Patria indipendente

La persecuzione nazista dei Testimoni di Geova

 

di Matteo Pierro

 

Il 5 luglio 2000 il Senato italiano varò la legge che istituiva il “Giorno della Memoria” (il 27 gennaio) in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni subite dagli ebrei e dagli altri cittadini italiani che vennero reclusi nei campi di concentramento nazisti. Il varo della suddetta legge venne accompagnato dall’approvazione di un ordine del giorno con il quale «sottolineando l’unicità della Shoah e le sue problematicità», si invitavano i cittadini «… a ricordare gli altri lutti che hanno segnato la storia dell’ultimo secolo e le vittime di ogni persecuzione». Una persecuzione strettamente associata allo sterminio di milioni di ebrei, ma sulla quale spesso si tace, è quella dei Testimoni di Geova durante il regime nazista. Ma perché questi credenti, universalmente noti per la loro predicazione di un messaggio biblico di pace e fraternità, vennero perseguitati dal nazismo? Ebbene, secondo l’ex parlamentare Francesco Albertini (deportato a Mauthausen) la ragione della loro persecuzione era nel fatto che «... rifiutavano la guerra, il servizio militare e ogni forma di violenza» (1). E Hans Marsalek aggiunge: «... il rifiuto di prestare giuramento di fedeltà a Hitler e il rifiuto di prestare qualsiasi servizio militare, conseguenza politica della loro fede» (2). Dato che questi erano i presupposti su cui si fondava la società nazista, iniziò fin dal 1933 una gigantesca caccia all’uomo per eliminare questi pacifici obiettori al regime. Vennero arrestati migliaia di uomini e donne i quali, dopo sommari processi, furono condannati a lunghe pene detentive al termine delle quali erano trasferiti in “custodia protettiva”, il termine con il quale la Gestapo indicava la reclusione nei campi di concentramento. I nazisti non trascurarono nemmeno i loro figli; in centinaia di casi, infatti, bambini di pochi anni furono portati via dalle famiglie e rinchiusi in “case di rieducazione” onde venissero indottrinati nell’ideologia hitleriana. Ma questo non era che l’inizio. Allo scoppio della guerra speciali commissioni visitarono i lager per reclutare chiunque fosse idoneo per l’esercito. Quando toccava ai Testimoni, il loro rifiuto di imbracciare le armi segnava anche la loro condanna a morte. Lo stesso Hitler, dopo aver detto che bisognava far morire di fame chi rifiutava il servizio militare, si vantò: «Ho dato prova di una grande clemenza nel non sottoporre al supplizio della fame e facendo passare per le armi alcuni sedicenti “Testimoni di Jahvè”, 130 in tutto» (3). Stessa sorte toccò alle donne quando, per sostenere lo sforzo bellico, furono richieste prigioniere dei lager per lavorare nelle fabbriche di armi. Margarete Buber - Neumann, dopo aver narrato di un colloquio avuto nel campo di Ravensbruck con una quindicina di Testimoni rinchiuse nella cella di punizione per essersi rifiutate di cucire divise militari, scrive: «Scappai via con un groppo alla gola. Quello stesso giorno le donne salirono sull’autocarro del carcere, che le condusse fuori dal campo. Di lì a poco le divise con i loro numeri di matricola e il triangolo viola (che nei lager distingueva i Testimoni dalle altre categorie di prigionieri) ricomparvero nel magazzino del vestiario. Le avevano giustiziate per renitenza al lavoro» (4). Ed Edmondo Marcucci riporta: «Le più coraggiose avevano la fede dei martiri, ed erano le Testimoni di Geova. Queste, salde nella loro obiezione di coscienza, rifiutavano di lavorare ed anche di recarsi agli appelli. Perciò venivano punite a bastonate o uccise. Una di esse, giovane e molto bella, morì dopo 50 colpi» (5). Se non venivano giustiziati i Testimoni erano trattati con la stessa crudeltà riservata agli ebrei. Eugene Kogon, prigioniero a Buchenwald, narra: «A Pentecoste tutti i Testimoni di Geova furono radunati nel luogo dell’appello. Fu loro pronunciato un discorso, e seguì un periodo di faticose esercitazioni. Per un’ora e un quarto gli infelici dovettero ruzzolare, saltare, strisciare e correre aiutati dagli stivali delle guardie del campo» (6). Lo storico Detlef Garbe commenta: «I Testimoni di Geova venivano puniti con un getto d’acqua gelida nella regione del cuore fino a che non morivano oppure venivano lasciati bagnati fradici al gelo fino a quando non sopraggiungeva il congelamento» (7). Ciò che ha reso unico il caso dei Testimoni di Geova è il fatto che, a differenza di tutti gli altri deportati la cui unica speranza di lasciare i lager era attraverso la fuga, solo a loro era offerta la possibilità di tornare liberi in qualsiasi momento avessero voluto. Esisteva a tale scopo uno specifico modulo in cui il sottoscrivente dichiarava di dissociarsi dall’IBV, bastava una semplice firma e si veniva liberati. Hans Marsalek spiega: «Fu offerta più volte ai Testimoni di Geova la possibilità di riconquistare la libertà dietro abiura della loro fede. Solo pochi si avvalsero di questa possibilità, com’è dimostrato dal fatto che dal 29 settembre 1939 al 20 aprile 1944 vennero rilasciati dal campo di concentramento di Mauthausen solamente 6 “cercatori di Dio” (Bibelforscher)» (8). E lo scrittore ed ex deportato Vincenzo Pappalettera conferma: «Diversamente da tutti gli altri deportati, potevano interrompere la loro prigionia purché sottoscrivessero il rinnegamento della loro fede, cosa che non fecero se non in rare eccezioni. Preferirono soffrire freddo, fame ed epidemie che li portarono alla morte. Sono perciò martiri da venerare» (9). Nei campi, benché costituissero una minoranza, i Testimoni erano ben noti per la loro eccellente condotta e per il loro spirito altruista. Tale lodevole atteggiamento è ricordato da molti dei loro compagni di prigionia. Ad esempio, Bruno Bettelheim, psicologo e sociologo di fama mondiale che fu rinchiuso prima a Dachau e poi a Buchenwald, ha scritto: «Essi risentivano le conseguenze dell’internamento meno degli altri gruppi e riuscirono a conservare la propria integrità. Dimostrarono una non comune dignità umana e un elevatissimo comportamento morale. Erano compagni esemplari, servizievoli, corretti e fidati; i soli prigionieri che non offendessero o maltrattassero i compagni, verso i quali, anzi, erano di solito molto gentili» (10). Vincenzo Pappalettera ha dichiarato: «È noto a tutti i deportati che i Testimoni di Geova erano affabili, buoni, onesti e che nessuno di loro si trasformò in kapò per sopravvivere» (11). E Francesco Albertini ha riportato: «Il loro comportamento nei confronti degli altri deportati è stato ineccepibile e nella maggior parte dei casi improntato ai princìpi della massima solidarietà, per cui si privavano magari del pane per darlo ad un altro» (12). Essi furono persino disposti a dividere le loro già misere razioni di cibo con gli ebrei, il cui destino erano le camere a gas. Rita Thälmann ha scritto: «I Testimoni di Geova furono particolarmente d’aiuto agli ebrei con cui divisero anche le razioni di pane» (13). E Sally Grubman, insegnante ebrea deportata ad Auschwitz, narra: «Ho visto gente diventare molto, molto buona e gente diventare assolutamente cattiva. Il gruppo migliore era quello dei Testimoni di Geova. Mi tolgo il cappello davanti a quella gente. Erano nati martiri. Fecero cose meravigliose per il prossimo. Aiutarono i malati, divisero il pane e diedero a tutti quelli che erano loro vicini conforto spirituale» (14). Anche i loro aguzzini li apprezzavano per la coerenza ai principi cristiani. Negli ultimi anni di guerra affidarono loro incarichi di responsabilità all’interno ed all’esterno dei lager. Lo storico Alberto Berti riferisce che quando arrivò a Buchenwald vide «i Testimoni andare al lavoro all’ufficio postale della stazione (che si trovava fuori dal campo) per loro conto, senza scorta» (15). Ed il Direttore del Museo di Auschwitz, il dott. Jerzy Wroblewski, ha dichiarato che «nel campo i Testimoni di Geova erano utilizzati in compiti che richiedevano fidatezza, come quello di portaordini o di camerieri\e nelle case delle SS. A tal proposito ricevevano degli speciali documenti che gli consentivano assoluta libertà di movimento dentro e fuori del campo» (16). Il comandante di Auschwitz, Rudolf Höss, annotò nel diario che scrisse poco prima di essere giustiziato per i crimini commessi: «I Testimoni erano individui tranquilli, diligenti e socievoli, sia gli uomini sia le donne, e sempre pronti ad aiutare il prossimo. Il loro fraterno amore reciproco era commovente; si preoccupavano l’uno dell’altro e si prestavano tutto l’aiuto possibile» E nel descrivere l’esecuzione di due di loro che si erano rifiutati di indossare la divisa militare riportò: «Così immaginai dovessero essere i primi cristiani martiri, condotti nelle arene per essere dilaniati dalle belve» (17). Persino il capo delle SS, Heinrich Himmler, aveva di loro un’alta opinione. In una lettera a Kaltenbrunner scrisse: «Fra le cose positive dei Testimoni di Geova vi è il fatto che non compiono il servizio militare né lavorano per la guerra. Non bevono né fumano. Sono persone laboriose e sincere. Non aspirano alla ricchezza. Dovrebbero predicare al popolo per trasmettere le loro idee pacifiste» (18). Nonostante tutto l’impegno profuso dal regime di Hitler per sterminarli i Testimoni sopravvissero. Secondo le più recenti statistiche circa 20.000 dei 30.000 Testimoni di Geova allora presenti nei Paesi che vennero a trovarsi sotto l’egemonia del III Reich finirono nei campi di concentramento o nelle prigioni naziste; migliaia di essi perirono durante la prigionia. Nel descrivere il risultato ottenuto dai Testimoni di Geova con la loro resistenza pacifica al nazismo la sociologa Anna Pawelczynska ha spiegato: «Quel gruppetto di detenuti costituiva una salda forza ideologica ed essi vinsero la loro battaglia contro il nazismo» (19). E la dott. Christine E. King ha fatto questa valutazione: «Soltanto contro i Testimoni il governo non ebbe successo poiché, anche se ne aveva uccisi migliaia, la loro opera di predicazione proseguì e nel maggio del 1945 il movimento dei Testimoni di Geova era ancora in vita, mentre il nazionalsocialismo no. Il numero dei Testimoni era aumentato e non si era fatto nessun compromesso. Il movimento aveva ora altri martiri e aveva vinto un’altra battaglia nella guerra di Geova Dio» (20).

NOTE

(1) Lettera del 18 maggio 1994.

(2) Dal libro “Mauthausen” di Hans Marsalek, Edizioni La Pietra, p. 199.

(3) Discorso del 7 giugno 1942, tratto dal libro “Idee sul destino del Mondo”, Ed. AR, Padova, 1980, p. 452.

(4) Dal libro “Prigioniera di Stalin e Hitler” di Margarete Buber-Neumann, Ed. Il Mulino, Bologna, 1994, p. 272.

(5) Dall’opuscolo “Ravensbruck: Pace al mondo” di Edmondo Marcucci, Ed. ALI, Firenze, 1960, p. 9.

(6) Dal libro “The theory and practice of Hell” (La teoria e la pratica dell’Inferno) di Eugene Kogon, Ed. Secker & Warburg, Londra, 1950, p. 42.

(7) Lettera del 29 settembre 1994.

(8) Da “Mauthausen”, op. cit., p. 200.

(9) Lettera dell’aprile 1993.

(10) Dal libro “Il cuore vigile” di Bruno Bettelheim, Ed. Adelphi, Milano, 1988, p. 35, 140, 141.

(11) Lettera del 19 novembre 1992.

(12) Lettera del 18 maggio 1994.

(13) Dal libro “Crystal Night” (La notte dei cristalli) di Rita Thälmann & Emmanuel Feinermann, Ed. Coward, McCann & Geoghegan, New York, 1974, p. 127.

(14) Dal libro “Voices from the Holocaust” (Voci dall’Olocausto) di Sylvia Rothchild, Ed. NAL Books, New York, 1981, p. 247.

(15) Lettera del 17 gennaio 1995.

(16) Lettera del 7 marzo 1994.

(17) Dal libro “Comandante ad Auschwitz” di Rudolf Höss, Ed. Einaudi, Torino, 1985, p. 70, 71.

(18) Lettera del 21 luglio 1944, n. 5590\44, per cortesia del KZ Gedenkstatte Dachau.

(19) Dal libro “Values and Violence in Auschwitz” (Valori e Violenza ad Auschwitz) di Anna Pawelczynska, Ed. University of California Press, Los Angeles, 1979, p. 88.

(20) Dal libro “The Nazi State and the new religions: five case studies in nonconformity”

(Lo Stato Nazista e le nuove religioni: studi su cinque casi di anticonformismo) di Christine Elizabeth King, Ed. The Edwin Mellen Press, New York, 1984, p. 179.

Patria indipendente, 20 gennaio 2002

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