Patria indipendente

La storia senza miti del questore di Fiume Giovanni Palatucci

L’angelo poliziotto

 

di Georges de Canino

 

L’incredibile storia di Giovanni Palatucci (Montella, 29 maggio 1909 – Dachau, 10 febbraio 1945), è raccontata, documentata e testimoniata in diverse pubblicazioni e biografie apparse negli ultimi anni, arricchite di documenti che danno l’ampiezza dell’opera svolta dal giovane irpino, funzionario di polizia dell’Ufficio Stranieri della questura italiana di Fiume, dal 1937 al 1944. La notte del 13 settembre 1944, il “Dott. Danieli”, questo era il nome di battaglia di Palatucci, venne arrestato nel suo appartamento in via Pomerio n. 28 dalla polizia di sicurezza germanica, su ordine del tenente colonnello Herbert Kappler comandante delle SS. Dopo aver subito maltrattamenti, torture ed insulti, il questore reggente fu tradotto prima nel carcere del Coroneo di Trieste e poi alla Risiera, unico campo di sterminio in Italia. Fu l’inizio della sua tragica odissea, che si concluderà in Baviera, nel campo di sterminio di Dachau. Il destino drammatico di Giovanni Palatucci, nella complessità della sua azione di salvatore si sviluppò negli “anni fatali” con determinazione cristiana originale. Studente di giurisprudenza, laureatosi a Torino nel 1932, dal carattere esuberante e dagli aspetti umani molteplici, tormentato nelle scelte, fu un uomo pronto a sacrificare gli interessi personali. Egli era attratto da un senso forte della giustizia, vissuto fino all’estremo. La sua cultura era radicata nei valori del mondo contadino, antico e austero, la sua famiglia era legata ai principi della modestia, del rispetto, della parola data. Giovanni ebbe come educatrice nei primi anni di vita, la nonna Carmela (lui la definiva “quella nostra santa”), lo allevò nel cristianesimo rigoroso, austero e caritatevole. La sua infanzia fu un esercizio di preghiera e di contemplazione, tenendo davanti agli occhi la croce e l’immagine del condannato a morte, dell’innocente perseguitato. La vita dell’uomo e del poliziotto, le sue azioni di “salvatore”, il suo pensiero, si sono conclamati e hanno affrontato sistematicamente una lotta totale contro il male, la sopraffazione e l’ingiustizia. Una lotta vissuta non da eroe di fiaba, ma attraverso una strategia legale, usando e adoperando con disciplina gli strumenti del sistema che il potere poteva permettergli di disporre a favore degli innocenti perseguitati, i suoi fratelli ebrei. Palatucci comprese che il male oscuro era il fascismo, ma il male si annidava non solo nel regime, ma in seno alle masse che erano ubriache dei gesti clamorosi, il duce le seduceva e le portava al delirio, di conseguenza erano tutti portatori di morte. Si invocava una patria inesistente, una patria matricida e matrigna. Il duce prometteva una pace in cambio di molte guerre, contro il mondo libero e contro le democrazie. Le democrazie erano viste come la fine della civiltà occidentale. Gli italiani erano sull’abisso, era necessario soddisfare le ambizioni del capo dalla mascella maschia e questo mito infettò gli italiani. Il fascismo aveva cancellato ogni dignità del popolo italiano; aveva ridotto gli italiani ad un popolo di conformisti e di guerrieri idolatri, esecutori di massacri di etiopi, di sloveni, di albanesi, di greci e di russi. Apparentemente Giovanni Palatucci poteva sembrare un qualsiasi noioso e pedante funzionario del regime. C’è una corrente degli storici, che vuol far passare i fascisti italiani nella storia d’Europa per la loro mitezza e gentilezza liberticida. Le scelte e le azioni, la vita esemplare di Giovanni Palatucci antifascista silenzioso hanno incendiato e illuminato la notte oscura del fascismo. Come Palatucci commissario di polizia, così Salvo D’Acquisto carabiniere napoletano a Palidoro (Roma) salvò 22 ostaggi, sacrificando la sua giovinezza (aveva 23 anni, era il 23 settembre 1943). Chi non ricorda il comandante partigiano Teresio Olivelli, ucciso il 12 gennaio 1945 nel campo di sterminio di Hersbruck per aver difeso un prigioniero ebreo, egli scrisse nella sua preghiera: «Dio della pace e degli eserciti, Signore che porti la spada e la gioia, ascolta la preghiera di noi ribelli per amore». Chi non ricorda le belle giovinezze e le intelligenze dei gappista Gianfranco Mattei e Giorgio Labò e del giovane Maurizio Giglio che nella Roma occupata realizzarono l’anello di congiunzione tra resistenza gappista e il governo nazionale del sud: un bellissimo esempio di dono di se stessi all’Italia libera. Ricordate quel ragazzo speciale: Massimo Gizzio? Un autentico pacifista, un musico e poeta che sognava l’Europa nascente e democratica. Tanto esemplare non doveva essere agli occhi dei suoi superiori, il giovane commissario Palatucci. Il questore di Genova, Rodolfo Buzzi, il 1° agosto 1937 scriveva: «Pel concetto che ho potuto formarmene, elemento che l’Amministrazione della P.S. perderà senza risentirne alcun svantaggio, mentre se dovesse rimanere a farne parte sarà forse il caso di inviarlo in località dove possa essere meno svagato…». Qualcuno dalla penna facile ha voluto paragonare Palatucci ad avventurieri e personaggi trasgressivi “buoni”, coloro che vollero in qualche modo operare per il bene ribellandosi in extremis, malgrado loro, al male collettivo della dittatura. Il 10 febbraio 1945, il questore reggente di Fiume, Giovanni Palatucci, matricola 117826, moriva di stenti e di peste petecchiale a 36 anni. Si racconta che il suo corpo venne gettato in una fossa comune sulla collina di Leitenberg, ai margini del campo di sterminio di Dachau. Per 50 anni il suo nome è stato ricordato e celebrato dallo Stato d’Israele e dagli ebrei italiani riconoscenti. Gli ebrei salvati non potevano dimenticare il nome di quel giovane commissario campano, elegante nello stile e nei modi di vivere. Palatucci sapeva accompagnare parole umane e gesti di autentica amicizia ai suoi protetti ebrei. In Italia gli ebrei lo hanno considerato un esempio raro di eroismo e di rettitudine, mentre altri uomini avevano raggiunto l’abiezione in quel tempo. Tanti intellettuali e scienziati scelsero di tacere davanti alla catastrofe del Manifesto della Razza, la grande massa degli italiani rimase indifferente, altri furono ligi e si adeguarono nell’applicare la legislazione antiebraica per liberarsi di una possibile concorrenza. Palatucci è stato un italiano che volle rimanere libero di scegliere, piuttosto che piegarsi alla tirannia. Fu un ribelle all’interno di un sistema infernale ed implacabile. Compromessa la Chiesa cattolica, con il silenzio lasciò fare in parte, i fascisti ed i nazisti operarono tranquillamente altri furono buoni volontari a caccia degli ebrei, compresa la rivista La Civiltà Cattolica che anticipò una campagna antigiudaica negli anni Trenta. Palatucci sognava di entrare in Magistratura, cercò con tutte le sue energie e possibilità invece di servire lo Stato fascista, e nell’Amministrazione della Polizia fece della sua fede una spada della libertà. Fu un servitore imbarazzante e scomodo. Si mise al servizio dei perseguitati e degli ebrei innocenti, offesi, calpestati, privati di tutti i diritti, colpiti nella loro dignità di esseri umani. Dopo secoli di partecipazione alla rinascita culturale e politica dell’Italia, con il Risorgimento nazionale, nel 1938 gli ebrei italiani vennero abbandonati ad un destino tragico e disumano, che si doveva concludere con la Carta di Verona della Repubblica Sociale Italiana. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, nel 1945 il Movimento Sionista e il Congresso mondiale ebraico parlavano di più di 5.000 ebrei salvati da Giovanni Palatucci. Il responsabile dell’Ufficio Stranieri della questura di Fiume non aveva potuto tenere un conteggio degli ebrei protetti e salvati dai suoi poliziotti e carabinieri fidati. Palatucci non avrebbe mai potuto fare un conteggio preciso, poiché avrebbe esposto se stesso e i suoi collaboratori a rischi gravi. L’Istituto Commemorativo dei martiri e degli eroi Yad Vashem a Gerusalemme, lo ha insignito nel 1990 con la medaglia dei Giusti (dossier 4338). Nel 1989 un professore e ricercatore avellinese, Goffredo Raimo (1937-1995) con l’aiuto e la collaborazione del nipote del commissario eroe, l’avv. Antonio de Simone Palatucci, scrisse una prima biografia sul valoroso funzionario di polizia e la pubblicò per conto delle edizioni Aurelio Dragonetti di Montella. Fu l’inizio della riscoperta in Italia della straordinaria storia di Giovanni Palatucci. Nel 1953 il comune di Ramat Gan (Tel Aviv) ed i sopravvissuti organizzarono una prima celebrazione in ricordo di Giovanni, invitando i due zii del martire, Padre Alfonso Palatucci e il vescovo Mons. Giuseppe Maria, figura emblematica e altro “Giusto”, protettore degli ebrei internati nei due campi di Campagna, in provincia di Salerno dal 1940 al 1943. Nel 1955, l’Unione delle Comunità Israelitiche in Italia lo ha onorato con una medaglia d’oro, a quella cerimonia milanese era presente il Rabbino Capo di Roma Rav Elio Toaff. Nel 1995, su richiesta della Associazione Nazionale Miriam Novitch, con il sostegno del Rabbino Capo Elio Toaff ed in seguito con l’appoggio del Capo della Polizia Ferdinando Masone, viene concessa la Medaglia d’Oro al merito civile della Repubblica Italiana al martire di Dachau. A cinquant’anni dal suo sacrificio gli italiani avevano cancellato e dimenticato quel nome, “ignoravano le sue imprese”. Adolfo Perugia, Presidente dell’Associazione Nazionale Miriam Novitch, in una lettera al Capo dello Stato, Oscar Luigi Scalfaro, ricordava la solitudine e l’oblio che pendevano su quell’eroe giusto. Ancora una volta gli ebrei italiani erano pronti a testimoniare la loro memoria viva. Quella di Palatucci era stata offesa e calunniata. L’Associazione Nazionale Miriam Novitch mobilitava insieme al Rabbinato e alla Comunità Ebraica di Roma i più alti dirigenti della Polizia di Stato per la celebrazione del salvatore e questore Giusto di Fiume. Il giorno della conclusione del processo di beatificazione, a Roma, il 10 febbraio del 2004 a palazzo Lateranensi andai incontro all’anziana e vivace, commossa, signora Olga Hamburger Conforty (ebrea croata salvata con il marito), accompagnata dalla figlia Renata Conforty Orvieto, fu un momento eccezionale: tutte le virtù umane, eroiche cristiane di Palatucci erano state riconosciute dalla viva voce del Cardinale Camillo Ruini e dalla Chiesa. Erano presenti Emanuele Pacifici, Presidente dell’Associazione Italiana Yad Vashem, la significativa figura di Nathan Ben-Horin, importante diplomatico israeliano, promotore e fautore del riconoscimento tra Vaticano e Stato d’Israele, e Adolfo Perugia. A conclusione solenne del processo, la signora Olga esclamò: «Tutto ciò che riguarda Palatucci, è una benedizione». Un’altra volta, dopo poco tempo, rincontrandola al Centro Culturale della Comunità Ebraica, mi sussurrò: «Il nostro Giovanni Palatucci era un angelo, era il nostro angelo». Palatucci non è stato lo Schindler italiano, come qualcuno ha detto e scritto. La storia di Palatucci e la storia di Schindler sono storie imparagonabili per diverse ragioni. Il primo rappresenta la rettitudine e l’integrità accompagnate da uno spirito generoso, un uomo che viveva con tutto il suo essere vicino a Dio ed era profondamente innamorato della vita, l’altro nasce opportunista, capace di qualsiasi cosa per raggiungere il proprio obiettivo, in un primo tempo speculatore e spia nazista, un uomo, però, con un’intelligenza fuori del comune che nel momento di quell’immensa tragedia che fu la Shoah seppe ravvedersi e mettersi a disposizione del bene. Altri vogliono semplificare le storie leggendarie e le avventure di Giorgio Perlasca a Budapest nel momento in cui egli operò per salvare le sorti di tanti ebrei ungheresi. Con quella vita il questore reggente di Fiume riuscì a realizzare delle scelte che resteranno un esempio di abnegazione e di amore unico nella storia della Shoah in Italia. Vicende e storie complesse, ognuna di queste ci rivela l’orrore del male che sovrastò il mondo, per questa ragione e per il loro coraggio li onoriamo con l’appellativo di “Giusti”. Palatucci cristiano e martire, considerò di fare della sua vita di uomo integro e di funzionario della polizia un’opera consacrata al bene. A sessant’anni dal suo martirio e dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, il Ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu in visita di Stato in Israele, insieme al Capo della Polizia Giovanni De Gennaro, il 10 febbraio 2005, visitando Yad Vashem, sulle colline di Gerusalemme, ha suggellato nel ricordo dei milioni di martiri nel Libro d’Onore questa frase: “Col cuore colmo di dolore e di speranza e con la volontà fermissima di non dimenticare mai”. Le nuove generazioni di dirigenti, di funzionari e di poliziotti possono guardare a Giovanni Palatucci come ad un maestro che continuerà a stimolare azioni giuste ed oneste per salvaguardare la nostra democrazia e libertà, combattendo la corruzione, l’inganno, il razzismo e la violenza. Il suo nome è scritto nella memoria vivente e nella gratitudine del popolo d’Israele, Palatucci fu profeta e simbolo del bene, della speranza di pace dei popoli. La sua stella continua a brillare nel cielo di Montella e di Gerusalemme.

Bibliografia

Goffredo Raimo, A Dachau, per Amore, Edizione della Tipografia Dragonetti, Montella 1992.

A cura del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Giovanni Palatucci, Il Poliziotto che salvò migliaia di ebrei, Laurus Robuffo, Roma 2002.

Michele Bianco – Antonio De Simone Palatucci, Giovanni Palatucci. Un olocausto nella Shoah, Montella 2003, Edizioni Dragonetti, Accademia Vivarium Novum. (Questa monumentale biografia storico-documentaria attualmente è l’opera storico-scientifica più importante e reperibile sul Giusto).

Piersandro Vanzan – Mariella Scatena, Giovanni Palatucci il Questore “Giusto”, prefazione di Giuseppe Pisanu, Edizioni Pro Sanctitate, Roma 2004. (Di questa biografia divulgativa è reperibile una nuova edizione del 2005, aggiornata ed arricchita di altri documenti raccolti da Padre Piersandro Vanzan). È stata pubblicata in una tiratura limitata la tesi di laurea di Giovanni Palatucci discussa a Torino nel 1932: Il rapporto di causalità nel Diritto Penale, Accademia Vivarium Novum, Montella 2004.

Patria indipendente, 30 settembre 2005

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