Patria indipendente

Contro la menzogna e il degrado delle coscienze

Ancora sul libro di Giustolisi

 

di Alessandro Portelli

 

L’Armadio della vergogna è una tappa importante ma non conclusiva di un prezioso lavoro che da anni Franco Giustolisi conduce nell’interesse della verità, della giustizia e della memoria nel nostro Paese. È un lavoro che diventa sempre più necessario a mano a mano che le ragioni dell’antifascismo vengono dimenticate e cancellate non solo da un revisionismo storico poco attendibile e spesso opportunista, ma soprattutto dall’accesso al governo e al potere degli eredi di quelli che furono i complici, i servi e gli alleati dei massacratori nazisti e che non perdono occasione per usare i media come veicolo di apologia del fascismo e diffamazione della Resistenza e dell’antifascismo. Questa urgenza di verità definisce la forma del libro: da un lato una minuziosa esposizione di documenti ufficiali, di testimonianze, di immagini inoppugnabili che danno un quadro il più possibile oggettivo degli eventi narrati; dall’altro, la forte indignazione civile che traspare dalla scrittura mai neutrale che lega, commenta, spiega i documenti. Sono, in ultima analisi, gli ingredienti del migliore giornalismo, del giornalismo nel suo senso più alto: scrupolosa ricostruzione dei fatti, e accorata partecipazione al loro racconto. Anche la costruzione del racconto a volte sapientemente teatrale, l’attenzione ai dettagli e ai particolari, sono strumenti grazie ai quali Giustolisi rende tangibile, vivida la realtà di cui racconta e ci invita a condividere il suo giudizio morale. L’indignazione di Giustolisi si appunta, naturalmente, sui massacratori e gli aguzzini. Ma è ancora più accesa, e giustamente, nei confronti di tutto quell’intreccio di responsabilità istituzionali e politiche italiane che hanno insabbiato e nascosto gli avvenimenti. La vergogna di cui parla Giustolisi è quella che ricopre un Paese che non ha la dignità di chiedere giustizia e verità, e che addirittura alimenta mitologie che attribuiscono la responsabilità delle stragi non ai nazisti e ai fascisti che le hanno commesse ma ai partigiani che li combattevano. Io non so se nessun altro Paese abbia mai tollerato una così sistematica diffamazione dei suoi patrioti, dei combattenti per la libertà. Su questo Giustolisi è implacabile. Mi ha colpito, per esempio, il punto in cui – parlando di una strage commessa in parte dai nazisti e in parte dai repubblichini – dice che le vittime dei repubblichini furono uccise “da mano nostra” come se, in quanto italiano, si assumesse il peso della complicità di italiani con gli occupanti nazisti. È il segno di una forte tensione morale, di un rigore che non lascia spazio al vittimismo nazionale: italiane sono le vittime, ma italiani, e lo sottolinea spesso, furono molti degli assassini. E anche nei confronti di costoro giustizia non è stata fatta. In questo senso, a me pare che un punto forte del libro sia la correlazione fra l’insabbiamento dei processi per le stragi naziste da un lato, e la protezione e l’impunità cercata e accordata per i criminali di guerra italiani nei Balcani e altrove. Italiani vittime, dunque, ma anche, e molto, italiani assassini e massacratori: è una pagina che andrebbe sviluppata ancora di più, e messa con ancora maggiore forza davanti alla coscienza del nostro Paese, un paese che ancora crede alla leggenda del nostro colonialismo civilizzatore, quando fu invece uno dei più feroci che l’Africa abbia conosciuto. Insomma, non si è trattato solo delle scelte politiche dettate dalla guerra fredda e dalla NATO, un fatto che pure nel libro è chiaramente documentato e denunciato; si tratta anche di qualcosa di più profondo, che si annida nella cattiva coscienza del nostro Paese. In questo senso, sono profondamente ipocrite le giustificazioni di quelle voci istituzionali che archiviano e insabbiano perché dicono di non voler turbare le coscienze e l’opinione pubblica rivangando fatti dolorosi. È proprio attraverso il silenzio, la menzogna, la complicità che le coscienze si degradano, che l’opinione si confonde. In questi silenzi, hanno continuato ad agire da un lato il dolore di persone, familiare, comunitario dei sopravvissuti, ma dall’altro le false narrazioni, i miti, le menzogne di una controstoria fascisteggiante che passava nelle riviste popolari, a volte nei pulpiti, spesso in pubblicazioni semiclandestine, senza che le istituzioni dello Stato democratico si assumessero la responsabilità di contrastarle. Oggi, gran parte del lavoro sulla memoria passa attraverso la scuola, non abbastanza ma certo spesso in modo efficace e meritorio. Ma pensiamo a come per decenni la scuola abbia taciuto sulla Resistenza e sul fascismo lasciando che generazioni intere crescessero – e qui parlo di me, parlo di quello che sentivo dire io da ragazzo e che nessuno mi smentiva – credendo che i partigiani erano tutti ladri, che la colpa delle stragi era la loro perché avevano provocato i tedeschi o non si erano presentati, che il peggior criminale della seconda guerra mondiale era un comunista chiamato Moranino. Perché questi erano i discorsi che mi circondavano quando ero ragazzo. A me pare che Giustolisi risponda a questa vulgata anti-antifascista sia con la puntualità delle informazioni, sia soprattutto con l’ampiezza della prospettiva. La scia di sangue che Giustolisi traccia comincia a Matera e arriva a Udine, segno che la politica delle stragi fu un dato generale, una strategia complessiva dell’occupante nazista. In questo modo, il libro contribuisce a sciogliere quella prospettiva esclusivamente localistica, che fa di ciascuna strage un fatto separato e racchiuso nel contesto locale e che è ancora assai diffusa nella memoria di base.  È un contributo importante: è qui infatti che si annida gran parte della cattiva memoria che spiega le stragi con la responsabilità dei partigiani: se le stragi sono fatti locali, allora i responsabili devono essere locali. Così, di volta in volta, si va in cerca di un episodio scatenante, magari inventato – il contadino che resiste al furto dell’animale, la ragazza che resiste al tentativo di violenza – per dare una spiegazione occasionale e locale a qualcosa che fu invece sistematico e globale. E basta pensare che non rientrano nella prospettiva del libro, ma ne sono lo sfondo, altri crimini di guerra che hanno provocato stragi: per restare a Roma, e per fare solo gli esempi più tremendi, pensiamo alla deportazione di duemila ebrei romani, a quella dei carabinieri nell’ottobre 1943, a quella del Quadraro nell’aprile del ’44. Se poi aggiungiamo che il libro ha una prospettiva che va oltre i confini nazionali e include le stragi di militari nell’Egeo e il massacro di Treuenbritzen in Germania – e anche qui: non dimentichiamo Leopoli! – allora il giustificazionismo localistico va in pezzi davanti alla chiarezza del disegno complessivo. Verrebbe da dire che le pagine più eloquenti sono infine le cartine che aprono e chiudono il libro, mappe di un’Italia intera percorsa dalla “scia di sangue” anche là dove di presenza partigiana non c’era traccia. Infine, il libro è anche la storia del suo farsi: dalla scoperta dei fascicoli nell’armadio della procura militare alla sostanziale disattenzione della comunità degli storici accademici, alla battaglia contro le ipocrisie e i cavilli per far costituire una commissione parlamentare sulle stragi che la destra non ha il coraggio di osteggiare apertamente e contro la quale fa – e Giustolisi lo documenta – un’autentica strategia di ostruzionismo parlamentare. C’ero anch’io in quello che deve essere stato un gran giorno per Franco, quando i Sindaci di centocinquanta città italiane colpite dalle stragi si sono incontrati nell’Auditorium di Roma per ribadire un deciso no all’oblio, all’insabbiamento, alla cancellazione delle responsabilità storiche. Nelle parole del Sindaco di Marzabotto e del Sindaco di Roma – una piccola comunità di montagna e una grande metropoli, accomunate dalla memoria – sono state ribadite quel giorno le ragioni di un’Italia antifascista, un’Italia che non dimentica e che deve molto all’ostinazione e alla passione di persone come Franco Giustolisi. Proprio per questo ho parlato all’inizio di tappa importante ma non conclusiva del lavoro di Franco Giustolisi. Questo libro non è una ricerca accademica, che una volta arrivata alla pubblicazione si chiude e si passa ad altro; questo libro è uno strumento per una battaglia politica e per una battaglia di cultura che non finisce qui, ma che da qui continua con un bagaglio arricchito di conoscenze e con una rinnovata passione.

FRANCO GIUSTOLISI: «L’Armadio della vergogna», ed. Nutrimenti, Roma (via Appennini, 46), 2004, pp. 304, € 18,00.

Patria indipendente, 25 luglio 2004

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