Patria indipendente
Nel Valdarno partigiano
La macchina non parte: scontro con i nazisti
di Francesco Lelmi “Cecco”
Dev’essere stato un inferno quella sera a S. Maria. Quando la staffetta giunse al comando partigiano per segnalare che vi erano delle armi da recuperare a Bruscosa, si decise di mandare “Cecco” a preparare l’azione. “Cecco”, il giovane marinaio antifascista che da poco tempo si era trasferito a San Giovanni e per questo sconosciuto ai fascisti locali. Quando scendeva dalla montagna e si metteva il vestito a doppio petto che teneva in serbo dal contadino di sotto, sembrava un altro. L’appuntamento era per le 21,00 al ponte sull’Arno, ma Oliviero, il “Cocco”, quando c’era da fare contro i tedeschi e i fascisti aveva sempre furia; il suo entusiasmo era dovuto sì al suo antifascismo, ma molto dipendeva dalla dura lezione che a suo tempo gli avevano impartito i fascisti quando l’avevano arrestato, e solo Dio sa come aveva fatto ad uscirne vivo. Per questo la macchina della pattuglia partigiana arrivò all’appuntamento con mezz’ora di anticipo. Aveva una storia quella Peugeot a sei posti, vanto dell’industria francese, nonostante le svastiche e le insegne del comando nazista che gli rattristavano l’aspetto, era veramente una bella macchina. “Cecco” la riconobbe subito. Pensò che probabilmente i tedeschi (prima che la prendessero i partigiani della “Sinigaglia” con a bordo un colonnello e un maggiore della Whermacht con una stazione radio, più carte geografiche inerenti la linea difensiva Gotica) l’avevano presa a qualche ricco signore. “Cecco” ricordò che i due alti ufficiali erano stati scambiati con degli ostaggi in mano ai tedeschi. La macchina ora era lì sul ponte, ma quante scorribande per le strade del Valdarno e quante raffiche di mitra contro le colonne tedesche! Valeva un bel po’ quell’automobile; su di essa vi era una taglia di 500.000 lire, qualcosa come 50 milioni di oggi. Un volo in Arno di tutta la complessa segnaletica stradale scritta in tedesco e via, verso Bruscosa. Il cielo era nero e si preparava una grossa tempesta; alla luce dei lampi che si facevano strada nel buio della notte, fra le prime gocciole d’acqua, si potevano intravedere i partigiani di pattuglia. “Ragù”, un francese, era al volante con l’immancabile rivoltella dall’enorme tamburo ed una grossa bomba anticarro alla cintola. Anche gli altri: il “Cocco”, “Cecco”, “l’Arrapato”, “Dario”, “Memo”, “l’inglese”, “Annibale” il sudafricano, erano armati chi con lo Sten, chi con lo Schmeisser, la “machinepistole”, chi con il 91, chi con la Beretta. Il “Cocco”, “Annibale” e “Memo”, nel loro travestimento da ufficiali tedeschi, spiccavano fra gli altri per le loro greche e i gradi. Al ponte di S. Maria la strada si fa più stretta: da una parte un torrente colmo d’acqua, a monte una scarpata e i campi verdi verso la fattoria. La macchina dei partigiani avanzava alla fioca luce dei fanali schermati quando improvvisamente un segnale ondeggiante indicò la presenza di un posto di blocco tedesco. “Ragù” fermò la macchina ed il motore si spense. Il “Cocco”, con addosso l’impermeabile da ufficiale nazista, scese per rendersi conto dell’ostacolo. Imprevedibilmente, una colonna di SS della Hermann Goering si era accampata da poche ore nella zona. Gli automezzi bloccavano la strada. Una sentinella salutò il “Cocco” sull’attenti. Questi tornò verso la macchina per riferire. Si decise di tornare indietro. Un cenno a “Ragù” che capisce ed aziona subito la messa in moto, ma invano. 1, 2, 3, 10 volte... le batterie sono scariche. I partigiani scendono provando a mettere in moto a spinta, mentre la sentinella rivolge alcune parole ai partigiani in uniforme tedesca, ma questi non capiscono e la ignorano. La macchina entra finalmente in moto ma è troppo tardi e la sentinella, insospettita, sta gridando l’allarme. Lo scontro è inevitabile. È difficile dire cosa avvenne in quei pochi ma lunghissimi istanti: i tedeschi accorrono da tutte le parti, si accende una mischia furibonda, sparano all’impazzata, ma a causa della macchina con le insegne tedesche e dei partigiani travestiti hanno le idee confuse. I partigiani invece riconoscono bene chi è il nemico e dopo aver esaurito le munizioni si sganciano eclissandosi nella notte tempestosa. Alcuni si gettano nel torrente in piena e si lasciano trasportare a valle dalla corrente, gli altri si lanciano tra i campi. Gli sfollati alla Badiola, soprastante S. Maria, parleranno dopo di una notte d’inferno, di centinaia di raffiche di mitra, del terrore dei tedeschi per i partigiani e dei tentativi di rappresaglia. Tre tedeschi restano uccisi nel combattimento e molti altri feriti. I partigiani nel giro di tre giorni rientrano tutti alla loro base. Questo è il bilancio di un’azione che ha del romanzesco. I superstiti si ritrovano, parlano della più spericolata azione partigiana fino allora mai fatta. “Ragù” riceve le congratulazioni mentre era in corso il combattimento lui aveva continuato imperterrito a guidare a marcia indietro prima di dover abbandonare la macchina. Il “Cocco” è stato il più impegnato ed è anche il più malconcio; è stato colpito al torace con il calcio di un fucile, il che gli ha procurato una terribile contusione che lo farà soffrire per molti anni e che sarà in futuro causa della sua morte. Una domanda corre alla mente. Come fecero i partigiani e in particolare gli stranieri ad orientarsi, a sfuggire alle maglie dei rastrellamenti e a tornare in formazione? Furono aiutati, nascosti e sfamati dagli abitanti della zona che, pur sapendo quale sorte avrebbero subito se fossero stati scoperti dai fascisti, non esitarono a dare tutto il loro aiuto ed anche a rischiare la loro vita per la causa della libertà. È questo il motivo più forte del successo della Resistenza. Una grande comunione di intenti, le stesse speranze, gli uguali propositi dei partigiani e di tutto il popolo per scacciare i nazifascisti, per creare per tutti un avvenire migliore. I tedeschi ed i fascisti sapevano e capivano quanto fosse per loro pericolosa la grande solidarietà che legava i partigiani al popolo e fecero di tutto perché questa solidarietà venisse a mancare. I miserandi, efferati, barbari delitti, le stragi come quella di Castelnuovo e di Meleto, non trovano una giustificazione se non si ricollegano all’opposizione dei lavoratori del Valdarno al sorgere del fascismo. Come il glorioso affermarsi della Resistenza è stato possibile grazie al contributo di tutto il popolo, degli alleati, dei partigiani anche stranieri, così i delitti dei nazifascisti sono stati una barbara e feroce reazione di fronte alla ostilità mostrata nei loro confronti dal popolo italiano.
Patria
indipendente,
22
maggio 2005