Patria indipendente
Negata la giustizia, si affermi almeno la verità
di Lucio Cecchini
Non
c’è stata vita, né altri girotondi, né spensierati giochi, né sogni con
gli occhi aperti su un mondo tutto da scoprire per questi bambini di una scuola
elementare di Sant’Anna di Stazzema, un piccolo centro della Lucchesia noto a
tutti gli italiani per uno degli episodi più efferati in cui rifulse la
barbarie nazista. Queste cose furono loro sottratte il 12 agosto 1944 da reparti
della 16ª Divisione Reichsführer, di cui facevano parte anche 16 italiani, che
oggi – secondo l’attuale maggioranza parlamentare – dovrebbero essere
riconosciuti come “legittimi belligeranti”. Anche loro, che insieme ai
camerati tedeschi, si batterono sicuramente per “l’onore d’Italia”. Ma a
quei bambini, come a migliaia di altre vittime, sono state sottratte anche la
verità e la giustizia e questa volta non da carnefici in armi, ma da esponenti
del loro stesso Paese per i quali “realpolitik” e “ragion di Stato”
hanno costituito aberranti giustificazioni per un comportamento che si fa fatica
a definire. Eppure non c’è mai fine allo stupore, se ancora il 12 maggio di
quest’anno si è potuta leggere nel Giornale di Vicenza questa dichiarazione del deputato Pierantonio
Zanettin: «L’armadio della vergogna? Io credo che non sia mai esistito. A mio
avviso si è trattato di una montatura mediatica e mi viene il dubbio che quei
documenti possano essere stati dimenticati come avviene in tanti archivi
storici, e non occultati per chissà quale fine inconfessato». A noi, per la
verità, vengono altri dubbi, visto che la Commissione Giustizia della Camera,
al termine di un’indagine conoscitiva, non ha avuto dubbi né remore a
scrivere: «… la costante violazione della legge a causa della mancata
trasmissione dei fascicoli alle procure competenti, da parte di tre diversi
soggetti, non può non far pensare ad un disegno unitario volto ad impedire la
celebrazione di processi sui crimini di guerra. È da ritenere che i magistrati
militari furono in realtà uno strumento in mano ai politici ed, in particolare,
al governo». Altro che amnesia totale e generalizzata! Queste considerazioni
sono altrettanti motivi per essere grati a Franco Giustolisi non soltanto per
averci dato il libro di cui ci occupiamo, ma per essersi battuto con impegno
esemplare per trarre dalla vergognosa dimenticanza le stragi e perché si
insediasse una Commissione parlamentare d’inchiesta. Ora la Commissione c’è,
ed è un risultato importante, anche se – come documenta lo stesso Giustolisi
nell’articolo che precede – è tutt’altro che esaurita la gamma delle
elusioni e delle evasioni. Ma torniamo al libro, che dovrebbe essere letto da
tutti e soprattutto trovare posto nelle biblioteche delle scuole italiane di
ogni ordine e grado. La ricostruzione dell’insabbiamento prima, del
ritrovamento e dei successivi atti, è sorretta da un apparato ricchissimo di
documenti, per cui si può dire che non ci sia affermazione non corredata da
adeguate pezze d’appoggio. La pubblicazione costituisce un avvenimento
editoriale di indubbio spessore, anche in riferimento all’indagine sulle
motivazioni che possono essere state all’origine della scelta di fare tabula rasa delle inchieste sulle stragi. Aspettiamo adesso che
qualche storico venga a ricordarci che se non si è parlato in tutto il
dopoguerra di Cefalonia è perché la Resistenza dei militari non rientrava
negli schemi ideologici della storiografia di sinistra. Dimenticando il silenzio
davvero assordante delle istituzioni dello Stato italiano. Possibile che non ci
si chieda perché si è dovuto aspettare Pertini per cominciare a rendere
omaggio ai militari caduti in combattimento e a quelli massacrati nelle isole
dell’Egeo? Ma le Associazioni partigiane e l’ANPI in particolare non hanno
aspettato per indire due convegni nazionali sulla Resistenza dei militari
all’estero e per andare a Cefalonia. Sembra non passare per la mente a nessuno
che il silenzio sia stato causato da esigenze, per così dire “atlantiche”,
tese a non riaprire il discorso sui crimini compiuti dai tedeschi nel momento in
cui la guerra fredda imponeva di preparare il riarmo della Germania. E qui
vorremmo concludere dicendo all’on. Zanettin, che non si è trattato di
qualche misterioso “fine inconfessato”, ma di un fine confessato a chiare
lettere da ministri succedutisi tra il finire degli anni Quaranta e l’inizio
dei Cinquanta.
FRANCO
GIUSTOLISI: «L’Armadio della vergogna»,
ed. Nutrimenti, Roma (via Appennini, 46), 2004, pp. 304, € 18,00.
Patria
indipendente 20 giugno 2004