Patria indipendente
L’infamia di Auschwitz
di Orsetta Innocenti
Il
volume Promemoria. Lo sterminio degli ebrei d’Europa, 1939-1945 (Bologna,
Il Mulino, 1994) riunisce le tre parti di un saggio pubblicato tra il 1953 e il
1954 sulla rivista «Comunità» da Luigi Meneghello. Si tratta del «resoconto
dettagliato del libro di Gerard Reitlinger sulla Final Solution, la
“Soluzione Finale” della questione ebraica messa in opera dai nazisti negli
anni della guerra, dal ’39 al ’45». Il libro ripercorre dunque – nella
prosa insieme lucida e rigorosa dello scrittore – le tappe fondamentali che
portarono alla consapevole e scientifica costruzione dello sterminio da parte
del nazismo e, nella sua forma ibrida, tra saggio e narrazione, si segnala per
la sua capacità semplice e incisiva di raccontare la Shoah. Da questo
punto di vista, la profonda etica dello scrittore scaturisce direttamente dalla
narrazione, in grado di coinvolgere il lettore nel racconto delle diverse fasi
della «soluzione finale», in una mescolanza di resoconto oggettivo (cifre,
dati, date) e riflessioni sulla responsabilità (giuridica e morale) di un
intero regime – così come dei singoli individui che lo andavano a comporre
– di particolare limpidezza ed efficacia. Il primo capitolo, La «Soluzione
Finale», affronta in maniera più generale la «storia estremamente
complessa» del tentativo tedesco di sterminare gli ebrei d’Europa durante
l’ultima guerra, attraverso la puntuale ricognizione sia delle «grandi
direttive», sia delle sue varie, concrete, fasi. L’esposizione di Meneghello
è precisa e pacata: consapevole di essere sul punto di raccontare fatti che
parlano da sé, lo scrittore si astiene, apparentemente, quasi da ogni forma di
commento. Così, le diverse direttive di Hitler in margine alla Soluzione Finale
vengono esposte una per una in una cronologia serrata e stringente. Una
particolare attenzione viene dedicata all’analisi della strategia linguistica
– di occultamento – messa in atto dal regime. In questa
prospettiva, lo stesso termine
«soluzione finale» appare al lettore con tutte le sue sinistre evocazioni: «durante
il secondo anno di guerra e più precisamente dall’estate del 1941 in poi,
l’espressione assunse un significato preciso e divenne il termine
convenzionale per riferirsi – nella corrispondenza ufficiale – allo
sterminio organizzato degli ebrei». In questo modo, nota Meneghello, «attorno
all’imponente operazione si venne formando tutto un gergo convenzionale di
inesprimibile, impersonale, orrore», che, nelle intenzioni dei diretti
interessati (colpevoli e carnefici), avrebbe dovuto contribuire ad allontanare
ulteriormente dal loro orizzonte il problema di una qualsivoglia responsabilità
individuale. In realtà – ricorda sempre lo scrittore – «il contesto dei
carteggi ufficiali è spesso così palesemente sinistro che queste cautele sono
affatto inutili», a sottolineare una volta di più l’impossibile assoluzione
per tutte le persone coinvolte. («Gli uomini di Himmler facevano, ma gli altri
sapevano e occorrendo aiutavano» – chiosa in maniera lapidaria). A questo primo più generale,
fanno seguito altri due capitoli, dedicati rispettivamente allo sterminio In
Russia e in Polonia, e ad Auschwitz. È soprattutto questo terzo
capitolo a presentare una particolare densità teorica, perché qui il lucido
resoconto di Meneghello si adopera per mostrare la peculiare caratteristica di
un luogo che diventa il cuore (reale e metaforico) del progetto Soluzione
Finale. «Non bisogna confondere Auschwitz con gli altri maggiori campi di
concentramento per indesiderabili ariani o ebrei, che erano stati aperti prima
della guerra […]. Questi erano campi “normali” in cui perirono bensì,
mescolati coi compagni di sventura, parecchie
decine di migliaia di ebrei, in circostanze di cui si ebbe la rivelazione
quando i campi stessi furono occupati dagli alleati nel 1945. Ma Auschwitz (o
meglio, […] la dipendenza di Birkenau, nota anche come
Auschwitz II) era qualcosa di
diverso: era […] uno stabilimento esplicitamente organizzato per mettere a
morte quegli ebrei d’Europa che erano rimasti esclusi dalla Azione Reinhardt».
A differenza degli altri campi, progettati come luogo di detenzione dei
prigionieri, Auschwitz viene cioè concepito fin dall’inizio come «campo di
annientamento» di intere categorie di indesiderabili: ed è proprio questa sua
caratteristica atroce e inaudita che si pone (come ben sottolinea Meneghello)
alla base di ogni discorso di testimonianza. In questo senso, lo scrittore
ripercorre con spietata precisione le diverse fasi della Soluzione Finale, dalla
cattura degli ebrei, raccolti in ghetti e campi di prigionia, al viaggio verso
il campo, fino all’arrivo, alla
selezione, e alla morte (o, immediata, appena
messo piede in lager, o dopo i trentotto giorni di vita media che normalmente
avevano i prigionieri del campo). A questo proposito, di particolare interesse
sono le pagine che Meneghello dedica al concetto di responsabilità individuale.
Sia nella prospettiva delle vittime, private di ogni diritto, e ridotte quindi
«oltre che [a] non-entità giuridiche anche non-entità umane» ancora prima di
arrivare al campo (e in questo Meneghello anticipa, nelle sue
osservazioni, quelle sullo stato di eccezione svolte da Giorgio Agamben, sempre
a proposito di Auschwitz e Shoah); sia in quella dei carnefici, a
proposito dei quali osserva: «A chi tocca la
responsabilità di questa raccapricciante routine che si protrasse per
ventotto mesi? […] Certo, a tutti costoro [in riferimento all’elenco di
alcuni dei colpevoli che ha appena fatto], ma non solo ad essi, e a nessuno di
essi in modo esclusivo». Perché il concetto stesso di «responsabilità morale»
diventa «inadeguato a esprimere il rapporto tra i fatti e coloro che vi ebbero
parte. La natura stessa di questo assassinio multiplo d’ordinaria
amministrazione lo colloca in una specie di vuoto giuridico e morale». Il libro
di Meneghello (che si conclude con un ultimo capitolo di Dati statistici)
diventa così, ancora una volta, un modo per tentare di ripristinare,
raccontando, quello stesso vuoto; per continuare a portare, appunto, alla
memoria – perché non si ripeta (secondo il celebre monito di Primo Levi) –
la storia insieme inesprimibile, e che pure sempre deve essere ricordata e
raccontata, della Shoah.
Patria
indipendente, 30 gennaio 2005