Patria indipendente
Partigiani
e Lager
In
margine al “giorno della memoria”
di
L.C.
In
uno dei tanti incontri cui l’ANPI ha partecipato il 27 gennaio nelle scuole e
altrove, svolgendo un’opera di informazione e formazione che non sarebbe
ingiusto definire di vero e proprio “servizio pubblico”, mi è capitato di
sentirmi chiedere: «Ma gli antifascisti e i partigiani cosa c’entrano con le
deportazioni e i campi di sterminio?». In altri momenti mi sarei stupito di
sentirmi rivolgere questa domanda. Oggi non me ne meraviglio, visto lo zelo con
cui non soltanto giornalisti ed opinionisti, ma anche personaggi titolari di
alte cariche della Repubblica sono impegnati a rimuovere ogni riferimento
all’antifascismo e alla Resistenza, considerati una specie di basto inutile e
dannoso di cui sarebbe stato opportuno liberarsi da tempo e che comunque va
scaricato dalle nostre spalle una volta per tutte e senza rimpianti. Ma ai
giovani che ti interrogano bisogna rispondere e sempre con la massima apertura e
disponibilità, perché non si può attribuire loro la responsabilità delle
carenze e dei vuoti di formazione che spesso rivelano. L’aberrazione nazista
dei campi di sterminio, delle camere a gas e dei forni crematori ha riguardato
circa 12 milioni di persone. Tra queste, 11 milioni lasciarono la vita in quegli
impianti scientifici di morte. Poco più della metà – 6 milioni – erano
ebrei. È quindi indiscutibilmente giusto che il primo ricordo vada al debito
pagato con la Shoah dal popolo ebraico a una barbarie senza precedenti – e
speriamo senza seguiti – nella storia dell’umanità. Ma questo omaggio,
assolutamente doveroso, non esaurisce il significato della “Giornata della
Memoria” né chiude la questione dal punto di vista della verità storica.
Perché la classificazione degli “ospiti” dei Lager era molto più complessa
ed abbracciava una serie di categorie, che andavano da minoranze etniche e
religiose (ebrei, rom, testimoni di Geova ecc.) agli handicappati, agli
omosessuali, agli oppositori politici di ogni tipo e orientamento. Ecco allora
cosa gli uomini della Resistenza hanno da vedere con il “Giorno della
Memoria”. Nei campi finirono migliaia di antifascisti, di partigiani presi
prigionieri – se non venivano immediatamente passati per le armi – di
lavoratori italiani. Perché i lavoratori? È noto – ma dovrebbe esserlo molto
di più – che i lavoratori italiani dell’industria, ma non solo, furono gli
unici, nell’Europa occupata dalle armate naziste, a dar vita a scioperi di
massa, soprattutto nella primavera del 1944. Hitler aveva addirittura disposto
che tutti gli scioperanti fossero deportati in Germania. La cosa si dimostrò
impossibile persino per la formidabile macchina della repressione tedesca perché
gli scioperanti erano centinaia di migliaia. Ma parecchie migliaia di lavoratori
italiani – purtroppo sembra che non sia stata possibile una quantificazione più
precisa – finirono nei Lager e quasi tutti vi lasciarono la vita. Non si
possono poi dimenticare gli oltre 600 mila militari presi prigionieri dai
tedeschi al momento dell’armistizio (8 settembre 1943) e internati in campi di
concentramento. Di questi, 50 mila non fecero ritorno. Appare quindi evidente,
già da questi scarni riferimenti, la stretta connessione tra lo sterminio del
popolo ebraico e quello degli oppositori politici a più diverso titolo. E la
connessione è talmente stretta e inscindibile che lo stesso Primo Levi,
considerato giustamente uno dei simboli più significativi della persecuzione
antiebraica, era un partigiano. Ecco come lo scrittore cominciò il suo libro più
noto, Se questo è un uomo:
«Ero stato catturato dalla milizia fascista il 13 dicembre 1943. Avevo
ventiquattro anni, poco senno, nessuna esperienza, e una decisa propensione,
favorita dal regime di segregazione a cui da quattro anni le leggi razziali mi
avevano ridotto, a vivere in un mio mondo scarsamente reale, popolato da civili
fantasmi cartesiani, da sincere amicizie maschili e da amicizie femminili
esangui. Coltivavo un moderato e astratto senso di ribellione. Non mi era stato
facile scegliere la via della montagna, e contribuire a mettere in piedi quanto,
nella opinione mia e di altri amici di me poco più esperti, avrebbe dovuto
diventare una banda partigiana affiliata a “Giustizia e Libertà”».
Patria
indipendente, 22 febbraio
2004