Panorama
Il
libro della settimana
Quanta
farsa nella tragedia
di
Pasquale Chessa
Il generale delle Ss
Hermann
Fregelein fu fucilato nel bunker sotto la Cancelleria perché aveva cercato di
filarsela con Eva Braun. Aveva sposato la sorella, ma questo non gli impediva di
corteggiare, si sospetta non sgradito, anche l'amante del Führer. Fu fucilato,
nonostante il tentativo disperato della cognata, per via di una valigia piena
di gioielli, appena si seppe che anche il fedelissimo capo delle Ss, Heinrich
Himmler, si stava preparando a trattare con gli Alleati. C'è un tono
inautentico, a tratti kitsch, nelle vicende che concludono, con il suicidio di
Adolf Hitler, la caduta di Berlino. Fra combattimenti strenui e truci
esecuzioni, fra immotivate speranze di riscossa e assurdi imperativi alla
resistenza,
ordini ridicoli e contrordini patetici, non riuscì mai ad assurgere ai
vertici del sublime la tempesta morale che spinse Hitler a inscenare la tragedia
dello sfacelo tedesco. Il generale Helmuth Weidling nel giro di 24 ore, il 22
aprile, appena 8 giorni prima della fine, fu prima condannato a morte e poi
nominato comandante della piazzaforte di Berlino. L'ammiraglio Karl Dönitz
seppe dal comandante in capo sovietico, Georgij Zukov, che Hitler era morto.
«Se dovessimo affondare, affonderà con noi l’intero popolo tedesco» aveva
detto Joseph Göbbels pensando di lasciare un segno incancellabile di
grandezza, tanto grande che «anche fra mille anni l'eroica fine dei tedeschi
sarà collocata al primo posto nella storia universale». Al contrario «gli
ultimi giorni di Hitler» hanno lasciato dietro una vulgata «volkisch»,
affatto gloriosa, dalla quale è molto difficile arrivare alla verità
storica. Restringendo la prospettiva alla notte fra il 29 e il 30 aprile 1945,
le versioni testimoniali del modo e dei tempi che portarono al suicidio di Eva Braun e di
Hitler prima e alla «cremazione»
dei loro cadaveri, sono almeno quattro, e di altrettanti testimoni diretti. Il
danno
fatto dai primi soldati sovietici manipolando i cadaveri del bunker è ormai
irreversibile. Uno strascico di leggende, cui si deve aggiungere la vicenda
dei falsi diari del Führer, ha inquinato per sempre il racconto di quei 14
giorni. Joachirn Fest, facendo leva sui dubbi, è riuscito a ricomporre un
quadro di ipotesi storicamente plausibile. Ma soprattutto riesce a documentare
il clima paradossale, talvolta persino ridicolo, in cui Hitler fece maturare
la fine del Terzo Reich. Restituendoci una consapevolezza, di fronte alla guerra
e alla Shoah, che la morte è forse la cosa meno terribile della vita di
Hitler.
«Gli ultimi giorni di Hitler» di
Joachim Fest, Garzanti, 167 pagine, 16 €
Da Panorama, 6 febbraio 2003, n. 6, per gentile concessione.