Patria indipendente

L’inferno dei gay nei lager nazisti

 

di Fabrizio Federici

 

Non solo ebrei, oppositori politici, zingari, Testimoni di Geova, handicappati fisici e psichici, resistenti di tutta Europa, sono stati vittime della “peste bruna”. Anche i gay tedeschi – e, dal 1940 in poi, olandesi, francesi e di altri Paesi occupati dall’Asse – hanno pagato un consistente tributo di sangue: al culmine di un rapporto nazismo - omosessualità (culturale, ideologico, politico) complesso, apparentemente contraddittorio e, in ultimo, tragico (vedi l’intervista a Massimo Consoli, tra i leader del movimento omosessuale italiano – Patria indipendente del 16 gennaio 2000). Senza ripercorrere nei dettagli le tappe di questo rapporto focalizziamo l’escalation persecutoria antigay iniziata soprattutto con la “Notte dei lunghi coltelli”. Già nel febbraio del ’33, nemmeno un mese dopo l’ascesa di Hitler alla Cancelleria, un decreto vietava tutte le pubblicazioni pornografiche e ogni attività della Lega per i Diritti Umani, un’associazione che si batteva per l’abolizione del vecchio “Paragrafo 175”, la legge penalizzante l’omosessualità voluta, a suo tempo, da Bismark; mentre un altro decreto chiudeva tutti i luoghi frequentati da gay, e si condannavano alla castrazione diversi omosessuali. Poi, dopo la “Notte di San Bartolomeo” del nazismo, e in linea con le più perverse logiche del potere, un regime a forte presenza gay – dal ministro della Giustizia, Frank, al pur coniugato leader dell’Hitler jugend, von Schirach, dal futuro ministro dell’Economia, Funk, all’aiutante di Hitler, Brückner – e in cui quasi tutti i massimi gerarchi (Hitler, Hess, Frank, Rosenberg, Himmler) sono accaniti esoteristi, legati alla “P2 tedesca”, la famigerata “Società Thule”, inizia a perseguitare omosessuali e operatori dell’occulto più dell’Inquisizione. Nel luglio del 1934, poche settimane dopo l’assassinio di Röhm, Hedmund Heines, i fratelli Strasser e gli altri leader delle SA, il giurista Rudolf Klare, esperto del partito nazista per la “questione omosessuale”, in un convegno internazionale di eugenetica organizzato a Zurigo precisa la posizione ufficiale dello NSDAP e dello Stato tedesco sul problema, proponendo l’obiettivo di una “purificazione sociale” mediante lo sterminio dei gay e il carcere forzato per le lesbiche (che, a onor del vero, anche il vituperato “Paragrafo 175”, sino ad allora, aveva letteralmente ignorato). Pochi mesi dopo, in ottobre, nasce la “Sezione SD II-S” speciale dipartimento dei servizi segreti destinato a combattere aborto e omosessualità, controllato dal terribile RSHA, l’Ufficio di coordinamento dei “servizi di sicurezza” del Reich (Gestapo, SS, Polizia criminale) agli ordini di Heinrich Himmler e del futuro “boia di Praga”, Reynard Heidrich. Intanto, sin dal novembre del ’33, il lager di Fuhlsbuttel ha accolto una prima ondata di gay e semplici travestiti. Ciononostante, nella primavera del 1933 la Commissione Penale del Reischtag esprime ancora parere negativo circa un irrigidimento nell’interpretazione e applicazione del “Paragrafo 175”; ma è solo una pausa nell’orrore. Nel giugno successivo, a un anno esatto dalla “Notte dei lunghi coltelli”, Hitler apporta la prima “integrazione” all’articolo 175: l’«orwelliano» 175/A, che rende perseguibile – con il carcere e il successivo internamento nei lager per la destinazione a lavoro forzato fino alla morte – qualunque espressione affettuosa evocante anche lontanamente una pulsione omosessuale. Il 10 ottobre seguente Himmler si preoccuperà di chiarire lo “spirito della legge”, dichiarando la necessità dell’eliminazione fisica dei gay per la natura di “ibrido razziale” dei loro rapporti e – così come farà in un altro ottobre di nove anni dopo, nel famigerato discorso di Poznan sulla “questione ebraica” – per ragioni anche di politica estera (il legame “oggettivo” tra attività gay e mire dei Paesi confinanti con la Germania, che vogliono l’estinzione del popolo tedesco). Nel febbraio del ’37, in un discorso segreto ai comandanti delle SS, parlerà senza mezzi termini di eliminazione totale degli omosessuali, anche appartenenti alle stesse SS, e nel novembre 1941 emanerà – senza tuttavia pubblicarlo sulla Gazzetta Ufficiale del Reich per evitare “malinterpretazioni” – un “decreto del Führer” contro i rapporti omosessuali tra membri delle SS e della polizia (punibili con la pena capitale), esteso, infine, nel ’42, a tutti i civili tedeschi. Quanti gay – contraddistinti generalmente con un triangolo rosa, secondo la barbara “classificazione a triangoli” desunta, peraltro, dai sistemi delle Inquisizioni medievali e rinascimentali – morirono nei lager nazisti (nel territorio della sola Germania se tedeschi o, dal ’40 in poi, membri di razze “affini” come olandesi e alsaziani; deportati al di fuori, se di altre razze)? Le cifre esistenti sono senz’altro inferiori alla realtà. Per la distruzione di gran parte dei documenti sulle varie “soluzioni finali” operata dai nazisti nel ’44-’45, la reticenza di molti, nel dopoguerra, a parlare di questi temi (dagli stessi gay, timorosi di chiedere i risarcimenti del governo in una Germania Ovest dove il vecchio “Paragrafo 175” è rimasto in vigore sino al 1969, a una Chiesa cattolica che, pur ingiustamente colpita dal Reich dal ’34 in poi, all’insegna anche di un nuovo “Kulturkampf” antigay, ha avuto però paura di alzare il velo sul fenomeno omosessualità al suo interno); e la confusione nelle classificazioni degli internati (molti dei condannati per “reati sessuali” in realtà erano semplici oppositori del regime o nemici personali dei vari gerarchi); così come diversi gay, all’opposto, furono internati con imputazioni politiche o come soli “criminali comuni”. Gli studiosi olandesi parlano di 50-80.000, i francesi di 200.000, la Chiesa austriaca e autori canadesi di 250.000 e oltre; mentre lo stesso Himmler, in un discorso del febbraio 1940, si era vantato di aver sterminato già un milione di gay. Nel documentatissimo “Homocaust” (Milano, Kaos edizioni, 1991), Massimo Consoli, il più attento studioso della materia, dopo aver ricordato queste cifre, riporta la tabella che riproduciamo in basso e che riepiloga (per un totale di circa 46.000 casi) i dati su cui concorda la maggior parte degli storici. Questi dati riguardano, però, i soli individui formalmente condannati in applicazione dell’articolo 175. Germania riunificata: gennaio 2002. Ancora non sono finite le polemiche sulla forma e l’impostazione del grandioso monumento progettato a Berlino in memoria delle atrocità naziste. Intanto, il Dipartimento di Stato USA, nell’autunno scorso, ha devoluto mezzo milione di dollari del Fondo Internazionale di Risarcimento per le Vittime del Nazismo all’associazione “Triangolo Rosa” (che lo utilizzerà per progetti volti a sensibilizzare l’opinione pubblica e creare un archivio storico su questi temi); mentre il programma di indennizzo del governo tedesco e il programma sui Beni delle Vittime dell’Olocausto definito dai superstiti della “Shoah” e dalle banche della Confederazione Elvetica hanno incluso esplicitamente gay, rom, Testimoni di Geova, portatori di handicap fisici o psichici e loro eredi tra i beneficiari dei risarcimenti, che saranno gestiti dall’OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni).

1933 (prima dell’«affare Röhm») 835

1934 (prima e durante l’«affare Röhm») 948

1935 (dopo il rafforzamento dell’Articolo 175) 3.700

1936 5.321

1937 8.721

1938 8.115

1939 7.614

1940 3.773

1941 3.735

1942 2.678

1943 (dati del primo quadrimestre) 996

1944/1945 (dati non disponibili)

Totale 46.436

Patria indipendente, 20 gennaio 2002

sommario