Patria indipendente

Memoria o amnesia?

 

di Franco Giustolisi

 

Viene celebrato più che giustamente, specie in questi giorni, il tremendo ricordo della Shoah, la immane e universale tragedia  ebraica. Ma ci si dimentica,  si vuole dimenticare un altro gigantesco  dramma, quello che portò a morte migliaia, decine di migliaia  di nostri connazionali… bambini,  donne, vecchi, uomini in divisa di lavoro, colpevoli di niente. Li sterminarono nazisti e fascisti. Due ragazzine erano sedute sugli scalini davanti alla loro casa, a Tagliacozzo. Passò un SS, il sergente Martin Gup, cavò la pistola dalla  fondina e sparò. Chissà, non gli era piaciuto il loro sguardo. Ne uccise  una, Diana Nuccilli, di 11 anni.   Ferì l’altra, Maria De Santis, 15 anni.  È ancora viva. Poco più in là, a qualche chilometro di distanza, a Capistrello, in quei terribili mesi del ’44, un ragazzo, Piero Masci, 19 anni, reo del furto di un pacchetto di sigarette, fu mitragliato da una squadretta di assassini. Ma, prima, altro che talebani, gli strapparono i testicoli, che gli avevano stretti con il fil di ferro. Il capo banda era il tenente Haing Nebgen, numero di matricola 5730/F. Ad una delle 560 vittime di Sant’Anna di Stazzema, Evelina Berretti in Pieri, nella sua casa in attesa della levatrice, furono loro, i militari del secondo battaglione del trentacinquesimo reggimento della sedicesima divisione delle Waffen SS, a far da levatrice. Li guidava il capitano Anton Galler, c’erano anche degli italiani tra di loro, già le SS italiche.  Le spararono alla testa, poi le aprirono il ventre con le baionette e gettarono il feto in terra. Il marito di Evelina fu ucciso con i suoi fratelli qualche centinaio di metri più in là. Quella mattina del 12 agosto del 1944 si tirò anche ad una bambina di 20 giorni, Anna Pardini.  Morì un mese dopo, troppo piccola per sopravvivere alle ferite.  In un grande registro che elenca quei crimini ai numeri 2272 e 2273, terz’ultima e penultima voce, viene riportato, nella colonna dove sono elencati gli imputati, il nome di “Vernalini, comandante militare di Bologna”. Alla voce reati, il cancelliere di turno non specificò, cavandosela con un grande punto interrogativo. Al numero 2273, ecco altri scherani di Salò:“Galli e Capra, tenenti, ambedue della legione Muti, accusati di arresti, sevizie e fucilazioni”. Quelle “voci”, in tutto 2274, si riferiscono ad altrettanti reati commessi dai mostri in divisa di Hitler e Mussolini via via che risalivano in fuga la penisola, dall’otto settembre del 1943 alla Liberazione. Ma tutti i fascicoli relativi alle stragi, agli omicidi, agli stupri, alle rapine, furono tumulati in quello che ho definito l’Armadio della Vergogna. Era nascosto in un sotterraneo di Palazzo Cesi, sede della procura generale militare, in via degli Acquasparta, a Roma. Per moltissimi di quei crimini, già si conoscevano, sin da allora, le generalità degli autori. E, comunque, a ridosso di quei fatti, non sarebbe stato, poi, così difficile individuarli tutti, additarne le responsabilità e farli processare. Così voleva il governo del CLN presieduto da Feroccio Parri. Ma subentrò la guerra fredda e comunisti, socialisti e azionisti uscirono dalla maggioranza. Quasi sicuramente fu il governo entrato in carica il 31 maggio del 1947, quello presieduto da Alcide De Gasperi, o quello immediatamente successivo, a dare l’ordine: i procuratori generali militari, la cui nomina dipendeva allora dal Consiglio dei ministri, eseguirono. Malgrado le smentite, ne dovrebbe sapere qualcosa, come dimostrano lettere da lui firmate, Giulio Andreotti che esordiva in quegli anni come sottosegretario di Stato. L’Armadio della Vergogna fu scoperto casualmente nel 1994, se ne incominciò a parlare e a scrivere su L’Espresso nel 1996. A maggio del 1999 il Consiglio della magistratura militare, al termine di un’indagine durata circa tre anni, confermò senza ombra di dubbio che era stata perpetrata un’ingiustizia di dimensioni colossali. Una ingiustizia che non ha eguali in nessun paese del mondo civile e, forse, neanche incivile. Ma la notizia, ed ancora oggi me ne stupisco non con finta ingenuità, non trovò risalto, anzi quasi tutti i grandi giornali e la Rai TV la ignorarono.  Sembrava che l’argomento fosse tabù. Sembra che lo sia ancora. Anche per i partiti. Ne ebbi una conferma nei primi mesi del Duemila quando partecipai, insieme a pochissimi colleghi, mi sembra due, e al procuratore militare di Roma, Antonino Intelisano, ad un incontro, alla Fondazione Basso, dell’istituzione per la Storia e la Memoria. Al tavolo della presidenza sedevano illustri personaggi, Pietro Scoppola, Leonardo Paggi, Giacomo Marramao, e il senatore Salvatore Senese, presidente dell’istituzione di cui è presidente onorario l’ex capo dello Stato, Scalfaro.  La riunione era preparatoria al grande convegno internazionale che si sarebbe tenuto a Firenze ai primi di maggio, sempre sul tema della storia e della memoria.  Era ancora in edicola il numero di Micromega dove avevo analizzato la relazione del Consiglio della magistratura militare, pubblicando per la prima volta il carteggio, avvenuto tra la fine del 1955 e gli inizi del 1956, tra due ministri del primo governo Segni: Gaetano Martino, liberale, titolare degli esteri, padre dell’attuale ministro della Difesa; e Paolo Emilio Taviani che in quegli anni era responsabile della Difesa. Il primo in due missive, classificate al massimo livello di segretezza, proponeva al secondo di evitare che i responsabili tedeschi della strage di Cefalonia fossero processati per evitare ripercussioni negative sul riarmo della Wehrmacht, necessario ai fini Nato. Il secondo, Taviani, dava il suo assenso. Lui, qualche tempo dopo, ebbe il coraggio civile di confermarmelo, anche senza assolutamente vantarsene, in una clamorosa intervista per L’Espresso, pochi mesi prima della sua morte. C’è da aggiungere che in quell’armadio, oltre alle stragi dei civili, erano stati sotterrati i fascicoli riguardanti gli eccidi (Cefalonia, appunto, Scarpanto, Rodi, Koritza, Spalato...) commessi dall’esercito tedesco contro i soldati italiani che compiendo il loro dovere non si erano immediatamente arresi al nemico. Quando, sopraffatti, alzarono bandiera bianca, furono trucidati in massa: più di 5000 a Cefalonia, oltre mille a Spalato, centinaia a Coo. E via massacrando. Ma Taviani respinse sdegnosamente e decisamente l’ipotesi di aver avuto a che fare con l’ordine di tumulare i processi riguardanti lo sterminio dei civili. In quell’articolo di Micromega pubblicavo anche un elenco di 31 criminali nazisti, una piccolissima parte del totale, di cui si era sempre e pervicacemente negata l’esistenza, in risposta alle sollecitazioni della nuova Germania posthitleriana. Senza falsa ingenuità, ripeto, chiesi ai professoroni che avevo di fronte se di quei temi si sarebbe parlato a Firenze. Ebbi un lungo battibecco con Scoppola, Paggi rimase muto, Marramao chiese qualcosa all’orecchio di Senese. Con tono grave mi fu annunciato che la storia non è né di destra né di sinistra.  Ribattei che se avessi trovato lettere di Togliatti, in luogo di quelle di Taviani, le avrei pubblicate ugualmente, anche se con assai maggior disappunto. Quanto alla idea di proporre la nomina di una commissione parlamentare d’inchiesta per chiarire chi dette l’ordine dell’occultamento, il motivo preciso e, quanto meno, per una richiesta di perdono nei riguardi dei morti e dei loro familiari, Scoppola rispose che quello non era compito degli storici, ma dei politici. Senese mi confermò che se fossi andato a Firenze e avessi chiesto la parola, non me l’avrebbe data. Ebbi l’ingenuità di chiamare il grande Amos Pampaloni, Medaglia d’Argento al valore militare, reduce di Cefalonia dove combatté contro i tedeschi come capitano d’artiglieria della divisione Acqui e, successivamente, come partigiano a fianco dei greci. Gli dissi «vai tu, a te non negheranno di parlare», Amos accettò con entusiasmo, «tutti debbono sapere di quelle lettere e dell’Armadio della Vergogna». Mi telefonò sconsolato l’indomani del convegno: «sai, non mi hanno fatto intervenire, mi hanno detto che c’erano già troppi oratori, ma mi hanno trattato benissimo...». Gli risposi «beh, ci voleva pure che ti prendessero a calci nel culo».  Da allora per arrivare a questa commissione parlamentare tanti passi e altrettanti tentativi sono stati fatti, specie dal “Comitato per la verità e la giustizia sulle stragi nazifasciste” costituito a Stazzema il 28 ottobre del 2000. Se ne è interessato il presidente Ciampi, speriamo che se ne interessi ancora.  Se n’è interessato Luciano Violante quando era presidente della Camera, ora un po’ meno. Se ne era parlato, prima del congresso Ds, con Piero Fassino e Giovanni Berlinguer: tanta indignazione nell’ascoltare di questa sorprendente e ignorata ingiustizia, per cui gli unici processi sono stati quelli per Marzabotto e le Ardeatine, ma, poi, più niente. Ora a Palazzo Madama, Gavino Angius, presidente dei senatori Ds, ha dato una forte spinta per la Commissione parlamentare, ci si augura decisiva. A Montecitorio, Francesco Bonito, rappresentante dei Ds in Commissione giustizia, sta facendo altrettanto. Gerardo Agostini, presidente della Confederazione delle associazioni reducistiche e partigiane (ne fanno parte reduci, mutilati, invalidi, vittime civili, Anpi, Anppia...) ha mandato lettere indignate a tutti i gruppi parlamentari. Nessuno osa dire che ci sono prima da risolvere i numerosi e preoccupanti problemi creati dal governo Berlusconi, l’Afghanistan, Bin Laden, eccetera.  Ma l’impressione è che, perlomeno qualcuno, pensi «uffa, questa commissione bisogna pur farla, così, non ce ne occuperemo più». Insomma, un arrivare ad uno sbocco formale, se proprio non se ne potrà fare a meno, per poi mettere la “pratica” in archivio, al più presto.  Come se la Storia non fosse Memoria di quel che è accaduto per non farlo ripetere. Non una casella vuota da riempire, dunque, magari con fastidio. Eppure quei morti, civili e militari, ed anche i partigiani, facevano, sono parte della nuova Italia. Non vanno dimenticati, a meno che non si voglia tornare al passato. Allora altro che Memoria, solo amnesia. Nel tentativo disuperare questa amnesia Giampiero Lorenzoni, sindaco di Stazzema, decorata di Medaglia d’Oro al valor militare, ed io a nome del “Comitato per la verità e la giustizia sulle stragi nazifasciste”, il 7 febbraio abbiamo inviato una lettera ai presidenti dei due rami del Parlamento sen. Marcello Pera e on. Pierferdinando Casini. Contiene parole dure, indignate, rabbiose. Ma così deve essere e così sarà sino a che verità e giustizia non prevarranno. Ve ne proponiamo

il testo.  «Signor Presidente, facciamo seguito alla lettera del 23 ottobre 2001 con la quale, a seguito del documento finale approvato il 6 marzo 2001 dalla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, si chiedeva il Suo autorevole impegno affinché si desse corso all’istituzione di una “commissione d’inchiesta parlamentare” per far luce sulle stragi di civili compiute dai nazi-fascisti dal settembre ’43 alla Liberazione, oltre ad accertare le responsabilità di chi provvide e di chi dette l’ordine di occultare, “nell’Armadio della Vergogna”, centinaia di fascicoli contenenti le denunce e le indagini di quei tremendi reati, macchiandosi di tanta clamorosa ingiustizia.  Le ricordiamo ancora che tra quei fascicoli c’era anche quello di S. Anna di Stazzema. Era il 12 agosto del 1944 quando la ferocia e la furia omicida di squadre nazi-fasciste strapparono alla vita 560 civili innocenti: erano vecchi, donne e 117 tra bambini e ragazzi al di sotto dei 14 anni.bLa più piccola, Anna Pardini, aveva solo 20 giorni. Signor Presidente torniamo a scriverLe, ancora una volta, e speriamo vorrà “perdonare” la nostra insistenza, ma dalla cronaca di questi giorni è  possibile apprendere l’impegno profuso dalle Assemblee Parlamentari per consentire agli eredi maschi dei Savoia il probabile rientro in Italia. Il Senato per primo è riuscito a dare il suo parere favorevole. È strabiliante. Si trova il tempo per modificare una parte della Costituzione al solo scopo di far acquisire ai discendenti di colui che ha la tremenda responsabilità dei lutti e delle rovine del nostro popolo i diritti (e speriamo anche i doveri) che appartengono ai cittadini italiani. Allo stesso modo però non si trova il tempo, nel rispetto della stessa Carta Costituzionale, per consentire che sia fatta luce sulla pagina più buia della storia del nostro Paese. Non si trova il tempo per far conoscere la verità su chi dette l’ordine di occultare quelle centinaia di fascicoli contenenti le denunce di tremendi reati: eccidi, omicidi, violenze, stupri e torture. Furono ben oltre 15 mila i morti, tra i civili, che, ancora oggi, reclamano e gridano giustizia. Se tutto questo è vero, come è vero, signor Presidente, siamo a richiedere, ancora una volta, il Suo prezioso e autorevole impegno affinché, attraverso l’articolo 82 della Costituzione, sia costituita la Commissione d’Inchiesta parlamentare, così come già proposto all’unanimità dalla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati.  È giunto il momento di “aprire l’Armadio della Vergogna”, per l’impegno che la storia ci impone.  Ce lo chiedono le vittime e gli eredi delle vittime delle stragi compiute in Italia e di quelle commesse dagli uomini di Hitler a Cefalonia, a Spalato, a Coo e in tante altre località. Rimaniamo in attesa di una Sua sempre gradita risposta, e compatibilmente con i Suoi innumerevoli impegni, confidiamo ancora in un incontro, per dare concretezza, visibilità ed efficacia a quelle azioni che richiamano la nostra coscienza di uomini al dovere di dare giustizia a quei cittadini innocentemente caduti per la nostra e la Sua libertà, come per quella di ogni italiano». A voi il commento.

Patria indipendente, 31 marzo 2002

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