Patria indipendente

Raimondo Usmiani

Un poliziotto, un uomo libero

 

di Alberto Cipellini

 

Le nostre storie, sono ormai antiche, o quasi. Parlo di storie personali, di situazioni, momenti e vicende che, allora, hanno coinvolto ciascuno di noi, nella grande famiglia del dopo otto settembre. A Cuneo, nella Sala Falco del Palazzo della Provincia, si è svolto – sabato 5 ottobre – un convegno organizzato dal Siulp (Sindacato Italiano Unitario Lavoratori Polizia) e dall’ANPI. Titolo del convegno: “Raimondo Usmiani, un poliziotto, un uomo libero”. Usmiani era un dalmata che, nato a Pola e entrato nella polizia, dopo alcuni percorsi arrivò a Cuneo con il grado di brigadiere. Era l’inizio del 1943. Ed eccomi a parlare di una storia personale. L’armistizio mi trovò sottotenente di complemento nel battaglione alpini Borgo S. Dalmazzo, compagnia guastatori, a Cuneo. Dalla caserma “Cesare Battisti”, allo studio di avvocato di Duccio Galimberti, un centinaio di metri. La sera, con il portone d’ingresso della caserma sprangato, per ordine del comandante – chiuso nel suo ufficio – qualcuno di noi andava da Duccio per decidere il da farsi. Gli alpini, reclute e anziani, ribollivano; sapientemente avevamo socchiuso il portone carraio. Dal portone erano praticamente usciti in molti, per raggiungere la strada di casa. Tranne gli alpini della compagnia guastatori, ragazzi toscani reclutati a Massa Carrara e dintorni, perché abili ad usare, nelle cave di marmo, esplosivi, micce, detonatori. Comandava la compagnia un tenente anziano, toscano pure lui, Nardo Dunchi, notoriamente anarchico. Nel primo pomeriggio del 10 settembre mi raggiunse nel cortile il sergente: «la vuole il comandante». «Senti, Cip, non voglio farmi prendere dai tedeschi in questa scatola di sardine, con il colonnello chiuso nel suo comando; potrei andarmene e lasciare la compagnia abbandonata a se stessa. Sarebbe il comportamento di un vigliacco». Così decidemmo. Ordinai alla compagnia di scendere in cortile inquadrata e in pieno assetto di guerra. Dunchi arrivò, gli presentai la compagnia: ci fu tra noi un lungo abbraccio. Di corsa, andai dall’ufficiale di picchetto e feci aprire il portone. Con voce tonante ordinò il “fianco destr”, uscì dalla caserma con tutti i suoi alpini, con il picchetto sul “presentat’arm”, per iniziare con loro la guerra partigiana non distante da Cuneo, a Peveragno e a Boves. Il mattino dell’11 decidemmo dove cominciare l’avventura partigiana: in Valle Maira. A Frise, e poi ai Damiani. In cinque, ufficiali di complemento del 2° Alpini (due richiamati, tre di prima nomina) cerchiamo di capire, di organizzare, insieme a qualche ufficiale sbandato della Quarta Armata, punti e momenti di resistenza e di guerriglia, contro i tedeschi ed i fascisti che si stavano riorganizzando. Qualche lettore si starà chiedendo: che cosa significa il titolo di questa storia “Raimondo Usmiani, un poliziotto, un uomo libero”. Cuneo era allora una piccola città, dove praticamente tutti si conoscevano; cresciuta come una piazzaforte militare, assediata da francesi, spagnoli, austriaci, li seppe sempre respingere. Città di grandi tradizioni risorgimentali, fu uno dei fiori all’occhiello dei Savoia. Negli Anni 40 del secolo scorso, ospitava almeno diecimila militari, per fare la guerra alla Francia, che finì come sappiamo, con quella che ancora oggi i francesi chiamano “la pugnalata alla schiena”. Poiché tutti si conoscevano si sparse presto la notizia che qualcuno di noi aveva scelto la montagna, per fare i “ribelli”, invece di consegnarsi secondo il bando affisso sui muri, al comando tedesco. Mio padre era ferroviere. In stazione c’era un tale della milizia ferroviaria, delatore e più avanti fucilatore che fece arrestare ai primi di ottobre del ’43, alcuni ferrovieri “sabotatori e padri di ribelli”. Qualche giorno dopo, il comandante tedesco della Piazza di Cuneo affrontò il capostazione principale per il precario funzionamento dell’importante scalo. «Ma, rispose l’interpellato, come posso fare funzionare i treni ed i servizi se mi arrestano i ferrovieri?». Così mio padre, e gli altri con lui, per ordine del comandante tedesco uscì di prigione e riprese il servizio. Non durò molto; nei primi del 1944 i ribelli ormai diventati bande “Italia Libera” avevano già affrontato duri scontri: Boves, Valle Grana, Damiani, S. Matteo dove Duccio Galimberti fu ferito. La guerra partigiana era ormai maggiorenne; governava la montagna, la Langa e, con un grande reticolo di complicità e collegamenti, la pianura contadina e le città. A Raimondo Usmiani, brigadiere di questura, arriva dal comando fascista della città l’ordine: “arrestate Cipellini Arturo, ferroviere, padre di un pericoloso bandito”. Nel frattempo, mia sorella, Adelaide, impiegata alla Camera di Commercio era stata chiamata dal presidente-commissario, il conte Falletti di Villafalletto: «lei è sorella di Cipellini Alberto, noto disertore e bandito. Da questo momento è licenziata!». Usmiani, ricevuto l’ordine chiama un ausiliario, anche lui figlio di ferroviere, che abitava a poca distanza da casa mia: «Va a dire a Cipellini che domani mattina alle otto andiamo ad arrestarlo». Naturalmente mio padre non si fa trovare; viene improvvisata una sceneggiata, fingendo di scovarlo in improbabili nascondigli. Non so in quale modo fece sapere ai fascisti che non era stato possibile procedere all’arresto. Passarono due settimane e la storia si ripeté; Usmiani chiamò il solito ausiliario che ridisse a mia madre «domani mattina alle otto…». A quel punto dopo il rapporto “il ricercato è irreperibile” i fascisti come si suol dire, con un luogo comune, mangiarono la foglia. Andarono, arrestarono mio padre: «o suo figlio si consegna, o la fuciliamo». Ma quella è un’altra storia. Usmiani non conosceva mio padre; non mi conosceva, perciò non vi erano motivi di amicizia, cordialità per fare – con grande rischio personale – ciò che andava facendo. Così in tutte le situazioni che si presentavano: da uomo libero, senza insegnamenti o direttive, obbedendo alla coscienza, nel pericolo ed in solitudine. Il fratello di Palmiro Togliatti, nel 1944, aveva lasciato Torino con la famiglia per i bombardamenti alleati e si trasferisce a Frabosa Soprana, nel Monregalese. Usmiani, intercetta un “cablo” del questore di Genova a quello di Cuneo nel quale si ordina di arrestare il Togliatti per scambiarlo con il questore di Roma Caruso. Prima di consegnare il messaggio al questore riesce a fare sì che Togliatti e la famiglia si sottraggano all’arresto. Ed altre cose ancora, siano a quando, anche per lui, è la macchia. Al convegno, relatore il prof. Milo Julini, sono intervenuti il segretario provinciale Siulp, Elio Icardi, il segretario generale regionale, Gianclaudio Vianzone ed il segretario generale nazionale Oronzo Cosi. Interessante il dibattito: l’omaggio a un collega, la chiara affermazione di una polizia al servizio dello Stato, della democrazia. Parole chiare e forti del responsabile del Siulp di Novara: «io mi sono iscritto all’ANPI di Novara perché dovremo continuare il loro cammino… Attenti ad un certo lassismo che potrebbe radicarsi nelle nostre file. Genova insegna: abbiamo fiducia che i magistrati facciano chiarezza». Presente al convegno il Questore di Cuneo.

Patria indipendente, 17 novembre 2002

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