L'espresso

Stragi nascoste / l'eccidio di Spalato

Nell'armadio c'è un'altra Cefalonia

Impiccati e fucilati. Nel settembre del 1943 le SS di Otto von Ludendorf sterminarono i soldati italiani. Colpevoli di non essersi arresi

di Franco Giustolisi

È l'ultimo criminale nazista responsabile dell'eccidio dei soldati italiani di stanza a Spalato, trucidati come a Cefalonia nel settembre del 1943, perché non si erano arresi. Lui, probabilmente, è ancora vivo, lo cercano in tutto il mondo. Forse si nasconde in Europa, sotto falso nome, forse in Canada, come tanti altri suoi compari. Si chiama Otto von Ludendorf, sud-tirolese nato a Brunico, sottotenente della divisione Prinz Eugen delle SS. Quella di Spalato è una delle innumerevoli stragi, di civili e militari, le cui denunce furono sotterrate per 50 anni nell'Armadio della vergogna. È annotata al numero 1.167 del macabro registro che elenca crimini e ingiustizie. Il reato è quello dell'articolo 211 del codice penale militare di guerra applicato quando vengono uccisi prigionieri. Il fascicolo fu prelevato dall'Armadio della vergogna e inviato alla procura militare di Padova il 16 luglio del 1947. Una singolare eccezione, perché tutti gli altri fascicoli rimasero sotterrati. Probabilmente a smuovere la situazione fu una lettera del colonnello Fosco Cinelli di Mantova, inviata al capo di gabinetto del ministero della Guerra. Il colonnello chiedeva che gli atti fossero trasmessi a Belgrado dove si indagava sulla fucilazione del figlio, comandante del quindicesimo battaglione Mortai della divisione Bergamo. A quella richiesta il 10 marzo del '47 il ministero degli Esteri rispondeva che il tribunale straordinario di Belgrado non era competente a giudicare crimini di guerra commessi contro i militari italiani: "Ciò è competenza esclusiva della magistratura italiana". Così esclusiva che il fascicolo finì per anni in un cassetto. Poi fu archiviato "provvisoriamente", come avverrà dopo per tutti gli atti contenuti nell'Armadio della vergogna, e infine definitivamente. In uno degli atti dell'inchiesta, un magistrato-militare dell'epoca così crede di giustificare la sua colpevole inerzia: "Nessuno ha fornito notizie sui responsabili dell'eccidio". Evidentemente gli ordini superiori erano tassativi per evitare che la rinascita della Wehrmacht auspicata dalla Nato in funzione antisovietica, venisse turbata. Dopo la pubblicazione dell'articolo "Troppo tardi signora giustizia" su "L'Espresso" del 9 novembre scorso in cui si davano alcune notizie contenute nel registro, il procuratore militare di Padova Sergio Dini ha ripreso il fascicolo ordinando le ricerche a tappeto dì Ludendorf, indicato dai testimoni come uno dei più feroci. L'8 settembre del '43 colse la divisione impreparata come tutte le altre unità. Secondo una relazione dello Stato maggiore i fatti si verificarono in questo modo. Il comandante della divisione, generale Emilio Beccuzzi, rimase per più giorni indeciso tra la resistenza e la resa, alla fine optò per l'imbarco insieme con 4 mila dei suoi uomini lasciando questo messaggio: "Parto con la certezza che mi raggiungerete a Bari dove mi appresto a ricostituire la nostra bella divisione. Aspettate pazientemente il vostro imbarco che sarà tra breve". Attesero, ma l'imbarco non ci fu. Arrivarono invece gli Stukas che bombardarono a tappeto gli accampamenti facendo, secondo alcune fonti, circa 700 morti ed altrettanti feriti. "Intanto la divisione Prinz Eugen", dice il rapporto dello Stato maggiore, "parte da Mostar con molte centinaia di mezzi corazzati, punta su Spalato e travolta la resistenza dei partigiani e dei nostri volontari, entra in città la mattina del 27 settembre". Furono approntate tre forche nelle piazze principali della città mentre il generale di brigata Cigala Fulgosi, con gli altri generali Salvatore Pelligra e Angelo Policardi (ai primi due è stata concessa la medaglia d'oro alla memoria), non poté fare altro che ordinare la resa. Loro tre e i circa 450 ufficiali, secondo la testimonianza dell'allora tenente Enzo De Bernart, o i circa 300 secondo il capitano Giuseppe Zane, vengono trasportati a Trilj, a una quarantina di chilometri da Spalato. I pochi che possono e vogliono dimostrare di essere fascisti vengono immediatamente liberati e successivamente imbarcati per l'Italia. Agli altri viene chiesto un si o un no. Il si per chi vuole collaborare con i tedeschi, il no per chi si rifiuta. I primi sono assai poco numerosi. Ai secondi si fa, secondo alcune testimonianze una specie di processo sommario. Verranno poi fucilati a gruppi di cinque per volta. L'ex ufficiale di ordinanza del generale Beccuzzi, capitano Luciano Ferrario, interrogato in questi giorni dal pm Dini, dà un'altra versione: "Non ci fu nessun processo, neanche una parvenza di processo. Ogni dieci o 15, non ricordo troppo bene, sono passati 58 anni ed io ora ne ho 92, un tedesco faceva il segno al malcapitato di uscire dalla fila ... ". Così ne furono fucilati 51, compresi i tre generali. Un altro ufficiale, il tenente Zammarane, fu chiamato dall'interprete, il sottotenente Ludendorf: "Voi siete ebreo, gli disse", ha testimoniato il capitano Zane, "il mio collega gli rispose "no, non lo sono, se lo fossi non potrei essere ufficiale". Ma l'interprete gli ordinò ugualmente di seguirlo. Di lui non si seppe più nulla". Poi ci fu quella che il comandante tedesco definì la marcia del disonore: "A piedi, tra sofferenze infinite, noi che avevamo optato per il no, dovemmo raggiungere i campi di concentramento in Polonia e in Germania", racconta il capitano Ferrario. Se qualcuno cadeva e non aveva la forza di rialzarsi, veniva mitragliato dai soldati della scorta. Così ne morì un altro centinaio.

L'Espresso - 3 maggio 2001

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