Patria indipendente

Ancora accanimento contro gli ex internati militari italiani?

 

di Libero Porcari

 

Antefatto

Non ricordiamo mai abbastanza che una delle pagine più nobili della Resistenza dei popoli d’Europa al nazifascismo ha avuto per protagonisti i militari italiani catturati dalle forze armate dell’ex alleato germanico, generalmente con dolo, nei giorni dell’8 settembre 1943, soprattutto nel centronord della Penisola e nei Balcani. Si tratta dei “seicentomila” sottufficiali e soldati e dei quindicimila ufficiali che per senso del dovere ed amor di patria sopportarono 18-20 mesi di “internamento” nei campi della Germania in condizioni disumane (affollamento, fame, freddo, mancanza di medicine) rifiutando sdegnosamente, salvo rarissime eccezioni, l’adesione alla repubblica sociale in cambio del promesso rimpatrio (a proposito: a chi è venuta in mente la bestemmia “otto settembre morte della nazione, della patria”?). Furono almeno 33.000 (50 mila secondo altre fonti) le vittime dei bombardamenti, dei maltrattamenti, delle sofferenze e persecuzioni, delle esecuzioni sommarie nei campi. Nella pubblicazione 1975 dell’Ufficio Storico SME Le operazioni delle unità italiane nel settembre-ottobre 1943 leggiamo a pag. 640 un’importante precisazione riguardante gli ex IMI: «tutti furono considerati Internati e non prigionieri di guerra, senza alcuna garanzia giuridica (…) Furono sottoposti a pesanti misure intimidatorie e vessatorie per indurli a collaborare…».

Il fatto

Dopo mezzo secolo arriva un indennizzo? Le Associazioni combattentistiche e della Resistenza sono state un giorno informate di quanto segue: «Il 12 agosto 2000 è stata approvata una legge con la quale la Repubblica Federale tedesca ha incaricato sette organizzazioni partner, tra cui l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) di procedere alla concessione di indennizzi a favore di quelle persone che sono state sottoposte a lavori forzati o hanno lavorato in condizioni di schiavitù e delle vittime di altre ingiustizie durante il regime nazista. Il governo tedesco e le imprese tedesche contribuiscono al fondo in eguale misura. La legge tedesca riconosce che le ingiustizie commesse e le sofferenze umane causate non hanno prezzo e che la legge stessa arriva troppo tardi per coloro che hanno perso la vita durante il regime nazista o che sono deceduti nel corso degli anni (…) I prigionieri di guerra ed i loro eredi non hanno diritto all’indennizzo. Tuttavia nel caso in cui il prigioniero di guerra sia stato trasferito in un campo di concentramento o abbia perduto lo status di prigioniero di guerra, si può comunque presentare richiesta di indennizzo (…) Per i residenti in Italia, la richiesta va fatta pervenire a IOM, via Nomentana 62, 00161 Roma». Dopo che allo IOM di Roma, seguendo le istruzioni, erano state inviate circa 100 mila domande di IMI o loro eredi (nonché i documenti supplementari richiesti), dallo IOM medesimo veniva diffuso un comunicato dell’ufficio informazioni della Germania datato 3 agosto 2001 precisante tra l’altro quanto segue: «I cosiddetti Internati Militari Italiani non hanno diritto al pagamento dell’indennizzo (…) il Governo Federale si è rivolto al prof. Tomuschat rinomato esperto di diritto internazionale (…) in linea di massima il professore ha confermato il loro stato di prigionieri di guerra (…) i prigionieri di guerra secondo le leggi internazionali possono essere obbligati a lavorare (…) il Governo Federale chiede agli italiani interessati ed al Governo italiano comprensione per questa interpretazione legale (…)».

Considerazioni e proposte

C’è da rimanere senza parole. Comprensione? Ma come non ribellarsi? A mio giudizio si reca offesa pesante, inaccettabile ad ogni “internato” morto o vivo, ai familiari, alla Resistenza. Si offende e stravolge la storia dei popoli d’Europa, la verità. Gli ex internati militari italiani soffrirono e lottarono per la libertà con eccezionale determinazione e tenacia; non hanno mai avanzato pretese particolari; ritengo non protesterebbero più di tanto se fosse il solo risarcimento pecuniario a venire negato. Ma mi sbaglio o alla grande famiglia degli IMI si era fatto sperare in un alto seppure tardivo riconoscimento di carattere essenzialmente morale, cui è ben più doloroso rinunciare? Se poi addirittura quelle che apparivano buone intenzioni dovessero comportare, in un clima di generale indifferenza, un’ennesima discriminazione e persecuzione a danno, una volta ancora, dei “badogliani traditori” eccellenti di sessanta anni fa? Non ritengo nostro compito, non saremmo capaci d’indicare ai responsabili ANPI le strade, i comportamenti ritenuti più opportuni. Un obiettivo ci appare debba essere perseguito: che gli ex IMI e famiglie abbiano a sentire la vicinanza, la piena solidarietà dei partigiani d’Italia. Meglio, quella dell’intera Confederazione delle associazioni combattentistiche e della Resistenza cui tutti apparteniamo. Prima che gli ex IMI, servitori dello Stato certo fra i più fedeli e pazienti, lasciati soli e minacciati dell’ennesima discriminazione e persecuzione in un clima di generale indifferenza e distrazione, vengano ridotti all’esasperazione, ci corre l’obbligo di mobilitarci tutti. Il problema del cosiddetto indennizzo deve essere portato all’attenzione delle autorità più alte, delle istituzioni più rappresentative della Repubblica. Perché, lasciatemelo ripetere, non si tratta assolutamente di essere più o meno “comprensivi” verso una determinata, per nulla convincente, anzi falsa, “interpretazione legale”. In Germania, come in Italia, dobbiamo tutti convincerci e convenire che i nostri ex Internati Militari altro non chiedono che rispetto; per il loro passato di combattenti e resistenti, per la loro statura morale. Noi con loro chiediamo rispetto per la storia della nuova Europa; rispetto per la verità.

Patria indipendente, 21 luglio 2003

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