Patria indipendente
L’armadio
della vergogna
Nuovi
balletti sulle responsabilità
di Franco Giustolisi
Perentorio,
suadente, sicuro il presidente della neonata Commissione parlamentare
d’inchiesta sulle stragi nazifasciste, Flavio Tanzilli, UDC, annuncia di aver
risolto il mistero del più che cinquantennale affossamento delle inchieste a
carico degli assassini sotto bandiera di Hitler e di Salò. La responsabilità
dell’armadio della vergogna, ha affermato categoricamente, va ascritta a tutti
i partiti del tempo. Bene, bravo, bis. Il parlamentare in questione vuole
evidentemente rinnovare i fasti o, meglio, i nefasti di altre Commissioni come
quelle su Telekom Serbia e sul cosiddetto Mitrokin. Senonché, la deformazione
della verità è talmente evidente e clamorosa che si fa fatica a credergli. Il
mezzo per l’inopinata dichiarazione è stato la trasmissione dal titolo Pagine
nere di “Primo piano” andata in onda venerdì 30 aprile. Il giornalista,
Roberto Scardova, pur in un servizio che grondava sdegno, né poteva essere
diversamente, per quei crimini e per chi li aveva nascosti, si è servito nella
sua ricostruzione, infarcita tra l’altro di grossolane imprecisioni, delle
testimonianze e del contributo degli storici Filippo Focardi e Lutz Klinkhammer.
Sono loro due ad aver avanzato l’ipotesi, attendibilissima del resto, che la
sottrazione di giustizia ai danni del popolo italiano con la creazione di
quell’armadio avvenne per non consegnare agli Stati, che li richiedevano,
italiani da loro accusati di aver commesso crimini di guerra. Insomma si
salvarono gli assassini stranieri per la preoccupazione di dover aprire il
discorso anche sui presunti crimini commessi da italiani. Una tesi nota, che già
riportai a suo tempo sull’Espresso e, mi sembra, anche sull’Unità,
quando ebbi l’anticipazione delle ricerche di Focardi e Klinkhammer, cui del
resto do anche spazio nel mio recente libro L’armadio della vergogna.
Si affianca, questa ipotesi, a quella formulata dal Consiglio della magistratura
militare: fu la guerra fredda ad imporre il silenzio, dato che le palate di
fango, se si fosse parlato delle stragi contro i civili italiani, avrebbero
impedito il riarmo della Wehrmacht in funzione antisovietica. Forse valida la
prima ipotesi, forse valida la seconda, più probabilmente valide tutte e due
insieme. E sin qui tutti d’accordo. Assolutamente no sulla responsabilità
generalizzata che Focardi e Klinkhammer avanzano, sia pure con estrema prudenza,
basandosi essenzialmente su alcune riserve circa la consegna di italiani agli
Stati che volevano processarli. Le avanzò, fra gli altri, il successore di
Palmiro Togliatti al ministero di Grazia e Giustizia, Fausto Gullo, comunista,
che fu titolare di quel dicastero dal 13 luglio del 1946 al 13 maggio del 1947.
Ma contano i fatti, non le impressioni o le riserve non materializzatesi
concretamente. Eccoli i fatti, sinora non smentiti o contraddetti. Il 20 agosto
del 1945, il governo guidato da Ferruccio Parri, a neanche due mesi dalla sua
costituzione, mette mano alle inchieste sui crimini nazifascisti. C’è una
riunione al Vicinale cui partecipano i rappresentanti dei ministeri più
direttamente interessati (Esteri, Giustizia, Guerra…). È presente anche il
procuratore generale militare Umberto Borsari. Si deciderà, e c’è un lungo
verbale ad attestarlo, che tutte le denunce riguardanti quei crimini affluiscano
presso la procura generale militare che poi le smisterà alle procure militari
competenti per territorio. Ci sono altre riunioni per mettere a punto
questionari, per stabilire procedure, eccetera. Borsari si distingue per un
frenetico attivismo: scrive alle prefetture, ai comandi dei carabinieri, alle
autorità alleate per avere informazioni. Si fa anche portatore della volontà
inascoltata dei parenti dei superstiti di Marzabotto e di Stazzema di essere
accolti come parti civili nel processo che gli anglo-americani tengono a Venezia
contro il maresciallo Albert Kesselring, criminale di guerra condannato a morte,
ma liberato dopo appena cinque anni… I fascicoli sulle tante stragi si
gonfiano di testimonianze, di atti, di ulteriori denunce tanto che nel giugno
del 1947, incontrandosi con un alto funzionario del ministero degli esteri, G.
Castellani, che poi riferirà al segretario generale dello stesso ministero,
conte Vittorio Zoppi, in una lettera portata alla luce dal duo Focardi-
Klinkhammer, ha scritto che «i processi, oltre 2000, sono pronti per essere
avviati». Quindi, sino a quel momento – ripetiamo la data: giugno 1947 –
nessuno aveva deciso l’affossamento nell’Armadio dei fascicoli dove venivano
documentate le stragi con i nomi degli assassini. E neanche un mese prima,
esattamente il 31 maggio del 1947 era subentrato un governo centrista guidato da
Alcide De Gasperi. Comunisti, socialisti ed azionisti erano passati
all’opposizione. Ci può spiegare il presidente Tanzilli e l’acritico
giornalista che lo intervistava mentre passavano sullo schermo le immagini di
Palmiro Togliatti e di Pietro Nenni, come fecero a decidere anche loro la
tumulazione nell’Armadio della Vergogna? Togliatti, Nenni, De Gasperi, magari
con l’assistenza di Giulio Andreotti, si erano incontrati nottetempo, pur
essendo ormai gli uni contro gli altri armati, per togliere giustizia e verità
al popolo italiano? Tutto può essere, ma a me non risulta. E ci vorrebbe tra
l’altro qualche prova.
Patria
indipendente, 20 giugno 2004