Patria indipendente
Cronaca
di un processo
Dall’«Armadio della vergogna» rispunta il fascicolo di condanna per un criminale nazista
di
Ilio Muraca
Si
tratta del tenente delle SS, medico, Alfred Doennenberg, di 87 anni, che ancora
vive tranquillamente nel profondo nord della Germania, in Renania, grazie ai
proventi di una ricca pensione. Nel fascicolo a suo carico, ora custodito dalla
Procura militare di Padova, fra i vari capi d’accusa, c’è l’ipotesi
dell’omicidio di 31 persone, tutte friulane, tra l’aprile e l’agosto 1944.
Fra le vittime anche un bambino di 2 anni ed il fratellino di soli otto mesi.
Inoltre i capi di imputazione fanno riferimento ad undici episodi
circostanziati, fra rastrellamenti, torture ed esecuzioni sommarie, ai danni di
civili, la cui colpa era quella di avere amici o parenti sospettati di essere
partigiani. Così, grazie ad una pluralità di testimonianze dirette e di
documenti d’epoca, il p.m. militare, Sergio Dini, ha riaperto il procedimento
accusatorio, il mattino del 3 giugno scorso, durante il quale, ad un certo
punto, dal fondo dell’aula deserta, una persona dall’aria modesta si è
fatta avanti per dichiarare: «Vengo a mie spese da Rovereto in Piano, in
provincia di Pordenone, per dire che questo Doennenberg io l’ho visto bene in
faccia, quando ero un ragazzo ed è entrato nella mia casa, col mitra spianato,
per buttare fuori i miei, rubare tutto il possibile e poi dare fuoco
all’abitazione, dalla stalla al solaio». La sua è stata una testimonianza
inattesa e spontanea, sull’onda di un ricordo incancellabile e ancora oggi
angoscioso, contro un uomo che, mentre da una parte prestava gratuitamente la
sua opera di medico dall’altra, uccideva e torturava, ultimando le sue
efferate operazioni col dar fuoco alle case, tanto da essere soprannominato “foghin”,
che in Friuli vuol dire “fuoco”. Un tratto non insolito in alcuni individui
della razza teutonica, capaci di coltivare insieme la musica ed il terrore,
l’arte e la violenza, con identica passione. Quel mattino mi trovavo anch’io
nell’aula delle udienze, esortato ad assistere dal presidente dell’ANPI di
Udine, ma come ospite non annunciato, tanto che il presidente del tribunale,
vedendomi, mi ha autorizzato a rimanere soltanto dopo aver chiesto il concorde
parere dell’avvocato difensore e del pubblico ministero. A udienza iniziata,
l’avvocato Pierilario Troccolo, ha dato subito prova della sua preparazione e
determinazione, esponendo alcuni punti essenziali degli accertamenti preliminari
e confutandone altri, quali, ad esempio: che il Doennenberg non era potuto
essere presente, perché impedito dalla tarda età; che il procedimento andava
sospeso perché non si era provveduto alla traduzione, in tedesco, dell’intera
documentazione, come previsto dalla legge; infine, che esistevano dubbi di
omonimia sulla persona dell’imputato, con altro ufficiale tedesco, dal cognome
quasi identico, anch’esso operante in alta Italia. Nuovo a processi del
genere, ho potuto constatare come il rispetto delle procedure, sulla
salvaguardia dell’imputato, pur colpevole di efferati delitti, fa passare in
secondo ordine la mostruosità delle sue azioni. Ma quello che mi ha sorpreso di
più è stato il fatto che il difensore abbia apertamente condannato l’assenza
totale della parte civile, come dire la muta presenza dei morti ammazzati, dei
fucilati, dei torturati, sia pure nelle persone dei loro congiunti, che avrebbe
reso più vero e cogente il dibattimento ma, al tempo stesso, dato maggiore
appiglio alla confutazione degli addebiti a carico dell’ufficiale delle SS. Un
argomento, questo, che mi ha fatto immaginare, per un attimo, la deserta aula
affollata di cadaveri, di volti sconvolti dal terrore, di donne e fanciulli
innocenti, per i quali l’unica giustizia avrebbe dovuto essere al momento,
quella “partigiana”, come rigoroso e lecito atto di difesa. Dopo l’arringa
del difensore
è subentrata una pausa di riflessione in cui il p.m. Dini e l’avvocato
Troccolo si sono avvicinati al presidente del tribunale per discutere
liberamente: «Sì, è vero», ha detto quest’ultimo «che, dopo sessanta
anni, è difficile giudicare con lo stesso spirito di allora. Tuttavia, quando
si vede, come mi è capitato, un testimone oculare vibrare ancora di paura,
perché rimasto sepolto per ore, coi morti e gli agonizzanti, in una fossa
comune, come non pensare che giustizia va egualmente fatta, a dispetto degli
anni trascorsi?». Poi, il processo è ripreso, con le eccezioni del p.m., che
ha precisato come le giustificazioni di carattere sanitario, avanzate
dall’imputato, per la sua assenza, non venivano ritenute sufficienti, e
pertanto egli era tenuto a comparire nella prossima udienza; la traduzione degli
atti, in tedesco, andava fatta con la massima urgenza, stabilendo sin d’ora il
traduttore accetto da entrambe le parti; l’omonimia del cognome dei due
ufficiali non era da prendere in considerazione, in quanto troppo distanti erano
le rispettive dislocazioni operative e troppo specifiche le accuse a carico del
vero Doennenberg. Con queste ultime battute, si è conclusa questa nuova udienza
preliminare. Ma mi è rimasto l’amaro in bocca, per l’assenza di testimoni e
la mancata assunzione della parte civile. Per cui, sarà indispensabile in
futuro, per non vanificare i grandi sforzi fatti sin qui, per riportare alla
luce le nefandezze naziste, che l’ANPI si faccia carico della sua effettiva
presenza o di quella dei familiari dei caduti o dei superstiti, in modo che l’«armadio
della vergogna» possa dimostrarsi inesorabile contro i responsabili delle
crudeltà subite dai partigiani e dalla popolazione che li sosteneva, per la
buona pace di coloro che, da lassù, attendono ancora il sollievo di una
giustizia terrena.
Hanno
detto... hanno scritto
Nel
momento in cui l’Europa Unita si dà una Costituzione, che potrà essere
condivisa o criticata, ma che rappresenta un evento di grande storico nella vita
del Continente, rileggiamo in uno scritto di Norberto Bobbio pubblicato di
recente: «Nessuno oggi può fare la storia della Resistenza senza tener conto
della prospettiva federalistica. Non tutta la resistenza fu federalistica. Ma
certo il federalismo fu un denominatore comune a vari gruppi che alla guerra di
liberazione diedero vita; prova ne sia che i tre autori del Manifesto [di
Ventotene – ndr] provenivano da regioni intellettuali e da esperienze
politiche diverse. Fu uno dei punti programmatici del Partito d’Azione che
riassumeva, più spesso amalgamati che fusi, tutti i motivi ideali
dell’antifascismo approdato alla guerra di liberazione. Proprio attraverso
l’esperienza della Resistenza esso si trasformò in programma d’azione».
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Leggiamo
in una recensione che Gina Lagorio ha dedicato a Poesie della Resistenza nel
mondo a cura di Giò Ferri e Gilberto Finzi: «Una piccola preziosa
antologia che introdotta storicamente dai curatori trova la sua migliore
apertura nella lapide commemorativa dettata da Piero Calamandrei per rispondere
alla iattanza del maresciallo Kesselring, il comandante tedesco in Italia
durante gli anni della Resistenza: “Lo avrai camerata Kesserling il monumento
che pretendi da noi italiani ma con che pietra si costruirà a deciderlo tocca a
noi...”. Se ancora usasse la pratica stupidamente deprecata dell’imparare a
memoria, proporrei nelle scuole italiane il testo di Calamandrei
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Il
10 maggio 1943 Carlo Alberto Bigini, ministro dell’Educazione Nazionale
comunicò a Guido Calogero l’esclusione dall’insegnamento con una lettera in
cui, tra l’altro, si affermava: «Dalle indagini da me recentemente fatte
eseguire negli ambienti pisani, circa il vostro atteggiamento nei riguardi del
Regime, sono risultate alcune vostre manifestazioni di pensiero e di sentimenti
nettamente antifascisti e, soprattutto, un’aperta manifestazione di simpatia
per l’Inghilterra e di irriducibile avversione contro l’alleata Germania».
Ecco per quali motivi dell’Italia fascista un insegnante poteva essere espulso
dalla scuola.
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Tim
Parks in un articolo pubblicato da La Repubblica ha definito «incendiarie»
le Memorie di Giuseppe Garibaldi e si è chiesto perché esse siano poco
lette: «Se è universalmente riconosciuto che la figura più attraente e
positiva del Risorgimento, ma anche di tutta la storia dell’Italia moderna, è
Garibaldi, bisogna pure ammettere che nessuno legge le sue Memorie. Di
certo non vengono proposte agli scolari, incoraggiati pur sempre a venerare il
suo patriottismo. Pertanto le immaginavo noiose. E invece no: immerso nella
lettura, mi rendo conto che Garibaldi non viene letto perché molto di quello
che dice risulterebbe sgradito a certi segmenti della società italiana
contemporanea, in particolare alla Chiesa (“una vergogna che schiavizza anima
e pensiero” e ai burocrati “questo partito composto di compra-giornali, di
grassi proconsoli e di parassiti d’ogni genere”). E le Memorie ci
appaiono tanto più graffianti, quando ci rendiamo conto che gran parte della
loro analisi resta di sorprendente attualità: occorre ridurre il debito
pubblico, si legge, e le pensioni troppo alte…».
Patria
indipendente 20 giugno 2004