Il difficile cammino della verità

di Primo Levi

a cura dell' ANED

Sono passati quarant'anni dall'inizio della strage hitleriana, che ha devastato l'ebraismo europeo; nel 1942, infatti, entravano in funzione gli impianti di tutti i Lager di sterminio polacchi, ed il massacro degli ebrei, da impresa saltuaria, diventava sistema. È certo che molto rimane ancora da scoprire e da spiegare sulle motivazioni della strage, sulla distribuzione delle responsabilità, e sulla paralisi delle coscienze che ha caratterizzato la Germania nazionalsocialista. I dati di fatto, per contro, sono oggi sufficientemente definiti, ma il cammino che si è dovuto percorrere è stato difficile, per vari motivi che è utile esaminare. Le prime notizie sui Lager di annientamento hanno incominciato a diffondersi ancora prima della fine del conflitto: erano sinistre ma vaghe, tuttavia fra loro concordi; delineavano un massacro di proporzioni così vaste e di una crudeltà così spinta che il pubblico tendeva a rifiutarle per la loro stessa enormità. E' significativo come questo rifiuto fosse stato previsto con molto anticipo dagli stessi colpevoli; molti sopravvissuti (fra gli altri, Simon Wiesenthal) ricordano che i militi delle SS si divertivano ad ammonire cinicamente i prigionieri: "In qualunque modo questa guerra finisca, la guerra contro di voi l'abbiamo vinta noi: nessuno di voi rimarrà per testimoniare, ma se anche qualcuno scampasse, il mondo non gli crederà. Ci saranno sospetti, discussioni, ricerche di storici, ma non ci saranno certezze, perché noi distruggeremo le prove insieme con voi. Ma se anche qualche prova dovesse rimanere, e qualcuno di voi sopravvivere, la gente dirà che la vostra testimonianza è troppo mostruosa per essere creduta: dirà che sono esagerazioni della propaganda alleata, e crederà a noi e non a voi. Saremo noi a dettare la storia". Curiosamente, questo stesso pensiero ("se anche raccontassimo, non saremmo creduti") affiorava in forma di sogno dalla disperazione dei prigionieri. Quasi tutti i reduci, a voce o nelle loro memorie scritte,  ricordano un sogno che ricorreva spesso nelle notti di prigionia, vario nei particolari ma unico nella sostanza: dì essere tornati miracolosamente a casa, di raccontare con passione e sollievo le loro sofferenze passate rivolgendosi a una persona cara, e di non essere creduti, anzi, neppure ascoltati. Nella forma più tipica di questo sogno, l'interlocutore si voltava e se ne andava in silenzio. Dunque entrambe le parti, gli oppressori e le vittime, avevano viva la consapevolezza dell'enormità, e quindi della non credibilità, di quanto avveniva nei Lager; e, possiamo aggiungere qui, non solo nei Lager, ma nei ghetti, nelle retrovie del fronte orientale, negli asili per minorati mentali, nelle stazioni di polizia. Ma le cose non sono andate come le vittime temevano e come gli hitleriani  speravano. Anche la più perfetta delle organizzazioni presenta delle  lacune, e la Germania nazista, soprattutto negli ultimi mesi prima  del crollo,  era lontana dall'essere una macchina perfetta. Molte  delle prove degli stermini furono soppresse, o si cercò più o meno diligentemente di sopprimerle: nell'autunno del 1944 i nazisti fecero saltare le camere a gas e i crematori di Auschwitz, ma le rovine ci sono ancora, ed è difficile giustificarne l'impiego in modi diversi da quello che effettivamente è stato. Il ghetto di Varsavia, dopo l'insurrezione della primavera del 1943, fu raso al suolo, ma la cura sovrumana di alcuni combattenti-storici (storici di se stessi!) fece sì che fra le macerie, spesse molti metri, altri storici ritrovassero le cronache di come, giorno per giorno, quel ghetto sia vissuto e morto.Tutti gli archivi dei Lager sono stati bruciati negli ultimi giorni di guerra, e questa è stata veramente una perdita irrimediabile, tanto che ancora oggi si discute se le vittime dei Lager siano state quattro o sei o otto milioni, ma sempre di milioni si parla. Prima che i tedeschi facessero ricorso ai giganteschi crematori multipli, gli innumerevoli cadaveri delle vittime, uccise deliberatamente o morte per gli stenti, potevano costituire una prova,  e dovevano essere fatti sparire.La prima soluzione, atrocemente macabra,  era stata quella di accumulare semplicemente i corpi, a centinaia di migliaia, in grandi fosse comuni: cosa fu fatto a Treblinka e in altri Lager minori. Era una soluzione provvisoria, presa con bestiale noncuranza quando le armate tedesche trionfarono su tutti i fronti e la vittoria finale sembrava certa: dopo si sarebbe visto che cosa fare, in ogni modo il vincitore è padrone anche della verità, la può manipolare come gli pare, in qualche modo le fosse orrende sarebbero state giustificate, o negate, o attribuite agli alleati. Ma dopo la svolta di Stalingrado ci fu un ripensamento: meglio far sparire subito tutto. Gli stessi prigionieri furono costretti a disseppellire quei resti miserandi ed a bruciarli su roghi all'aperto, come se un'operazione di queste proporzioni, e così inconsueta, potesse passare totalmente inosservata. I comandi SS e i servizi di sicurezza posero poi la massima cura affinché nessun testimone sopravvivesse. E' questo il senso (difficilmente se ne potrebbe escogitare un altro) dei trasferimenti micidiali, ed apparentemente insensati, con cui si è chiusa nella primavera del 1945 la storia dei campi nazisti; dopo di aver funzionato come centri di terrore politico, poi come fabbriche della morte, e successivamente (contemporaneamente) come sterminato serbatoio di mano d'opera schiava sempre rinnovata, i Lager erano diventati pericolosi per la Germania moribonda perché racchiudevano il segreto dei Lager stessi. L'esercito di larve che ancora vi vegetava era costituito da "Geheimnistráger", portatori di segreti, di cui era necessario liberarsi. Distrutti ormai gli impianti di sterminio, si scelse la via di trasferirli verso il cuore del paese, nella speranza assurda di poterli ancora rinchiudere in Lager meno minacciati dal fronte avanzante e di sfruttarne le ultime capacità lavorative, e nell'altra speranza meno assurda che il tormento di quelle bibliche marce ne riducesse il numero. Ed infatti il numero fu spaventosamente ridotto, ma qualcuno ha pure avuto la fortuna e la forza di sopravvivere, ed è rimasto per testimoniare. È meno noto e meno studiato il fatto che molti portatori dì segreti si trovano anche dall'altra parte, dalla parte degli oppressori, benché non tutti sapessero molto, e pochi sapessero tutto. Nessuno potrà mai stabilire con precisione quanti, nell'apparato nazista, non potessero non sapere degli impianti di morte; quanti sapessero, ma fossero in grado di fingere di non sapere; quanti ancora avessero la possibilità di sapere tutto, ma abbiano scelto la via più prudente di tenere occhi ed orecchi (e soprattutto la bocca) ben chiusi, illudendosi che questa ignoranza voluta potesse sbiancare la loro coscienza. È comunque certo che la mancata diffusione della verità sui Lager costituisce una delle maggiori colpe collettive del popolo tedesco, e la più aperta dimostrazione della viltà a cui il terrore hitleriano lo aveva ridotto: una viltà entrata nel costume, così profonda da trattenere i mariti dal raccontare alle mogli, ed i genitori ai figli; senza questa viltà, ai maggiori eccessi non si sarebbe giunti. L'ignoranza deliberata e la paura hanno fatto tacere anche molti potenziali testimoni "civili" delle infamie dei Lager. Questi ultimi costituivano un sistema esteso e complesso: si è parlato a ragione di universo concentrazionario, ma non era un universo chiuso; i Lager erano parte integrante dell'economia del terzo Reich. Società industriali grandi e piccole traevano profitto dalla mano d'opera pressoché gratuita fornita dai campi. Alcune sfruttavano i prigionieri senza pietà, altre cercavano di alleviarne le pene. Altre industrie, a magari le stesse, ricavavano profitti dalle forniture ai Lager medesimi: i crematori erano stati progettati, costruiti e collaudati dalla ditta Topf di Wiesbaden (ancora operante, almeno fino a pochi anni fa: costruisce crematori per uso civile). È poco probabile che il personale di queste imprese non si rendesse conto dello scopo degli strani impianti commissionati dai comandi SS. Lo stesso discorso si può fare, ed è stato fatto, per quanto riguarda la fornitura del veleno per le camere a gas; il Cyklon B, sostanzialmente acido cianidrico, era prodotto dallo stesso gigantesco trust (la IG Farbenindustrie) che "possedeva" il Lager Buna-Monowitz e ne sfruttava i 10.000 prigionieri. Veniva usato già da vari anni per disinfestare le stive, ma il brusco aumento delle ordinazioni, a partire dal 1942 non poteva passare inosservato. Doveva far nascere dubbi, e certamente li fece nascere, ma essi furono soffocati dalla paura, dal desiderio di guadagno, dalla cecità e stupidità volontaria a cui abbiamo accennato, ed in alcuni casi (probabilmente pochi) dalla fanatica obbedienza nazista. È naturale che l'apporto più consistente per la ricostruzione della verità sui campi sia costituito dalle memorie dei superstiti. Al di là della pietà e dell'indignazione che suscitano, esse vanno lette con occhio critico. Per una conoscenza dei Lager, i Lager non erano un buon osservatorio: nelle condizioni disumane a cui erano assoggettati, era raro che i prigionieri potessero acquistare una visione d'insieme del loro universo. Non era raro il caso, soprattutto per chi non capiva il tedesco, che un prigioniero non sapesse neppure in quale punto d'Europa si trovasse il suo Lager, in cui era arrivato dopo un viaggio massacrante e tortuoso in un vagone sigillato.Non conosceva l'esistenza di altri Lager, magari a breve distanza. Non sapeva per chi lavorava. Non comprendeva il significato di certi improvvisi mutamenti di condizione e trasferimenti di massa. Circondato dalla morte, spesso non era in grado di valutare la misura della strage che si svolgeva sotto i suoi occhi. Si sentiva insomma dominato da un enorme oscuro edificio di violenza e di minaccia, ma non poteva costruirsene una rappresentazione perché i suoi occhi erano legati al suolo dal bisogno di tutti i minuti. Disponevano di un osservatorio migliore i prigionieri privilegiati coloro che, grazie alla loro fortuna, o all'astuzia, o anche solo alla loro robustezza fisica, avevano avuto accesso a qualche funzione all'interno del campo, ottenendo cosi condizioni di vita un po' meno severe. Questi sono sopravvissuti in numero relativamente maggiore, e la loro testimonianza è preziosa ma parziale: avevano capito più cose, ma non hanno scandagliato il fondo. Chi lo ha fatto non è tornato, oppure la sua capacità di osservazione era paralizzata dalla sofferenza. Per tutti i motivi accennati, la verità sui Lager è venuta alla luce attraverso una strada lunga ed una porta stretta, ed alcuni aspetti dell'universo concentrazionario non sono ancora stati approfonditi. I quarant'anni che sono trascorsi dalla conferenza di Wansee, in cui forse per la prima volta si è data ufficialità al programma della cosiddetta soluzione finale del problema ebraico, hanno portato ad effetti contrastanti. C'è stata certamente una decantazione, processo desiderabile e normale, per cui i fatti storici acquistano chiaroscuro e prospettiva solo a qualche decennio dalla loro conclusione. Alla fine della seconda guerra mondiale i dati quantitativi sulle deportazioni e sulle stragi naziste, nei Lager e altrove, non erano acquisiti, né era facile misurarne la portata e l'importanza. Solo da pochi anni si sta comprendendo che il massacro nazista. è tremendamente esemplare: se altro di peggio non avverrà, sarà ricordato come la macchia del ventesimo secolo, e già oggi deve essere letto come un allarme per tutti i secoli futuri. Per contro, l'allontanarsi nel tempo dei Lager sta provocando altri effetti storicamente negativi. La maggior parte dei testimoni, di difesa e di accusa, sono ormai scomparsi, e quelli che rimangono e che ancora (superando i loro rimorsi, o rispettivamente le loro ferite) acconsentono a testimoniare, dispongono di ricordi sempre più sfuocati e stilizzati, spesso (a loro insaputa) influenzati da notizie che essi hanno appreso più tardi. In alcuni casi, naturalmente, la smemoratezza è simulata, ma i molti anni trascorsi la rendono credibile, anche in tribunale. I "non so" o "non sapevo", detti oggi da molti tedeschi, non scandalizzano più, mentre scandalizzavano, o avrebbero dovuto scandalizzare, quando la memoria dei fatti era recente. Su questa inevitabile attenuazione dei ricordi si è inserito di recente un fenomeno imprevisto, e degno di uno studio attento. In vari paesi, significativamente non in Germania, e con epicentro in Francia, si è avviato un movimento di revisione della storia. Ai lettori di Orwell questo termine non suonerà nuovo nei paesi in cui i diritti dell'uomo e le libertà fondamentali sono soffocati, anche la storia appartiene alla classe che detiene il potere; non solo la storia dell'oggi, ma anche quella trascorsa. Può essere cancellata, capovolta, inventata; quello che è vero oggi può diventare falso domani,   le voci delle enciclopedie ed i testi scolastici vengono riscritti, ed ai cittadini ligi si richiede che le loro individuali memorie siano altrettanto docili. Che questa pratica, descritta nella truce utopia di 1984, sia stata seguita nella Germania di Hitler, e sia seguita tuttora in Unione Sovietica, non stupisce eccessivamente.  Stupisce, o dovrebbe stupire, che altrettanto si tenti oggi in Francia, in Inghilterra, negli Stati Uniti. Forse anche in Germania, ma con minor sfacciataggine: perché? Una spiegazione si può tentare: la storia che si pretende di rivedere è storia tedesca, del paese tedesco e del popolo tedesco, e fra il tempo in cui si è svolta e quello della revisione sono passati solo quarant'anni: sufficienti per attenuare molte memorie, insufficienti per cancellarle tutte. Nella Germania d'oggi, anzi, nelle due Germanie, sono ancora troppi i testimoni delle atrocità perpetrate nei Lager, sui fronti di guerra, in tutti i paesi occupati e nella madrepatria stessa.    I responsabili,   anche solo per omissione o per connivenza,   sono ancora oggi centinaia di migliaia. Possono desiderare che dei fatti di allora non si parli, ma si meraviglierebbero se essi venissero negati; ed infatti, nei grandi processi di Norimberga, di Francoforte e di Gerusalemme i colpevoli hanno cercato in vari modi di discolparsi, ma non hanno negato i fatti. Li negano, invece, i revisionasti francesi. La loro arroganza ed insolenza lascia attoniti, ma le loro argomentazioni, estremamente prolisse, si riducono a poco: tutte le testimonianze dei superstiti, degli ebrei, dei russi, dei polacchi e dei comunisti, sono da rifiutare perché l'ovviamente" tendenziose; tutte le prove materiali sono delle falsificazioni; tutte le confessioni dei colpevoli sono state estorte con la tortura o il ricatto o la droga. Spaventa il pensiero di quanto potrà accadere fra una ventina d'anni, quando tutti i testimoni oculari saranno spariti. Allora i falsari avranno via libera: potranno affermare o  negare qualsiasi cosa. Se gli verrà opportuno, dimostreranno che la seconda guerra mondiale non c'è mai stata: le linee Sigfrido e Maginot non sono mai esistite, i loro ruderi tuttora visibili sono stati fabbricati qualche anno fa da imprese specializzate, su piani di scenografi compiacenti; lo stesso per i cimiteri di  guerra. Tutte le fotografie d'epoca sono fotomontaggi. Tutte le statistiche sulle vittime sono contraffatte, opera di propaganda interessata: in guerra non è morto nessuno perché la guerra non c'è stata. Tutti i diari e memoriali sono bugiardi, o opera di squilibrati, o frutto di corruzione e violenza. Le vedove e gli orfani di guerra sono comparse stipendiate. Finora, l'audacia sacrilega dei revisionasti non si è rivolta, ad esempio, alle imprese condotte dai nazisti sui fronti di guerra o nelle rappresaglie sui fronti interni: anche per loro, sarebbe difficile sbiancare Marzabotto, o le Fosse Ardeatine, o Lidice, o le stragi degli Einsatzkommandos dietro allo sterminato fronte russo. Interi paesi sarebbero insorti a restituire la verità. È stato più facile, ed anche più fruttuoso, attenersi ai Lager. Più fruttuoso, perché i Lager sono stati la colpa più pesante del Terzo Reich; e più facile, perché i superstiti sono stati pochi, pochi i testimoni, e perché gli ebrei, che dei Lager sono stati le vittime principali non costituivano una nazione unitaria, ma provenivano da decine di paesi diversi, dal Nord Africa alla Norvegia e dal Belgio all'Ucraina. Ma non c'è dubbio che, se la vigilanza degli storici, del pubblico,  e delle istituzioni democratiche, dovesse allentarsi,  tutta la mostruosa macchina nazista sarebbe scagionata, e il ribrezzo che in tutta Europa perdura nei riguardi dei regimi totalitari tenderebbe a sparire. Per questo, è importante compito nostro, di noi ebrei, di noi superstiti, di noi europei democratici e antifascisti, non permettere a questa insolenza di prevalere. Se il mondo potesse essere convinto che Auschwitz non è esistito, costruire un secondo Auschwitz sarebbe più facile, e nulla assicura che divorerebbe solo ebrei.

 Primo Levi, giugno 1992

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