Commemorazione di Gusen 2006
Ricordo di Maria Schatz, St. Georgen
Vorrei raccontare la storia di una donna che, più di 60 anni fa, è sopravvissuta al KZ di Auschwitz e al campo delle donne di Wienergraben. È stata nascosta nella casa dei miei suoceri, nonostante tutte le rappresaglie ed i rischi connessi. La prima celebrazione a Gusen nel 1995 svegliò ricordi, sia nei pensieri della nostra famiglia che in quelli della signora. Tramite l’ambasciata austriaca in Israele, a giugno dell’anno 1995 la signora Esther Zychlinski cercò di rimettersi in contatto con la nostra famiglia. Scrisse una lettera con i suoi ricordi:
All’Ambasciata Austriaca
Mia madre Esther Zychlinski è nata nel 1929 a Lodz/Polonia. Nel 1944 lei e la sua famiglia furono deportati ad Auschwitz. Dopo che la sua famiglia era stata separata nel 1945 [Esther] arrivò a Mauthausen nel campo degli zingari, denominato “Vinograben” nelle vicinanze di Mauthausen. Mia madre sfuggì da questo campo quando trovò un buco a terra sotto il recinto e camminò fino ad arrivare ad una casa. Purtroppo non si ricorda il nome del villaggio. Rimase per lungo tempo in questa casa, fino alla fine della guerra. Gli abitanti della casa la proteggevano anche se sapevano che era ebrea. Mia madre ed io saremmo felici di ritrovare questa famiglia. Conosciamo i seguenti dettagli:
L’uomo che viveva in questa casa si chiamava “Johanan Shatz” (Johann Schatz).
Il nome di sua moglie era Maria.
L’indirizzo della casa era Frankenberg 14. Il borgo era nelle vicinanze del paese che a sua volta era vicino a Linz e non lontano dai lager di Mauthausen e Wienergraben.
¨ Usavano chiamare mia madre Gisela König, il suo nome vero era Esther Feinkoch.
Faremmo di tutto per rendere possibile un ritrovamento di questa famiglia.
Così recita l’originale della lettera all’Ambasciata Austriaca che tramite il governo della Regione Oberösterreich passò nelle mani della nostra famiglia. Iniziammo una corrispondenza vivace con telefonate e e-mail. Eravamo in grado di comunicare in yiddish, lingua simile a quella tedesca. Cercammo di trovare tutti i luoghi di cui Esther ci parlava. Il lager delle donne si trovò nelle vecchie baracche di uno stabilimento industriale nel Wienergraben, fuori del lager principale. Non c’era un recinto elettrico. In questo lager c’erano 300-500 Rom e Sinti, donne provenienti dalla Polonia, dall’Ucraina e da altri paesi, nonché sopravvissuti dei trasporti di evacuazione provenienti da Auschwitz. Sotto il recinto c’era una specie di conca. La pioggia aveva causato l’ammorbidimento del terreno e questo permetteva a Esther di passare sotto il recinto e di sfuggire nel bosco confinante. Secondo i racconti di una signora anziana che abitava vicino al lager delle donne, solo lacune riuscirono a sfuggire. Dopo la fuga attraverso il bosco, i pascoli e i campi Esther arrivò finalmente ad una casa di contadini e bussò alla finestra. Chi aprì la porta era la nonna di mio marito. Esther chiedeva un pezzo di pane. La invitarono a entrare spaventandosi dell’aspetto di questa “bambina” terribilmente magra. Le davano da mangiare e latte da bere. La famiglia decise di permettere a Esther di rimanere a casa loro, nascondendola fino alla fine della guerra. All’epoca aveva 16 anni e fu accolta come una figlia. Dopo la fine della guerra gli ebrei sopravvissuti si incontrarono, anche per preparare l’esodo in Palestina. Alcune volte ancora Esther faceva visita alla nostra famiglia, prima che si fosse imbarcato su una nave che dall’Italia la portò in Palestina. Sulla nave incontrò suo fratello, l’unico altro sopravvissuto di una famiglia di sei persone. Nel febbraio del 1998, durante il mio viaggio in Israele potei incontrarla a Gerusalemme. Era piena di gioia e gratitudine nei confronti della nostra famiglia. Anche per me l’incontro era commovente. Fino alla sua morte visse a Tel Aviv. Con suo figlio più giovane Arie siamo legati in amicizia fino ad oggi.