Patria indipendente

Il giovane “SS” italiano Leonhard Dallasega

Non volle uccidere: lo fucilarono

 

di Paolo Valente

 

È il pomeriggio di uno degli ultimi giorni di guerra, il 27 aprile 1945. Un gruppo di circa cento soldati tedeschi, guidati da un manipolo di SS, esce da Ala per dirigersi verso il Brennero. Al bivio appena fuori città si fermano e fanno cerchio intorno ad un uomo malconcio in abito talare. Un ufficiale compone in fretta e furia un plotone d’esecuzione. Tra i chiamati c’è un militare appartenente alle Waffen-SS. Il giovane sui trent’anni esce dai ranghi e dà la sua pubblica testimonianza: «Sono cattolico, non sparo ad un innocente». Un rifiuto che di lì a pochi minuti gli costerà la vita. Il prete è falcidiato dai colpi dei fucili e cade nel cratere di una granata. Subito dopo il soldato, che ha assistito impotente all’esecuzione con le mani dietro la nuca, subisce la stessa sorte del sacerdote. Un colpo di arma da fuoco lo raggiunge al volto. Cade esanime a fianco dell’altra vittima. Nei giorni successivi i cittadini di Ala coprono pietosamente i due corpi con un sottile strato di terra, finché non giungono i parrocchiani del prete a riscattarne le spoglie e finché non giunge la fine della guerra. La salma del soldato senza nome viene traslata al cimitero di Ala. Il sacerdote è don Domenico Mercante, da pochi anni parroco di Giazza, paese cimbro alla sommità della valle d’Illasi, tra i monti Lessini, nel Veronese. Nel tentativo di risparmiare il paese da saccheggi e distruzioni, il pastore si era mosso, quella mattina, incontro alla colonna militare. I soldati ne avevano subito approfittato per prenderlo in ostaggio, promettendogli la liberazione una volta giunti al passo Pertica, da cui si scende alla volta della valle dell’Adige. Promessa non mantenuta. A colpi di scarpone e di baionetta il religioso era stato costretto ad accompagnare il lugubre corteo fino al centro più meridionale del Trentino e qui era stata velocemente decretata la sua condanna a morte con l’accusa, per lui, di essere un collaboratore delle bande partigiane. Per decenni il nome del soldato che lo accompagnò nella sua sorte rimase sconosciuto. Solo le ricerche del suo successore a Giazza e soprattutto di mons. Luigi Fraccari, per lungo tempo assistente dei lavoratori italiani prima nella Berlino nazista e poi in tutta la Germania orientale, hanno portato ad individuarne l’identità. Si tratta di Leonhard Dallasega, nativo di Proves in val di Non (allora comune di Rumo e provincia di Trento). Nato nel 1913 aveva servito in Africa l’esercito italiano. Nel 1944 era stato richiamato alle armi e arruolato nella SS combattenti. Dopo un periodo di formazione nel Reich era stato destinato a Caldiero dove le SS avevano un centro di comando. Col grado di caporalmaggiore svolgeva le funzioni di messo postale e di capo cuoco. Essendo imminente l’arrivo dell’esercito alleato che aveva ormai sfondato la “linea gotica”, le truppe tedesche si mossero in ritirata. Leonardo il giorno 26 aprile decise di abbandonare il suo reparto, inforcò la sua bicicletta di servizio e pedalò per trenta chilometri risalendo la valle d’Illasi fino a Giazza dove pernottò in un casolare. L’indomani, mentre cercava di scambiare la bici con un abito civile, incappò nel gruppo di soldati che lo prese con sé considerandolo uno sbandato. La storia che segue è quella che già abbiamo raccontato. Al momento della fucilazione di don Domenico si rifiutò di farsi complice di quell’omicidio. Ebbe solo il tempo di dire: “Sono padre di quattro figli”. Poi stramazzò al suolo. Fu spogliato di ogni documento di riconoscimento e la sua testimonianza non sarebbe giunta a noi se alcuni cittadini di Ala non avessero potuto vedere da una certa distanza tutto l’accaduto.

Patria indipendente, 22 maggio 2005

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