Panorama

La catena di montaggio delle V2

Dieci prigionieri specializzati di Dora assemblano le parti elettriche di un missile

L’italiano che faceva le V2

Seconda guerra mondiale. I segreti del lager di Dora. Un ex carabiniere livornese racconta i suoi 17 mesi di prigionia nel più misterioso campo di concentramento nazista

di Maurizio Tortorella

Ē l’ultimo superstite italiano del mistero di Dora. Gherardo Del Nista, un livornese di 83 anni , ex carabiniere è stato per 17 mesi nel campo di prigionia più segreto del Terzo Reich: l’immensa fabbrica sotterranea dove, tra il 1943 e il 1945, i tedeschi fabbricavano le micidiali V2, i missili-bomba con cui Adolf Hitler voleva radere al suolo Londra. Di Dora si è sempre saputo molto poco. Era un campo vicino alla cittadina di Nordhausen, in Corinzia: 50 mila i prigionieri stabilmente ospitati (800 gli italiani), 30 mila quelli morti nel corso del tempo per gli stenti e per le sevizie dei nazisti. «Io ci arrivai nel novembre 1943» racconta Del Nista a Panorama. «Uscii quando arrivarono gli alleati, nell’aprile 1945». Del Nista lavorò per tre mesi alle gallerie sotterranee: con un martello pneumatico, insieme a migliaia di altri schiavi deportati da tutta Europa, scavò 15 chilometri di tunnel sotto le montagne di Nordhausen. Per sette giorni alla settimana, per oltre 12 ore al giorno, i prigionieri estraevano roccia e morivano. Poi costruite le due gallerie, furono posati i binari. Infine arrivarono le macchine per la lavorazione delle V2. «La prima volta che dal capo opposto dei tunnel vedemmo uscire quei missili» dice «ci sentimmo annientati. Era chiaro di che cosa si trattava: spingendo carrelli, avvitando bulloni, stavamo contribuendo alla guerra dei nostri nemici». Alle V2 lavoravano solamente tecnici tedeschi (tra i quali l’inventore dei missili, Werner von Braun) e prigionieri specializzati, riconoscibili per i loro pigiami a strisce beige e marrone. Agli altri, alla bassa manovalanza, non era consentito alcun contatto con loro. Nelle gallerie era proibito perfino alzare lo sguardo verso i missili: «La punizione minima era un colpo di scudiscio sul volto. Ma si moriva per un nonnulla». Del Nista ha tenuto una sua approssimativa contabilità della produzione di Dora: «Dai tunnel, ogni giorno, uscivano almeno due o tre convogli. E ogni treno portava sei V2. Erano tutte dipinte con tinte mimetiche e coperte da teloni». Dai treni i missili passavano alle rampe di lancio, sorvolavano la Manica e quando sfuggivano agli Spitfire si schiantavano su Londra. Sorprendentemente, e malgrado la paura delle temibili punizioni, a Dora ci furono anche tentativi di sabotaggi. «Ogni tanto alcuni missili tornavano nei tunnel perché al collaudo i tedeschi scoprivano qualcosa che non funzionava». I sabotatori rischiavano la vita: i militari per fucilazione, i civile per impiccagione. Le esecuzioni erano frequentissime e il cerimoniale sadico: un’orchestrina di prigionieri accompagnava gli ultimi passi dei condannati, intonando Lili Marlene. A volte non era necessario nemmeno il sabotaggio: «A sette alpini bastò lamentarsi per il poco cibo». Il segreto, attorno a Dora, era totale: i tedeschi avevano addirittura proibito ai contadini di Nordhausen di seminare nel raggio di un chilometro dai recinti. E, caso unico tra i lager nazisti, di notte i reticolati al confine del campo non erano illuminati per paura di un bombardamento. Questo soprattutto dopo che gli aerei alleati ebbero distrutto la base di Pernemünde, dove in un primo tempo si sperimentavano i missili esplosovi di von Braun. «Quando i tedeschi capirono che la guerra era finita» ricorda Del Nista «decisero di ucciderci tutti». Minarono le gallerie e le riempirono con i 50 mila prigionieri. «Ci salvarono involontariamente i civili di Nordhausen: terrorizzati da un bombardamento, corsero a nascondersi lì dentro insieme a noi». Poi nel campo arrivarono gli americani e infine i russi, che ne assunsero il controllo. Una volta  che il lager fu evacuato, furono loro a far saltare le cariche piazzate dai tedeschi. E su Dora, la base delle terribili V2, cadde per sempre il silenzio.  

Da Panorama, 13 agosto 2002, n. 33 per gentile concessione.

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