno di mano d’opera a basso costo per
la sua industria di guerra. Quindi ai nostri 600.000 soldati catturati dopo
l’8 settembre 1943 non furono accordate prerogative di alcun tipo. Erano in
balia del potere nazista. E, come se non bastasse, nel luglio 1944 Mussolini ed
i suoi sedicenti ministri firmarono con i tedeschi, a nome degli internati,
accordi con i quali si consideravano come dei “lavoratori volontari”. Ancora
un misfatto ed un imbroglio, l’ultimo di una lunga serie, perpetrato ai danni
dei soldati italiani da parte delle gerarchie politico-militari del tempo.
Tornando all’episodio dei prigionieri di Corfù e Cefalonia questo dimostra
che, al di là delle Convenzioni scritte, quando si vuole – o perché ci si
crede o perché si perseguono interessi propri – anche nella prigionia di
guerra si può essere umani e civili.
Note
(1)
Claudio Sommaruga, Una storia sorvolata. Dai tedeschi prigionieri di Badoglio
ai Badogliani prigionieri dei Tedeschi ed agli Internati Militari Italiani, in
“Il Secondo Risorgimento d’Italia”, n. 3, 2005, pag. 52.
(2)
Cfr. al riguardo il Diario di Enrico Zampetti, La resistenza a Corfù (9-26
settembre 1943). Sintesi e note a cura di Claudio Sommaruga, in “Il
Secondo Risorgimento d’Italia”, n. 3, 2005, pag. 47.
(3)
Gli Alleati non rispettarono questa norma. In Nord Africa, dopo la resa delle
truppe italiane della 1ª Armata consegnarono a triste prigionia oltre 15.000
soldati italiani alle Forze Francesi gaulliste.
(4)
Questo documento lo si deve al già citato Claudio Sommaruga che, anche lui
uscito dall’esperienza di Internato Militare Italiano in Germania, testimonia
«Uno di questi prigionieri italiani, dell’aviazione, lo incontrai in transito
nello St. VI/G di Duisdorf (Bonn)».
Patria
indipendente 19 febbraio 2006