Guardiamoci
dal rifugiarci nel rituale di manifestazioni e di slogan quando invece occorrono
analisi e studi seri sulla democrazia e sulla dittatura per cercare le origini e
le cure di questa vergognosa piaga
di Elio Toaff
Per affrontare questa nuova/vecchia piaga del razzismo,
dell'antisemitismo e della xenofobia che sta ripercorrendo l'Europa (e non
solo), occorre dimettere le emozioni, pur
comprensibili e giustificate, ed affidarsi al ragionamento. Bisogna innanzitutto distinguere ciò che sta avvenendo nei
paesi dell'Est europeo, quelli che da poco tempo si sono liberati dalla tirannia
comunista, da quanto accade nell'Europa occidentale. Nei paesi est-europei il vento della democrazia ha liberato
forze sane e forze che oscuramente si richiamano non a uno ma a diversi passati.
Non a caso le manifestazioni anti-Eltsin a Mosca hanno visto affiancati i
nostalgici del regime comunista a quelli che inalberavano le insegne degli Zar,
tutti però accomunati da slogan antisemiti. In quei paesi le disastrose
condizioni economiche portano fatalmente alla ricerca di capri espiatori, che
sono quasi sempre gli «altri», siano russi nelle repubbliche non russe e
viceversa. A questo scopo gli ebrei furono fatti carico di secolari pregiudizi
(usura, rapidi arricchimenti, speculazioni, mercato nero e così via) di diretta
o indiretta derivazione della Chiesa e della sua lunga predicazione antiebraica.
Né si può pensare che i nuovi indirizzi della Chiesa cattolica (peraltro assai
debole in Russia) siano suscettibili in pochi anni di rimediare i mali prodotti
da secoli di calunnie. Il discorso per l'Europa occidentale - e quindi per l'Italia
- è completamente diverso. Appaiare i due fenomeni ci condurrebbe in errore.
Per l'Europa occidentale bisogna intanto distinguere tra il razzismo
anti-immigrati di colore e l'antisemitismo. Se prendiamo il caso più macroscopico, quello della Francia,
dove il razzismo conosce addirittura una sua espressione politica (ed è l'unico
caso in Europa e nel mondo dove questo accade) nel «Front National» di Le Pen,
che non esita a proclamarsi razzista, troviamo che l'ostilità, e peggio, nei
confronti degli immigrati africani nasce e si sviluppa principalmente per cause
economiche e sociali. E trova terreno fertile più nei ceti popolari che nella
borghesia. Sono infatti i posti di lavoro meno qualificati ad essere minacciati
(o che si presume siano minacciati) dalla concorrenza degli sfortunati che
dall'Africa cercano in Francia (ma il discorso vale anche per l'Italia, sia pure
in misura molto minore) un mezzo di sopravvivenza. Ed essendo molti di questi
immigrati dei clandestini, è ovvio che si offrano sul mercato del lavoro a
condizioni inferiori a quelle stabilite dalle leggi. Il razzismo anti-immigrati è dunque principalmente di questo
tipo. Che poi si alimenti di pregiudizi anche archetipici (agli psicologi il
compito di spiegare che cosa rappresenta il «nero» nell'inconscio collettivo)
è fuor di dubbio. Che tragga alimento dalla parte peggiore degli esseri umani
è altrettanto vero, ma nell'insieme il fenomeno appare relativamente
epidermico. Non va dimenticato - e prendiamo sempre la Francia come esempio
perché è il più rappresentativo - che tradizionalmente quella francese è
stata terra di rifugio e che centinaia di migliaia di stranieri, di colore o
non, sono stati perfettamente integrati da più di un secolo a questa parte.
Diversissimo è il discorso sull'anti - semitismo che poggia
esclusivamente sull'irrazionale, sul pregiudizio, sulla leggenda, prima tra
tutte quella, magari rimossa dalle coscienze ma solo accantonata e non
cancellata, del «deicidio», cioè dell'uccisione di Gesù. Tutto il resto
discende per conseguenza dall'«omicidio rituale» alla quasi soprannaturale «potenza»
(e non è bastato il Genocidio per smentirla) all'avidità di ricchezze (e non
sono bastati i milioni di sottoproletari ebrei polacchi, poi sterminati dai
nazisti, a smentire anche questo), alla perenne «estraneità» degli ebrei ai
paesi in cui vivono (e per i quali molti di loro hanno dato la vita). L'antisemitismo è dunque un fatto esclusivamente
irrazionale. Per questo è tanto più difficile estirparlo. È possibile ed
auspicabile che tutti gli immigrati dal Terzo e Quarto Mondo in Europa possano
alla fine essere assorbiti nei vari tessuti nazionali e integrati - loro e i
loro figli - nelle rispettive società: a quel momento cadrà ogni acredine nei
loro confronti e la società multietnica sarà diventata una realtà. Cessate le
cause esterne (sociali ed economiche) che hanno determinato questo tipo di
ostilità, anche l'effetto, cioè il razzismo, verrà meno. Ma come faranno a
cessare le cause dell'antisemitismo che, già profondamente radicato, ha trovato
nuova linfa, da almeno vent'anni a questa parte, nell'odio preconcetto nei
confronti dello Stato ebraico, oggetto di altre menzogne, di altri pregiudizi,
che lo fanno sempre mettere dalla parte del torto, di cui non si riconoscono più
le ragioni storiche, politiche o semplicemente umane? Quanto tempo sarà durato
il «vaccino» rappresentato da Auschwitz? Una generazione? Due generazioni? Ma anche qui bisogna fare un discorso serio ed una
altrettanto seria autocritica. Se è vero che dal secondo dopoguerra in poi (e
qui il riferimento è all'Italia) molti degli ideali sui quali si era formata la
Repubblica ideali antifascisti e resistenziali, sono andati disattesi, una parte
di responsabilità non ricade anche su chi, come noi, di quegli ideali doveva
farsi portatore? Il perché di questa responsabilità è presto detto.
L'antifascismo, la Resistenza e quanto hanno significato sono ben presto
diventati mere commemorazioni, stanche ripetizioni, oleografie incomprensibili e
uggiose per i più giovani. Invece di compiere serie analisi sul fascismo e
sull'antifascismo, su democrazia e dittatura, ci siamo spesso trincerati dietro
slogan che alla fine sono apparsi vuoti ai nostri stessi occhi, a noi, a quanti
di noi hanno partecipato alla lotta antifascista e antinazista. Scoprimento di lapidi, corone, manifestazioni nei giorni «deputati»,
il 25 aprile, il 24 marzo o il 16 ottobre sono diventati molto presto scatole
vuote che non siamo stati capaci di riempire. In ogni caso non siamo stati
capaci di trasmettere il senso di quanto si è prodotto in Europa tra il 1922 e
il 1945. Di questo dobbiamo farei carico.
Da
Patria
indipendente,
quindicinale della resistenza e degli ex combattenti, n. 6-7, 5-19 aprile
1992