Panorama
Anteprime
La collezione storica del capo della P2
Papa
Pio al Re: fermate il Duce
Dall’archivio
che Licio Gelli ha donato allo Stato italiano, una serie straordinaria di
documenti inediti che getta nuova luce sulla storia recente. Fra questi la
lettera autografa dell’ambasciatore italiano presso la Santa Sede nei giorni
drammatici dell’approvazione delle leggi razziali. E poi scritti mai
pubblicati di Mussolini, D’Annunzio, Garibaldi, Napoleone. Come pure di
Puccini, Verdi, Verga e Tasso.
di
Alessandro A. Mola
Ci
sono pagine importanti e controverse della nostra storia recente
nell'imponente archivio che Lido Gelli ha ceduto allo Stato italiano. Carte
che attraversano il Novecento e attendono l'esame degli storici, come le lettere
autografe di Benito Mussolini e Adolf Hitler, mai pubblicate. Ci sono anche
scritti inediti di Tasso, Garibaldi, Verdi, D'Annunzio e Puccini, lettere di
Mazarino, Napoleone e Cavour. Pagine che verranno presentate l'11 febbraio con
il catalogo, curato dallo stesso fondatore della plurinquisita loggia massonica
P2, a Palazzo dei Vescovi a Pistoia. Proprio fra queste pagine, tra le migliaia
di fogli e scritti collezionati da Gelli lungo l'arco della vita e rimasti
sottochiave per anni, spicca un documento che va dritto al cuore di una svolta
drammatica della storia italiana: la promulgazione delle leggi razziali
varate dal regime fascista contro gli ebrei. Il
documento coinvolge tre protagonisti:
Mussolini, re Vittorio Emanuele III e Papa Pio XI. Fu quest'ultimo,
nell'autunno 1938, a scendere in campo con decisione per attenuare le
ripercussioni che le famigerate norme avrebbero avuto sulla comunità ebraica.
Il 4 novembre, fallita una mediazione sotterranea tra il sottosegretario
all'Interno, Guido Buffarini-Guidi, e il gesuita Tacchi Venturi, il Pontefice
scrisse personalmente a Mussolini. Il Duce non lo degnò di risposta.
Allora, il giorno successivo, Papa Achille Ratti si rivolse al «Dilettissimo
Figlio, Re d'Italia e Imperatore d'Etiopia» (il testo della lettera è pubblicato
a pagina 32) deplorando che l'articolo 7 della legge «per la tutela della
razza ariana» comprendesse norme «in aperto contrasto col solenne Concordato
concluso tra Noi e la Maestà Tua». Non solo, si lamentò con il re che il
monito inviato il giorno precedente a Mussolini non avesse incontrato «quella
piena corrispondenza che credevamo non Ci si
potesse negare». Era in gioco la
sorte degli ebrei convertiti alla religione cattolica. Il Papa chiedeva che la
legge non colpisse la prole «nel caso in cui ambedue i contraenti
(matrimonio), sebbene di "razza diversa", professino la religione
cattolica». «Non esitiamo un momento a indirizzarCi alla Tua Reale e Imperiale
Maestà» scriveva Pio XI a Vittorio Emanuele III «che con Noi stringesti lo
storico Patto (il Concordato dell' 11 febbraio 1929, ndr), donde
tanta gloria è venuta al Tuo nome e alla Tua Augusta Casa, scongiurandoTi di
intervenire colla Tua suprema autorità per ottenere ciò che non Ci fu dato di
raggiungere coi Nostri paterni offici presso il Tuo Primo Ministro». Il Papa
implora il re di intervenire su Mussolini per salvare almeno i figli degli
ebrei convertiti al Cattolicesimo. Infatti Pio XI è bene informato sulla
divaricazione
tra Vittorio Emanuele III e Mussolini, sempre più vicino al neopagano Hitler
e alla sua follia e sempre più ostile non solo al re ma alla monarchia. Il
testo di questa lettera era noto: lo pubblicò il gesuita Angelo Martini in L'ultima
battaglia di Pio XI, un saggio uscito sulla rivista Civiltà cattolica nel
1959. Quello che l'archivio di Gelli aggiunge è un altro importantissimo
documento.
Esso, finora sconosciuto, mette bene in luce la drammaticità di quelle ore,
che si rivelarono decisive non solo per gli ebrei italiani ma anche per il
fascismo e la monarchia. Il documento è un febbrile testo con il quale
l'ambasciatore d'Italia presso la Santa Sede accompagnò, alle 20.45 del 5
novembre, in testo dattiloscritto, il messaggio del Papa a Vittorio Emanuele III
«Il Segretario per gli Affari Ecclesiastici Straordinari» egli scrisse con
una tempestività che mette a nudo la tensione di quelle ore «mi ha consegnato
or ora (20.30) la copia d'uso, che invio qui unita, di una lettera che il Papa
ha diretto a Sua Maestà il Re-Imperatore, circa la legge, in preparazione,
sui matrimoni misti. La lettera autografa papale è stata rimessa direttamente
a Sua Eccellenza il Conte Galeazzo Ciano di Cortelazzo - Ministro degli Esteri
Roma, alle 17 circa da padre Tacchi Venturi al Ministero della Real Casa che
l'ha avviata immediatamente a destinazione.
Ho fatto osservare a Mons. Tardini che la lettera del Pontefice avrebbe dovuto
seguire la via diplomatica. Il Monsignore ha addotto, a giustificazione,
l'urgenza per il fatto che la legge in discorso dovrebbe, a suo dire, essere
promulgata lunedì 7 corrente». Il 7 novembre Vittorio Emanuele III ringraziò
Pio XI da San Rossore (Pisa) , ma neppure lui riuscì a fermare Mussolini,
lanciato come una locomotiva verso l'abisso. Il 17 il Duce pubblicò il regio
decreto «per la difesa della razza». Voltò le spalle all'angoscia del
Pontefice, condivisa dal re, e aprì nella storia d'Italia una ferita mai
rimarginata. Il testo dell'ambasciatore è un inedito molto
significativo, che getta nuova luce sui retroscena diplomatici legati
a quel triste tornante della storia italiana. Un inedito, come tanti altri,
da ricostruire sulla base dei 100 mila documenti della donazione. VI troviamo
lettere di Hitler, che il 5 ottobre 1933 si firma Führer e Cancelliere del
Reich, 37 fascicoli di Mussolini su ordinamento corporativo, trattato di
commercio italo-sovietico del 1925, inaugurazione dell'ateneo di Bari e altre
rarità, comprese 140 fotografie dell'archivio privato del Duce divise in due
blocchi.
La
lettera a Vittorio Emanuele III (5 novembre 1938)
AL
Diletto figlio Vittorio Emanuele III Re d'Italia e Imperatore d'Etiopia
PIUS
PP. XI
Dilettissimo
figlio
Salute
e Apostolica Benedizione
Il
dovere del Nostro Apostolico Ministero Ci aveva ieri mosso a rivolgerci al
Tuo Primo Ministro per rappresentargli la necessità di modificare l'articolo
7° del disegno di legge «per la tutela
della razza italiana», che si trovava in aperto contrasto col solenne
Concordato concluso tra Noi e la Maestà Tua. A raggiungere questo intento,
gli inviammo una paterna Lettera autografa, accompagnata col testo, che qui
uniamo, da sostituire a quello sopra menzionato. Con Nostro sommo dolore Ci
è testé comunicato che questa Nostra sollecitudine non ha trovato quella
piena corrispondenza, che credevamo non Ci si potesse negare; poiché, pur
accettando il nuovo testo sino alle parole per legittimazione di prole
(sottolineato nell'originale,
ndr), non sono state ammesse
le seguenti: o anche nel caso in cui ambedue i contraenti sebbene di «razza
diversa»,
professano la religione cattolica. Considerando
ora che questo comma costituiva la parte precipua del Nostro testo e quella
per la quale stimavamo di dover maggiormente insistere, non esitiamo un
momento d'indirizzarCi alla Tua Reale e Imperiale Maestà, che con Noi
stringesti lo storico Patto, donde tanta gloria è venuta al Tuo nome e alla Tua
Augusta Casa, scongiurandoTi di intervenire colla Tua suprema autorità per
ottenere ciò che non Ci fu dato di raggiungere coi Nostri paterni offici presso
il Tuo Primo Ministro. Con tale fiducia
impartiamo di cuore alla Maestà Tua e a quella della Regina e
Imperatrice, come anche a tutta la Tua R. e I. Famiglia,
l'Apostolica Benedizione.
Dato
a Roma presso San Pietro il giorno 5 Novembre 1938
anno decimosettimo del Nostro
Pontificato.
PIUS
PP. XI
Panorama,
16 febbraio 2006