Patria indipendente
Di
nuovo una messa in scena per attaccare la Resistenza
Tra
contraddizioni e sciocchezze Vespa presenta ancora il suo libro
di
Teresa Vergalli
Sono
stata, il 29 novembre 2005, alla presentazione dell’ultimo libro di Bruno
Vespa nel lussuoso palazzo de Carolis, accanto a via del Corso a Roma. La messa
in scena, tutta in funzione televisiva con selve di telecamere, con reggimenti
di giornalisti-operatori-fotografi, mostrava fin troppo palesemente l’intento
mercantile, pubblicitario. La scelta dei nomi chiamati a dibattito rivelava il
chiaro intento politico dell’operazione. Chiamare a confronto Violante, Fini,
Casini e Bertinotti è stato come ripetere in fotocopia una delle tante “Porta
a porta”. E la presentazione è stata appunto condotta esattamente come un
“Porta a porta”. Vespa, con questo ultimo libro ha voluto aggiungere alla
sua funzione politica in RAI una versione scritta della sua militanza, che qui
è anche più sottilmente velenosa, perché si è addentrato nella storia,
mettendovi in più quel sottotitolo inquietante “Le stagioni dell’odio”.
Anche questo libro, come gli ultimi due di Gianpaolo Pansa, rientra palesemente
in un disegno politico a cui occorre, secondo me, rispondere sul piano politico.
Si pretende di far credere che si tratta di una operazione di verità, quando in
effetti si vuole mettere sullo stesso piano fatti e valori antitetici, che non
possono e non debbono essere parificati. Mi ha molto addolorato vedere poco
avanti a me l’amico e compagno della nostra
giovinezza militante, l’Otello
Montanari, il partigiano, ma anche l’ex segretario della federazione comunista
che è stato uno degli oratori più commossi al funerale di mio marito Claudio
Truffi a Reggio Emilia, nei primi giorni di aprile 1986. Siamo tutti
invecchiati, ma l’affetto resta. Eppure non ho voluto avvicinarlo nemmeno alla
fine, perché non sarei stata capace di trovare una qualsiasi frase di
circostanza. Ero troppo addolorata nel vedere come l’astuto sornione e
insinuante Vespa, si è servito di Otello, strumentalizzandolo, per iniziare
subito lo spettacolo con un bel colpo di teatro. Ecco le sue parole, rivolte
all’Onorevole Violante. «In seconda fila c’è un suo vecchio compagno di
partito, Otello Montanari. È antifascista da quando aveva 14 anni grazie al
nonno prampoliniano, comunista dal 1941 e partigiano dall’8 settembre ’43.
Nell’agosto del ’90 finì sulle prime pagine dei giornali perché a
proposito dei tanti delitti che si verificarono dopo la liberazione disse chi
sa parli. Questo gli procurò molte polemiche e un certo isolamento nel
partito, ed anche la difesa di Piero Fassino. Quando sono andato a trovarlo ho
visto quanto fosse ancora deciso ad andare avanti, perché – senza nulla
togliere alla Resistenza (perché lui ebbe sette colpi di arma da fuoco dai
tedeschi da giovanissimo) – vuole che su questa vicenda venga fatta luce».
Vespa ha poi continuato raccontando che il giorno prima, cioè il 28 novembre
2005, una dirigente regionale dei DS su un quotidiano di Reggio Emilia aveva
attaccato Otello Montanari e che lui, Vespa, aveva risposto al giornale
contestando alla signora il diritto di insultare «un uomo che ha combattuto per
la Resistenza, che è iscritto all’ANPI dalla sua fondazione, ma che ha la
sola colpa di voler trovare in tanti casi ancora irrisolti, la verità». E
rivolto a Violante, diceva di essere meravigliato di tanta contraddizione.
Naturalmente, in risposta, Luciano Violante ha detto subito di aver letto il
libro con interesse, ma di non condividerlo, perché vi si lascia in ombra
l’aspetto della liberazione dal nazifascismo mentre si mettono in luce le
tragedie accadute subito dopo la liberazione, tra cui quelle ricordate da
Montanari. Ha quindi aggiunto che, chi ha responsabilità o peso istituzionale,
ha il dovere di facilitare il superamento di una persistente divisibilità che
è un male storico del nostro Paese. È bene che la verità venga fuori, ma è
importante che quella verità non venga separata da altre verità. A questo
implicito rimprovero, Vespa interrompeva punto sul vivo, perché proprio qui sta
la funzione di un libro, il suo oggettivo peso sui lettori e sull’opinione
pubblica. Vespa sosteneva con eccessiva veemenza l’intento unificante del suo
libro, vantando di aver messo in appendice la legge mussoliniana sulla razza, le
testimonianze delle sofferenze degli ebrei di Roma, i racconti dei bimbi
superstiti di Sant’Anna di Stazzema. Tornava poi a servirsi di Otello
chiedendo a Violante se non crede, «che bisogna conoscerla tutta, la verità e
che è ora di smetterla di insultare Montanari che cerca di capire chi ha ucciso
e per quali ragioni?». Violante ritornava a ribadire il suo giudizio sul libro
che sostiene un certo punto di vista sui fatti della guerra. C’è tutta la
parte dell’attacco ai civili da parte dei nazisti, l’orrore delle
rappresaglie. Si dice: – Ma era poi necessario fare questi attacchi sapendo
che i tedeschi avrebbero reagito in quel modo? Ancora, Vespa interrompe piccato
dicendo che questa osservazione l’ha fatta in due casi soltanto: la strage di
Palla Scala (?) quando i tedeschi se ne stavano andando verso il confine e lui
ritiene che attaccarli è stata una grande stupidaggine. Violante continua la
sua osservazione, ricordando che c’era la guerra, c’era l’occupazione e
chi era nella Resistenza combatteva, non c’era da fare altro che combattere.
Qui ancora Vespa fa, secondo me, un capolavoro di contraddizione. Interrompe
nuovamente, tornando su vicende di cui si è occupato anche in un libro
precedente, dove ha detto che gli autori dell’attentato di via Rasella
dovevano consegnarsi per evitare la strage delle fosse Ardeatine. Ignorando o
volendo ignorare che i tedeschi, dopo un giorno di silenzio, resero noti
attentato e rappresaglia concludendo con la famosa frase “L’ordine è già
stato eseguito”. Ora Vespa dice: «Ho una grande considerazione e un rapporto
civile privato anche molto bello con Rosario Bentivegna … il suo coraggio…
dal quale mi divide ovviamente… Ma mi divide il giudizio sull’utilità
dell’attacco di via Rasella». Quindi aggiunge superando la voce forse di
Violante e di altri: «Un anno prima sarebbe andato bene!». Ho ascoltato il
nastro alcune volte prima di convincermi che si riferisse proprio a via Rasella.
Per uno che pretende, come ha confermato il Turchetta della Mondadori, di essere
transitato “verso una dimensione storica”, questo svarione fa il paio con
l’altro sull’inesistente ingiunzione tedesca a Rosario e ai suoi. Un anno
prima sarebbe stato il marzo del ’43, con ancora Mussolini in sella e ben
lontani dal famoso 25 luglio e dall’8 settembre. Se poi si riferiva al fatto
che gli americani il 23 marzo ’44 erano già sbarcati ad Anzio, col senno di
poi dovrebbe sapere che soltanto a giugno le truppe alleate sarebbero entrate in
Roma. Come a dire che sarebbe stato bene non aver avuto la Resistenza, aspettare
l’arrivo degli alleati, non attaccare i tedeschi né prima e soprattutto dopo,
così non ci sarebbero state le rappresaglie! Ecco il punto di vista che il
libro sostiene e che il suo autore confessa. C’è poi la domanda a Violante se
ripeterebbe il discorso fatto alla Camera nel ’96. Con forza Violante risponde
che lo ripeterebbe, ma aggiungendo che a suo tempo non è stata abbastanza
evidenziata una precisazione, che ora sottolinea con forza. Pacificazione, ma
senza parificazione, perché le parti non erano pari: da una parte si combatteva
per la libertà, dall’altra per l’oppressione. Il conduttore Vespa ha poi
introdotto Fini, che si è detto infastidito dall’uso della storia come una
clava, sostenendo che si è ormai arrivati a una condivisione della memoria, ha
ricordato un suo incontro con Violante a Trieste sulle foibe, ha citato l’8
settembre come morte della Patria, la quale morte è stata causa dello
sbandamento di tanti e delle scelte individuali contrapposte. Concludendo che
oggi l’Italia è migliore, pacificata, specialmente dopo la fine della
divisione del mondo in due blocchi. Subito dopo Casini ha rivendicato, invece, i
fondamenti storici della politica. Senza radici storiche la politica è
effimera. Lo stesso Fini è un esempio, perché ha dovuto fare i conti proprio
con la storia. Casini è d’accordo con questo libro, che dovrebbe indurre la
sinistra a verificare oggi gli eventi del dopoguerra alla luce dei processi di
trasformazione nel socialismo europeo. «Il triangolo rosso e gli altri
avvenimenti del dopoguerra sono episodi a lungo omessi dalla storia ufficiale di
questo paese a causa del doppio pesismo storico politico che c’è stato nel
nostro paese e di cui la sinistra ha fatto tardivamente chiarezza. Il parallelo
tra fratelli Cervi e fratelli Govoni, che Vespa riporta nel suo libro, è
emblematico». Fa poi uno strano ragionamento. Dice di aver assunto la carica di
Presidente della Camera riconoscendo nella Resistenza il valore fondante della
Repubblica. E aggiunge: «Molti che ci propongono una ricostruzione storica in
realtà non la vogliono secondo criteri di equità, vogliono sovvertire le basi
costitutive oggettive della storia italiana. Allora questo è un processo
diverso, non è un processo di ricostruzione storica. Chi riconosce i valori
della Resistenza deve prendere atto degli aspetti degenerativi che, specie in
Emilia, ci sono stati, per arrivare alla condivisione della memoria». Tocca poi
a Bertinotti, invitato a discutere del simbolo della falce e martello. La
condivisione della memoria, secondo Bertinotti non è necessaria, mentre è
necessaria la convivenza, il patto di convivenza che scaturisce dal confronto.
Sugli episodi più caldi si arriva a parlare di pietas. Della pietas devono
essere fatti segno sia i sette fratelli Cervi che i sette fratelli Govoni. Ma
dal punto di vista della storia non è vero che è la stessa storia. «Non è
vero perché io non credo che le parole di papà Cervi –dopo un raccolto ne
viene un altro – potrebbe essere fatta altrimenti se non fosse fondata
sulla grande epopea che è quella della liberazione. Non mi convince la
definizione di guerra civile, perché c’è l’occupazione da combattere, ma
c’è anche un desiderio di cambiamento profondo della società. Perciò i
padri costituenti hanno inserito il divieto di ricostituzione del partito
fascista». Più avanti dopo interruzioni di Casini che lo riporta sul tema del
triangolo della morte, Bertinotti ricorda che non è vero che tutti sanno dei
fratelli Cervi, come si è visto tra qualcuno in alta posizione istituzionale, e
ricorda che fino agli anni ’60 non si insegnava la storia dell’ultima
guerra. Infine giudica che questo libro di Vespa fa parte di quella
interpretazione storiografica che affonda su quell’area grigia tra fascismo e
antifascismo e la cui propensione oggi è una lettura pacificatoria che cancella
dalla lotta di Resistenza il suo carattere di fondazione possibile di un’altra
Italia. Vespa interloquisce tornando sui Cervi, argomento per lui prezioso, da
cui si ritiene evidentemente nobilitato. «Io mi sono innamorato della famiglia
Cervi facendo le ricerche per questo libro. Una famiglia che non a caso non era
amatissima da una sua parte politica. Perché papà Cervi era un uomo di
straordinaria intelligenza, che da bracciante era diventato fittavolo, aveva una
concezione in qualche modo liberale come il figlio Aldo (perché non è
necessario essere comunisti, basta essere antifascisti). Mi devi spiegare perché
vengono ammazzati sette fratelli Govoni di cui due soltanto fascisti, rilasciati
dagli alleati perché incolpevoli, e gli altri non c’entravano niente. Perché,
in nome di chi?» … Dopo voci sovrapposte incomprensibili, Vespa dice che ha
faticato a trovare le tombe dei Govoni. Bertinotti scandisce «Come vittime i
sette giovani Cervi e i sette giovani Govoni, per me sono uguali; come vittime!
La differenza consiste che i primi hanno costruito la Repubblica italiana e
perciò vanno onorati non come morti, ma come attori di quel cambiamento. Gli
altri non hanno fatto niente, sono vittime, ma non come attori della storia. Ci
sarà pure una differenza, o no?». Ancora Fini ritorna sul dopoguerra. Non
tutti quelli che avevano militato nella resistenza trovarono la loro identità
nello stato democratico. Nel triangolo della morte dove c’era la Volante
Rossa, chi uccidevano? Coloro che erano stati fascisti certamente; uccidevano i
borghesi, i preti, perché c’era nell’ambito della resistenza comunista la
volontà, la tentazione di instaurare la dittatura del proletariato. Bertinotti
interrompe. «Questa tentazione è stata sconfitta dall’interno, da Togliatti,
non da De Marsico!». Fini prosegue sullo stesso tema ritornando alla memoria
condivisa che, se non c’è, si rimane nel secolo scorso. Ritorna Violante con
una interessante riflessione sulla diversità tra la Resistenza in montagna e la
Resistenza in città. Dopo il 25 aprile c’era una componente che voleva
continuare a fare pulizia, era piccola; poi c’era l’altra con Togliatti che
diceva smettetela. Era un pezzo, non il PCI, poi emarginato, minoritario.
L’equiparazione non è possibile, come non è possibile la condivisione della
memoria storica, ma bisogna trovare una identità nazionale per superare la
frattura della memoria diversa. Cioè fare un passo avanti, il passo della
identità attorno ai valori della Repubblica. Se invece vogliamo forzare la
storia e la politica ad avere la stessa memoria la cosa diventa difficile. Vedi
la questione della morte della Patria. Io dico nascita della Patria. Perché,
come ha scritto Croce, quando tutto era finito, in fuga il re e l’esercito
senza guida, gli operai e i contadini prendevano le armi e così comincia a
nascere la nuova Patria. Pretendendo di fare lo storico, Vespa è andato in giro
per l’Italia e per Reggio Emilia a raccogliere succulenti frutti piuttosto
velenosi. Lo scopo, oltre a quello di far soldi, è di carattere politico. Non
credo ci sia niente di nuovo che non si sapesse o non fosse stato scritto ed
anche condannato. Sì vuol far credere che solo adesso, meritoriamente, questa
verità venga rivelata grazie ai valenti Bruno Vespa o Gianpaolo Pansa. Tutti i
protagonisti sono strumentalizzati. Montanari diventa l’alibi, la bandiera, la
prova, la conferma, la vittima di quelli che, secondo Berlusconi, rimangono i
comunisti di sempre. I fratelli Cervi diventano lo strumento, il pretesto, il
contraltare, per mettere in luce i poveri “innocenti” fratelli Govoni. Che
pure qualche colpa la dovevano avere, se due di loro sono ritenuti i carnefici
di Irma Bandiera a Bologna. Analisi storica del clima di quel momento, degli
episodi della controparte, delle torture in guerra e delle prepotenze, nonché
dei delitti fascisti del dopoguerra, non ve n’è traccia. Gli eccessi
partigiani del dopo, le vendette personali magari provocate,
gli stessi incidenti tipo don
Pessina, diventano per lui il tentativo dei partigiani comunisti di fare la
dittatura del proletariato. Papà Cervi diventa un liberale, malvisto dai
compagni del PCI, perché intelligente. Tutti i partigiani che hanno fatto
azioni di guerra, cioè attentati, sono degli imbecilli che hanno agito sapendo
di provocare le rappresaglie. La colpa quindi, per quasi tutte le stragi, e
specie per le fosse Ardeatine, è dei partigiani. Vespa fa la voce tenera e si
mette a pigolare quando parla di Bentivegna, – rapporto personale molto bello!
– e quando parla della famiglia Cervi – ne è innamorato! –. Dice che ha
fatto un’azione di verità per unire e non per dividere e si vanta di aver
messo in appendice la legge razziale. Ma vi ha messo anche quel papocchio di
anticostituzione votato ora dalla destra. Ed anche il bel capolavoro
“democratico” della legge elettorale truffa. Dati i tempi della stampa, quei
documenti gli sono arrivati in anteprima. Queste due appendici rivelano lo scopo
del libro, sovvertitore delle basi resistenziali della Repubblica. La legge
razziale inserita è soltanto un alibi o una foglia di fico. Anche i sottotitoli
del libro sono da analisi freudiana. Il sottotitolo vero è “le stagioni
dell’odio”. Poi ha voluto confondere con una parvenza di storia o cronaca
con quel “dalle leggi razziali… ecc”. Non ci meravigliamo. Questo è fango
non gratuito. È fango contro la Resistenza, è fango per dipingere quei cattivi
comunisti che si sono serviti dell’antifascismo per prendere la rincorsa verso
lo stato totalitario. Non esistono in queste pagine quelli che lottavano per la
libertà e la giustizia e che avevano trovato quell’espressione pacificante e
bellissima del cammino verso una democrazia progressiva. Da quella Resistenza è
nata la Costituzione e la Repubblica, perciò nel complesso Vespa sostiene che
è legittimo cambiare la Costituzione ed è legittimo cambiare il tipo di Stato,
fare una Italia diversa, fondata non più su quei valori umani, egualitari e
democratici, ma semmai sul mercato e sul danaro. Sulla competizione e la
meritocrazia, cioè sulla disuguaglianza e la sopraffazione. Ed è per questo
che ci mette in appendice quei due capolavori berlusconiani della devolution e
della proporzionale.
Patria
indipendente 19 febbraio 2006