Patria indipendente
La forza del ricordo
di Gianfranco Maris
Il
2004 si apre nella ricorrenza di eventi che hanno segnato indelebilmente la vita
e la memoria degli uomini: il sessantesimo anniversario della liberazione di
Auschwitz nel gennaio 1944 e della grande deportazione nei campi di
annientamento nazisti degli operai italiani
nel marzo 1944, scesi in lotta, con uno sciopero generale, nel Paese straziato
dal criminale terrorismo nazifascista, per la libertà dei prigionieri politici
e per la pace, contro l’esercito tedesco occupante e contro le milizie
fasciste della R.S.I. Nei prossimi mesi le ricorrenze si moltiplicheranno con il
sessantesimo anniversario delle stragi nazifasciste della Benedicta, delle
Ardeatine, del Passo del Turchino, di Fossoli, del Grappa, dell’Appennino
tosco-emiliano, una lunga ininterrotta scia di sangue che copre quasi tutti i
paesi da Sant’Anna di Stazzema a Marzabotto. Gennaio è tempo di rivisitazioni
storiche, così come una legge dello Stato stabilisce, impegnando anche le
scuole nella ricerca, nello studio, nella ricostruzione degli eventi drammatici,
nel ricordo delle vittime del fascismo e del nazismo. In un tempo ufficialmente
dedicato al ricordo, come momento didattico per l’educazione civica dei
giovani, che comporta, per uscire dalla retorica ed entrare nella memoria e
nella storia, indispensabili e fondamentali attività di ricerca, di
documentazione, di informazione, non può non essere rilevato un fatto di
particolarissima gravità, qual è l’assenza di qualsiasi finanziamento
statale per le celebrazioni del sessantesimo anniversario della Resistenza.
Nella ricorrenza del cinquantesimo anniversario tutte le attività di
celebrazione, di rivisitazione, di memoria, furono finanziate e assunte come
proprie dallo Stato. Questo solo fatto – anche se non mancano iniziative e
impegno da parte degli enti locali e delle associazioni delle Resistenza –
sottolinea l’anomalia etica che ha investito il Paese, il quale vive un
momento politico-culturale di estrema gravità, caratterizzato, da un lato, dal
dispiegarsi dell’Italia in un più ampio spazio internazionale, qual è quello
dell’Unione Europea, nel quale è ammessa proprio per la legittimità
democratica che le deriva dall’antifascismo, dalla Resistenza e dalla
Costituzione; e caratterizzata, da un altro lato, dalla evidente volontà
dell’attuale maggioranza di governo di stemperare la storia del fascismo
all’interno della storia nazionale, per ricondurla alla normalità di una
parentesi in un percorso politico domestico, chiuso e concluso, privo di
specificità, di esemplarità, di rilevanza internazionale nella storia del
secolo scorso e, quindi, ormai del tutto irrilevante anche storicamente. La
crisi politico-culturale che il Paese sta attraversando, anziché segnare una
positiva presa di coscienza storica dei fatti dai quali ci stiamo sempre più
allontanando, segna una nuova stagione di un uso politico della storia ispirato
ad un chiaro disegno di liquidazione della memoria storica che, sino ad oggi,
nessun revisionismo del passato era mai riuscito a realizzare. Sulla società
italiana si erano abbattute tutte le disattenzioni, le negligenze, i silenzi, le
omissioni immaginabili e possibili per rimuovere o banalizzare comunque il
passato: superficiali e inconcludenti procedimenti nei confronti dei
responsabili dei reati commessi di collaborazionismo o per conseguire profitti
di regime e di guerra, insabbiamento e occultamento dei processi per stragi,
abdicazione della scuola pubblica al suo dovere di fare conoscere la storia del
Paese alle giovani generazioni, esplicita delegittimazione da parte delle stesse
istituzioni della storiografia della guerra di Liberazione, definita
spregiativamente, come “una vulgata resistenziale”. È grazie a questa
vulgata se ancora oggi la Resistenza nel nostro Paese parla agli uomini e narra
dei valori che ha tramandato, figlia di un antifascismo coraggioso, fatto di
testimonianza e di sacrificio, nel quale si sono ritrovati uniti democristiani,
socialisti, comunisti, liberali, azionisti nel momento in cui per la patria e
per la libertà e per la democrazia,
contro il nazismo e contro il
fascismo, era necessario morire insieme, subire insieme le torture, salire
insieme con dignità la scala dell’annientamento nei campi di sterminio
nazisti. Il travaglio della democrazia e dei sistemi parlamentari, esangui per
carenza di vitalità sociale nell’Europa occidentale ed incerti nei loro primi
passi nell’Europa centro orientale, esige il recupero e non la liquidazione
del patrimonio di valori comuni, che trae la sua origine nella lotta dei popoli
dell’Europa occupata dall’Asse per imporre un nuovo ordine nazifascista.
Invece in Italia il presidente del Senato, esimio epistemologo, che conosce
tutti i canoni della gnoseologia storica, relega l’antifascismo tra i ciarpami
della soffitta della cultura e della politica, spregiativamente retrocesso nella
categoria dei “miti rivoluzionari tolemaici”, nati morti, dunque inutili,
anzi, nocivi. Questa nuova stagione del revisionismo, radicale e di
annientamento della storia, questa nuova stagione dello spregiudicato uso
politico della storia, ai fini di negare il segno antifascista della sofferta
democrazia non solo nostra, ma anche europea, ai fini di sostituirvi i valori
diversi dell’impresa, della concorrenza, del mercato, lascia sopravvivere
soltanto un antifascismo, quello cattivo, che si pretende di equiparare, a forza
e non a ragione, al comunismo bolscevico, al quale infine vengono ricondotti
tutti i mali, tutte le violenze, tutte le sciagure, tutti i delitti del secolo
scorso e di quello presente, come se non fossero stati il fascismo ed il nazismo
a mettere a ferro e fuoco il mondo. La memoria resta la strategia culturale,
quindi, politica, più forte, più efficiente, più capace di reggere il
confronto e lo scontro. La memoria consente di riaffermare il carattere centrale
del fascismo nella storia europea, con particolare riferimento tra le due guerre
mondiali, nell’esperienza stessa della seconda guerra mondiale e nell’area
intera dell’Europa occidentale e centro occidentale. La gravità dei problemi
interni ed internazionali, che oggi attraversano e percuotono la nostra vita,
esigono da tutti una risposta politica alta. Un pensiero politico capace di
capire i problemi nel loro intreccio tra presente e futuro non può prescindere
da una memoria storica intesa non staticamente, come ricordo puro dei fatti, ma
dinamicamente, come rivisitazione dei fatti nel loro rapporto con le cause
efficienti, prossime e remote, che li hanno resi possibili sul piano politico,
sul piano etico, sul piano istituzionale. La memoria è questo: capire il perché.
Al di fuori di questa memoria lo stesso ricordo, esaurendosi nella rivisitazione
emotiva dei fatti, non costituisce guida né riferimento, né pensiero politico
capace di leggerei problemi dell’oggi e del domani. Mark Block, fondatore
delle Annales, fucilato dai nazisti nel 1944, scriveva che solo la
conoscenza del passato consente di capire il presente.
Patria
indipendente, 18 gennaio
2004