Patria indipendente
L’olocausto degli zingari: una storia dimenticata
di Andrea Liparoto
Il 2 agosto 1944 è una data che l’intera etnia zingara non potrà mai dimenticare. In questo giorno 3.000 rom vennero sbattuti e uccisi nelle camere a gas del campo di concentramento di Auschwitz. Era l’ultimo atto dell’atroce operazione di sterminio della “razza zingara” da parte dei nazisti. Perché, fatto che molti ignorano, accanto all’Olocausto degli ebrei, si consumò anche quello, forse di minori dimensioni, degli zingari. Nel corso della seconda guerra mondiale ne furono uccisi, per lo più nei lager, circa 500.000. Questa, come tutti sappiamo, fu la tragica conseguenza degli ideali malati del cancelliere Adolph Hitler. Ma occorre fare una precisazione. La farneticante concezione della superiorità della razza ariano-germanica su tutte le altre non nacque con Hitler. Il seme era maturo già nell’epoca guglielmina. Un valido esempio di ciò è costituito dall’enorme influsso esercitato sul popolo tedesco dal libro di Houston Stewart Chamberlain intitolato Le basi del secolo XIX. Nell’opera in questione l’autore, genero del musicista Wagner e amico intimo di Guglielmo II, sostenne che i tedeschi, stirpe eletta perché unica erede della cultura greca, del diritto romano e degli insegnamenti di Cristo, sarebbero stati destinati a dominare il mondo dopo avere, però, purificato completamente la propria razza. Emanazione diretta di questo insano modello di pensiero fu l’istituzione a Monaco nel 1899 della Zigeunerpolizeitstelle, cioè un ufficio di polizia deputato a controllare stili di vita e movimenti degli zingari. Si può facilmente immaginare come lavorassero i dipendenti del suddetto ufficio. Anni dopo, il 16 luglio 1926, venne approvata la legge per la lotta contro gli zingari. Il testo di questo provvedimento prevedeva l’espulsione dei rom e sinti non nati in Baviera, il divieto di viaggiare in gruppi e di accamparsi senza una stabile occupazione lavorativa. Col regime hitleriano, poi, l’intolleranza verso questo popolo lasciò il passo ad una sistematica e sanguinaria persecuzione. Nel 1936 il neurologo Robert Ritter, su richiesta del führer, iniziò le sue ricerche genetiche sugli zingari. I risultati delle analisi lo portarono a concludere che in quell’etnia non esistevano più individui puri, ma solamente pericolosi meticci. In seguito a ciò Ritter propose la sterilizzazione di tutti gli zingari che avessero compiuto i dodici anni. Hitler accolse il suggerimento, ma si spinse oltre. Nello stesso anno un numero imprecisato di rom fu deportato nel campo di concentramento di Dachau, in Polonia. Alla fine del 1937 fu allestita nel lager di Buchenwald una sezione speciale per gli zingari. È l’inizio del massacro. L’8 dicembre 1938 il capo supremo delle SS, Heinrich Himmler, diffuse una circolare scritta di proprio pugno, in cui si parlava per la prima volta di “questione zingara” in termini di “questione razziale”. Al punto primo della circolare stessa leggiamo: «Le esperienze raccolte finora nel combattere la piaga degli zingari e le conoscenze ottenute dalla ricerca biologico-razziale, rendono opportuno risolvere il problema degli zingari tenendo ben presente la natura di questa razza. Secondo l’esperienza i sanguemisti costituiscono la maggior parte della criminalità zingara». Il 17 ottobre 1939 lo stesso Himmler, in una lettera alle autorità di polizia locale contenente suggerimenti per la registrazione degli zingari, incluse un poscritto che, all’inizio, recitava così: «Gli zingari che dovranno essere arrestati devono essere sistemati in campi di raccolta speciali fino al momento della loro definitiva evacuazione». Questi “campi di raccolta” hanno i seguenti e tristemente noti nomi: Dachau, Buchenwald, Mauthausen, Gusen, Flossemburg e Ravensbruck. Tanti altri ce ne furono sparsi in tutta l’Europa centro-orientale. Nell’aprile del 1940, 2.800 rom vennero trasferiti nei ghetti di Lodz e Varsavia, in Polonia. Qui furono trucidati. Il 16 dicembre 1942 si diede corso alla soluzione finale: tutti gli zingari, per ordine di Himmler, vennero internati nel lager di Auschwitz. Ventitremila è il numero di quelli che lì persero la vita dopo inaudite sofferenze e torture. Gli zingari, ad Auschwitz, occupavano una sezione riservata esclusivamente a loro: il campo BIIe. Qui furono completamente abbandonati a se stessi. Dalla lettura di un articolo di Giovanna Boursier pubblicato sulla rivista Studi storici sono venuto a sapere che il medico del lager, Hermann Langbein, quando entrava quotidianamente nelle baracche del campo BIIe si trovava di fronte allo spettacolo agghiacciante di corpi moribondi ridotti a mucchi d’ossa e senza possibilità di movimenti per l’angustia del luogo. Ma non è tutto. Vedeva qualcos’altro... questa è la sua testimonianza: «Su un pagliericcio giacciono sei bambini che hanno pochi giorni di vita. Che aspetto hanno! Le membra sono secche e il ventre è gonfio. Nelle brande lì accanto ci sono le madri; occhi esausti e ardenti di febbre (...). L’infermiere polacco che ho conosciuto a suo tempo nel lager principale mi porta fuori dalla baracca. Al muro sul retro è annessa una baracchetta di legno che lui apre: è la stanza dei cadaveri. Ho già visto molti cadaveri nel campo di concentramento. Ma qui mi ritraggo spaventato. Una montagna di corpi alta più di due metri. Quasi tutti bambini, neonati, adolescenti. In cima scorrazzano i topi». Ma i morti non finiscono qui. Bisogna menzionare anche le 30.000 vittime dei campi polacchi di Sobibor, Treblinka e Maydanek. Anche l’Italia fascista non fu da meno. Nei lager di Tossicia (Teramo) e Agnone (Campobasso) molti zingari morirono di fame e di sete. Un orrore che per troppi anni ha subìto la sorte maledetta dell’oblio. Basti pensare che solo nel 1980 il governo tedesco ha ammesso ufficialmente che gli zingari nel periodo tra il 1936 e il 1944 hanno subìto una “persecuzione razziale”. A tutt’oggi il popolo rom non ha ancora ricevuto alcun risarcimento per i beni confiscatigli dai nazisti. Neanche la consolazione della giustizia. Termino qui con le parole di Miriam Novitch che per molto tempo ha studiato il fenomeno dell’Olocausto degli zingari al fine di tenerne vivo il ricordo nelle menti di tutti gli astuti e indolenti smemorati che abitano questo mondo e, segnatamente, l’Italia: «Gli Zingari, un popolo antico e pieno di vitalità, hanno cercato di resistere alla morte, ma la crudeltà e la superiorità dei nazisti ha avuto il sopravvento. Talvolta, nel loro martirio, hanno trovato nella musica una qualche consolazione: affamati e laceri si radunavano fuori dalle loro baracche ad Auschwitz per suonare e incoraggiavano i bambini a danzare (...). Molti testimoni hanno parlato del grande coraggio degli Zingari che hanno combattuto insieme ai partigiani in Polonia».
Patria
indipendente,
20 gennaio 2002