L'Espresso
Dopo
Priebke / viaggio nella giustizia militare
UNA,
CENTO MILLE ARDEATINE
Ci
sono i testimoni. I rapporti dei carabinieri. Dei colpevoli si conoscono anche i
nomi, eppure, in cinquant'anni, nessuno è stato processato. E i loro casi
archiviati. Perché? E quante sono le stragi nazi-fasciste dimenticate?
"L'Espresso" ha frugato negli archivi. Facendo molte scoperte
di
Alessandro De Feo e Franco Giustolisi
TAGLIACOZZO.
NOVE MAGGIO 1944. Diana Nuccilli, 11 anni, gioca davanti a casa sua con Maria De
Santis, un'amichetta di 15 anni. E' quasi il tramonto. Sta per scattare il
coprifuoco. Un sergente tedesco, di stanza nella cittadina abruzzese scarica una
raffica di mitra contro le bambine. Non c'è ragione. Se non la ferocia. Diana
muore sul colpo. Maria cade ferita alle gambe. Successivamente, e in tempi
diversi, quel sergente ferirà a colpi di pistola due civili che si erano
rifiutati di spalargli la neve. Poi, affacciato dalla finestra del suo comando,
"per motivi futili" sparerà una raffica contro alcuni cittadini,
questa volta senza colpire nessuno. Di quel nazista si conoscevano nome,
cognome, grado, reparto di appartenenza. E su di lui, subito dopo la fine della
guerra, venne redatto dai carabinieri dettagliato rapporto (lì è scritto
"futili motivi") con tanto di testimonianze particolareggiate. Verrà
inviato al Corpo generale dei carabinieri che, a sua volta lo trasmetterà alla
Procura generale militare, Ufficio procedimenti contro criminali di guerra
tedeschi. Era il 1946. Quel rapporto insieme a migliaia di altri rimarrà
congelato per cinquant'anni. L'unico atto formale, disposto e firmato nei primi
anni Sessanta dal procuratore Enrico Santacroce, capo della giustizia militare
dal 1958 al 1974. sarà l'apposizione di un timbro. Con la dicitura:
"Archiviazione provvisoria". Diana non avrà mai giustizia. E come lei
le innumerevoli vittime di stragi, omicidi, sevizie, rapine, saccheggi, compiuti
dai nazi-fascisti. Nella maggioranza dei casi senza nemmeno la terrificante
giustificazione della rappresaglia. Di alcuni di questi fascicoli,
"L'Espresso" ha preso visione. Assieme a migliaia di altri,
dimenticati nella polvere, vennero scovati nel maggio del 1994 dal procuratore
militare di Roma Antonino Intelisano durante le indagini sul caso Priebke-Haas.
E finalmente inviati alle procure militari di competenza: 150 a Roma, 160 a
Torino, 93 a Verona, 102 a La Spezia, 105 a Padova e 6 a Napoli. In tutto, oltre
600 fascicoli, li. Dunque, solo 600 episodi criminali? No. Prendiamo i sei
fascicoli inviati a Napoli. Una volta esaminati, hanno prodotto 279
procedimenti, 279 delitti per ora così sommariamente suddivisi: 68 a norma
dell'articolo 185 del Codice penale militare di guerra (violenze con omicidi
contro privati cittadini); 186 a norma dell'articolo 127 (saccheggi e altro); 4
a norma dell'articolo 187 (incendi, distruzioni)... Di questo materiale, le
varie procure militati hanno già disposto l'archiviazione per quei reati caduti
in prescrizione e per tutti quelli in cui i criminali nazi-fascisti siano
deceduti o non sia più ragionevolmente possibile risalire agli autori. Come per
la piccola Diana, nella grande maggioranza dei casi si sono ritrovate prove e
testimonianze per risalire ai colpevoli. Per esempio, gli eccidi e le torture
commessi nel lager di Bolzano dal comandante tenente delle Ss Karl Titho e dal
suo maresciallo Hans Haage. Commenta il procuratore militare di Verona,
Bartolomeo Costantini, membro del Consiglio della magistratura militare e della
Commissione appena costituita che dovrà chiarire "le dimensioni, le cause
e le modalità del fenomeno delle archiviazioni provvisorie": "Nel
dossier sul lager di Bolzano che ci hanno trasmesso era possibile individuare i
responsabili: erano già noti attraverso alcune pubblicazioni. Abbiamo accertato
l'esistenza in vita dei due militari delle Ss, li potremo interrogare solo in
rogatoria, verranno Processati probabilmente in contumacia dato che la
Costituzione tedesca vieta espressamente l'estradizione dei suoi cittadini anche
se accusati di crimini gravissimi". Ma perchè mezzo secolo di silenzio?
Silenzio dei politici, dei militari, dell'opinione pubblica. Il silenzio dei
politici è in parte spiegato sui libri di storia. In quegli anni cercare
responsabilità per i crimini nazi-fascisti significava riaprire ferite,
scoprire connivenze. Di natura diversa il silenzio dei militari. Si legga il
documento segreto della Procura generale del 1962 ("L'Espresso" n. 12)
riferito ai criminali di guerra nazisti: "La possibilità di un giudizio in
contumacia è stata prospettata sin dall'epoca del processo Kappler: ma la sua
realizzazione è stata esclusa, per direttiva del Procuratore generale militare
( ... ) per ragioni di Opportunità, non sembrando conveniente, anche in
considerazione delle scarse possibilità di una pratica realizzazione della
pretesa punitiva, turbare ancora una volta l'opinione pubblica, riportando alla
ribalta il triste episodio dell'eccidio delle Fosse Ardeatine. Tali direttive
del Procuratore generale sono state periodicamente riconfermate, a richiesta di
questa Procura militare". E il silenzio dei cittadini dei parenti delle
vittime? Risponde Intelisano: "Non mi risultano iniziative di familiari o
associazioni per riaprire i casi archiviati. Se si eccettuano le stragi di
Capistrello e l'eccidio della Storta dove fu assassinato il sindacalista Bruno
Buozzi. Mi sono spesso interrogato su questo atteggiamento. Lo ritengo
ascrivibile a forme di rimozione collettiva: l'amnesia si traduce in amnistia. A
volte c'è stata una sorta di inversione dei giudizi di responsabilità: sono
stati chiamati in causa, informalmente, gli autori di azioni partigiane per una
specie di "sindrome di Stoccolma", quasi per giustificare le feroci
reazioni tedesche". È successo a Gubbio. Qui, il 22 giugno 1944, vennero
fucilati 40 cittadini per rappresaglia, dopo l'uccisione di due ufficiali
tedeschi. In un rapporto doppio rispetto alla strage delle Fosse Ardeatine. Di
ostaggi ne erano stati rastrellati 160, ma' intervento del vescovo riuscì a
limitare l'eccidio. A quei 40 fu ordinato di scavarsi la fossa e poi avvenne
l'esecuzione a raffiche di mitragliatrice. Al centro di Gubbio un mausoleo con i
nomi dei martiri ricorda l'evento. Il fascicolo "archiviato" di
Gubbio, ora riaperto, riporta testimonianze, circostanze, nomi e cognomi degli
ufficiali che ordinarono la rappresaglia. -Il rapporto risale al '46. Se si
fosse voluto, si sarebbe potuto perseguire i responsabili. Perché non è
successo? Risponde il sindaco Paolo Barboni: "Tra il '44 e il '45 ci si
preoccupò soltanto di capire se le responsabilità dell'eccidio fossero dei tre
partigiani che uccisero i due i ufficiali tedeschi, o dei tedeschi per la
rappresaglia. Sull'opportunità di quell'azione partigiana la città si spaccò.
Si discuteva, e si discute ancora, se il rastrellamento fosse stato operato
autonomamente dai tedeschi o il frutto della denuncia di qualche fascista.
Dobbiamo immaginarci l'Italia di allora-. Anche negli interventi del prefetto e
del questore, la strage rimase quasi sullo sfondo. Noi la ricordiamo il 22
giugno, ogni anno, con solennità. Una volta è pure intervenuto il presidente
Scalfaro... Ma la divisione in città ha bloccato ogni possibile iniziativa,
ogni richiesta di giustizia". Gubbio. Un episodio emblematico. Nel
settembre del '44, l'avvocato Gaetano Salciarini, nominato sindaco dal Comitato
di liberazione provinciale, denunciò alla Commissione alleata dei crimini di
guerra il capitano nazista Erik Buckmakoswki come responsabile della
carneficina. Il 4 giugno del '45 lo Special Investigation Branch (Sib)
dell'esercito inglese aprì un'inchiesta affidandola al sergente B.I.
Brainbridge affiancato da altri due sottufficiali. Nel rapporto finale del 20
luglio '45, controfirmato dal capitano Middleton della 78° sezione Sib, si
elencavano i nomi degli ufficiali tedeschi probabili responsabili del massacro.
Verranno resi noti nell'agosto del '64 quando i familiari delle vittime
scrissero al Tribunale di Stoccarda. La risposta arriverà tre anni dopo:
"Il capitano Buckmakoswki è responsabile di complicità in omicidio
secondo l'articolo 212 del Codice penale tedesco. Ma questo tipo di reato è già
prescritto dal 1960. Il comandante della 114° Divisione di fanteria Joan
Boelsen e il suo ufficiale di ordinanza, capitano Rausc, che avrebbe scelto i 40
da fucilare, sono deceduti". Rimane Il mausoleo. "Non solo le guerre,
ma anche le catastrofi naturali sono tragedie collettive indimenticabili",
commenta lo storico Lucio Villari, "eppure esiste un fortissimo sentimento
della pace e della normalità senza il quale non vi sarebbero ricostruzione e
aumento delle nascite, fenomeni che caratterizzano la fine di quegli eventi.
Questo sentimento è il padre dell'oblio. Così è avvenuto dopo la Seconda
guerra mondiale. Pochissimi responsabili di morte e distruzioni sono stati
puniti. Ma la miriade di drammi individuali sono come svaniti nel nulla, o
rimangono custoditi solo in silenti memorie personali e familiari È stato
sempre così. È giusto questo? La Storia tace, perplessa". CHI NON TACE È
ANTONIO ROSINI, già in prima fila nelle lotte contadine nella Marsica. Il 4
giugno 1944 a Capistrello
(Avezzano) suo padre e suo zio, assieme ad altri 28 civili, tra cui un
bambino di 13 anni, furono messi in fila ed eliminati uno dopo l'altro con un
colpo di pistola alla nuca. Dice: "II dolore, la convinzione che non
sarebbe stato possibile punire i colpevoli, provocarono prima rassegnazione poi
una generale inerzia. Non sapevamo a chi rivolgerci, intanto tornavano dal
fronte ragazzi che raccontavano mille atrocità. Finimmo per dirci: "È la
guerra"". Per quei martiri non ci fu altro che una lapide al cimitero
e un monumento in piazza. Eppure, già in quel primo rapporto ce n'era a
sufficienza per indagare. Nella zona operava un feroce tenente tedesco, Haing
Nebgen, autore dì varie efferatezze, tra cui l'omicidio del giovane Piero Masci,
studente di 19 anni, seviziato, fucilato e poi evirato (20 marzo 1944), come si
legge nel rapporto dei carabinieri. Nebgen è vivo e vegeto al sicuro vicino
Dortmund. Così Rosini, comunista, non si arrende. In Germania ha personalmente
rintracciato testimoni e ha parlato con ex militari tedeschi che allora si
trovavano in Abruzzo. Con nuove prove in mano Rosini ha firmato un
esposto-denuncia al Tribunale di Avezzano (18 aprile 1994), si è costituito
parte civile prima presso la Procura di Avezzano
(8 marzo 1995), poi (17 ottobre 1995) presso la Procura militare di Roma.
Infine è riuscito a far costituire parte civile anche i Comuni dì Capistrello,
Avezzano, Luco e Canistro (16 marzo 1996), tutti devastati dalla furia nazista
cinquant'anni dopo. Non molto diversamente è andata per la strage compiuta il
21 novembre del '43 nel comune di Roccaraso, in contrada Limmari. Con la scusa
di una perquisizione, i tedeschi rastrellarono 124 abitanti sfollati da
Pietransieri e li raggrupparono sopra una radura dove li massacrarono a
mitragliate. Si salvò miracolosamente solo una bambina di 9 anni, Virginia
Macerelli, ritrovata sotto al cadavere della madre. Anche in questo caso
testimoni. Un memoriale (quello di un testimone oculare, Italino Oddis,
all'epoca guardia municipale). Il rapporto dei carabinieri. L'archiviazione
provvisoria. E lapidi. Monumenti. Discorsi in piazza. Cerimonie con le autorità
(il cinquantennale venne commemorato in presenza di Giovanni Spadolini, allora
presidente del Senato). E mai un processo. Con la popolazione passivamente
rassegnata a convivere con quella ferita aperta. Perché? "Perché la
comunità non crede ai processi. Si porta addosso con cristiana sofferenza il
dolore per una strage assolutamente immotivata, per cui a tutt'oggi non sa darsi
una spiegazione logica", risponde Mario Liberatore, sindaco di Roccaraso. E
aggiunge: "Poi, dopo la Liberazione, coloro che dovevano perseguire i
crimini di guerra erano pochi e distratti da tante altre cose. E le indagini
sulla strage di Limmari partirono con troppo ritardo, nel '46. Si interruppero
un anno dopo, quando era stata individuata una pista (che potrebbe essere ancora
percorsa): si entrava nella guerra fredda, la vera origine di questo mancato
sforzo finale contro i crimini nazisti" . Delle indagini sull'eccidio si
occupò il War Crime Group, sezione di Padova. Incaricato di redigere un
rapporto fu il capitano inglese R. L. Stayer. Lo firma il 9 novembre 1947.
Nonostante tutto è dettagliato, luoghi, personaggi, piste da seguire,
suggerimenti per ulteriori indagini. Perfino nazisti da "rintracciare e
catturare". E via una lunga lista: il generale Heidrich, il tenente
colonnello Schultz, il maggiore von Schulenburg, il capitano Schulder, il
soldato Paul Haas... Erano tutti lì, all'epoca dei fatti. Dovevano sapere.
Probabilmente avevano visto. Addirittura, potevano aver materialmente compiuto
la strage. Niente. Non si fece nulla. Un anno fa, per iniziativa del Comune, un
gruppo di studiosi è stato incaricato di una ricerca storica sul massacro di
Limmari. Verrà pubblicata il prossimo 21 novembre, anniversario dell'eccidio.
Storia, non giustizia.
Aboliamo
questi tribunali in divisa
Colloquio
con Sergio Dini
di
Mario Scialoja
"Un'omissione
durata cinquant'anni non può essere attribuibile solo alla negligenza della
magistratura militare: c'è stata anche la volontà politica di insabbiare tanti
crimini di guerra commessi in Italia". Sergio Dini, da otto anni magistrato
presso la Procura militare di Padova, non ha dubbi: le colpe delle mancate
indagini ricadono sugli uomini che si sono avvicendati a governo in tutta,
questo tempo. Ma non per questo il suo giudizio sulla giustizia militare di cui
fa parte, e meno drastico: "Non serve più, anzi crea solo problemi. La
soluzione migliore è quella di abolirla radicalmente". Però, finché i
giudici militari esisteranno (prima di essere assorbiti, come auspicabile, nella
magistratura ordinaria) devono fare il loro dovere. Ed è stato proprio Dini a
denunciare lo scandalo delle centinaia di fascicoli processuali sui crimini
commessi in Italia durante la seconda guerra mondiale, seppelliti con
"archiviazione provvisoria". Il 15 aprile scorso il procuratore Dini
ha scritto un esposto al massimo organo gerarchico, il Consiglio della
Magistratura militare di Roma (Cmm): denuncia che molti fascicoli non sono mai
stati aperti e contengono verbali in inglese, mai tradotti. E chiede di disporre
un'indagine sul numero esatto di procedimenti "rimasti giacenti",
sulle ragioni per cui siano stati sepolti per mezzo secolo", su chi ne
"fosse a conoscenza" e perché non ritiene di "attivarsi in
precedenza".
Quanti
fascicoli "archiviati avete ricevuto alla Procura militare di Padova?
"Circa
110. I primi arrivarono dalla Procura generale presso la Corte d'Appello di Roma
subito dopo l'arresto di Priebke in Argentina, nel '94. Gli ultimi sono di pochi
mesi fa. Chissà che cosa è scattato...".
Cosa
contengono?
"Alcuni
riguardano reati chiaramente caduti in prescrizione: incendi, furti, saccheggi.
Ma una quarantina trattano di uccisioni. In genere omicidi plurimi commessi nel
'44-45: crimini che non possono certo considerarsi prescritti".
Quei
fascicoli erano stati esaminati?
"Ritengo
di no. Molti sono spillati strettissimi, non ordinati. E contengono varie
dichiarazioni testimoniali redatte in inglese dalle Commissioni anglo-americane
di inchiesta sui crimini di guerra - Parti che non erano state tradotte sino al
momento in cui me ne sono incaricato io. Vorrei aggiungere che l'archiviazione
provvisoria così com'è stata fatta, cioè senza essere stata approvata da un
magistrato, è un provvedimento illegale".
Sono,
emersi elementi importanti?
"Le
testimonianze e le accuse contengono indicazioni sui presunti responsabili dei
crimini. Stiamo lavorando su una trentina di nomi (circa 20 tedeschi e 10
italiani) e abbiamo chiesto all'Interpol e ai carabinieri di indagare. Risulta
che alcuni di questi personaggi siano ancora vivi".
Quali
sono gli eccidi più gravi cui si tratta nel dossier che avete ricevuto?
"Ci
sono elementi sulla strage di Pedescala, nel Vicentino, dove nell'aprile '45
furono trucidate 83 persone (tra cui molte donne e bambini) in rappresaglia
all'uccisione di tre soldati tedeschi: un rapporto assolutamente barbaro che fa
impallidire l'uno a dieci delle Ardeatine. Dai primi accertamenti risulta che
due presunti responsabili, tedeschi, sono ancora vivi. Altri atti riguardano la
strage di Castello di Godego (Treviso), avvenuta negli stessi giorni: 50
vittime.
Episodi
atroci, sui quali non s'era indagato?
"Seriamente,
direi di no. Ricordo che una decina di anni fa i parenti delle vittime di
Pedescala fecero un esposto perché si riaprissero le indagini. Ma dalla Procura
generale militare i fascicoli che sono apparsi adesso non vennero fuori".
Perché?
"Non so darmi una risposta precisa. C’è stata, ovviamente, grave
negligenza. E in più una voglia generalizzata di insabbiare e dimenticare.
D'altra parte fino all'88 la magistratura militare dipendeva direttamente
dall'esecutivo. Non poteva prendere iniziative senza una precisa volontà degli
uomini di governo".
Adesso
cosa si può fare?
"Con
cinquant'anni di ritardo tutto è molto difficile. La maggior parte dei
testimoni sono morti o ricordano male. Comunque, non è impossibile ottenere
risultati: l'arresto di Priebke sta a provarlo. Quello che io mi aspetto, a
breve termine, è che il Cmm compia seri accertamenti sul perché queste
indagini sui crimini di guerra sono state insabbiate per 50 anni. E a chi
risalgono le maggiori responsabilità".
Con
la magistratura ordinaria le cose andate meglio?
"Ho
i miei dubbi. Se la volontà politica era quella di mettere una pietra sopra, ne
sarebbe stata influenzata anche la magistratura ordinaria. Come provano le
inchieste su Piazza Fontana, Bologna, Ustica... Detto questo, ribadisco quello
che da vari anni sostengo: la magistratura militare è ormai accessorio inutile
ed ingombrante. Non resta che abolirla".
Ha
già reso pubblica quest'opinione?
"Sei
anni fa, con gli altri magistrati militari di Padova. abbiamo scritto un
documento in tal senso sulla rivista "Questioni Giustizia". E vari
altri interventi su pubblicazioni specializzate. Il fatto è che una giustizia
separata non solo è obsoleta, ma è costosa e complica inutilmente le
cose".
In
che senso?
"Crea
un'assurda divisione delle competenze: se un militare, per esempio, uccide un
suo pari grado il processo si fa davanti al giudice ordinario, se ne ammazza uno
di grado diverso è competente il tribunale militare. Inoltre, molti magistrati
militari sono sottoimpiegati: la Procura generale presso la Cassazione non
svolge più di tre-quattro udienze l'anno. Infine con il processo Priebke, si è
visto che l'opinione pubblica diffida della giustizia militare: allora, non c'è
più nessun motivo valido per tenerla in piedi. La si abolisca del tutto, senza
neanche creare, come viene proposto da alcuni, delle sezioni specializzate
presso la magistratura ordinaria, che continuerebbero a creare
problemi...". Ma le sezioni specializzate esistono per i minori. "Ma
per i minori esistono dei reali e particolari problemi socio-culturali, per i
militari no: perché un poliziotto deve essere giudicato da un magistrato
ordinario e un carabiniere da uno militare?".
Atrocità
nazi-fasciste. Eccone alcune, dai rapporti dei carabinieri, poi archiviati dalla
magistratura militare.
Tocco
da Casauria (Pescara), 24-10- '43.
Un
carabiniere resta ucciso nell'assalto dato alla sua caserma dal battaglione
nazi-fascista N di Teramo. Il Comandante italiano del battaglione viene
identificato.
Onna
(L'Aquila), 11-6 '44.
Quattordici
fucilati per rappresaglia: un civile aveva ucciso un soldato tedesco che gli
stava sequestrando un cavallo.
Roma,
10-9- '43.
Sulla via Ostiense due carabinieri in servizio di ordine pubblico vengono uccisi a colpi di fucile da soldati nazisti "unicamente a scopo barbaro". Allo stesso modo, lo stesso giorno i nazisti fucilano un carabiniere al Campo Boario e uccidono una donna alla Garbatella.
Turricella
Peligna (Chieti), 12-1- '45.
Sei
tedeschi uccidono a colpi di mitra 9 contadini nella loro masseria in contrada
Ripa.
Calenza
Trigno (Chieti), 21-10- '43.
Tre
tedeschi strappano ai genitori una ragazzina di 11 anni e tentano di
violentarla. Alla sua reazione un tedesco le conficca un coltello nel pube e le
squarcia il ventre.
Atessa
(Chieti), 17-10- '43.
Un
gruppo di nazisti tentano di violentare una donna e uccidono suo marito,
Giacinto Pellicciotti, che tenta di soccorrerla.
Lanciano
(Chieti), 6-10- '43.
Un
gruppo di nazisti ferisce e poi uccide Giovanni Calabrò. Viene colpito anche un
suo amico, Vincenzo Bianco, che cerca di aiutarlo.
Fresagrandinaria
(Chieti), 28-10- '43.
Un
soldato tedesco colpisce con una raffica di mitra il contadino Valentino Pagano.
Poi lo finisce con un colpo alla testa.
Tomarecchio
(Chieti), 12-11- '43.
I
nazisti uccidono un civile, Nicola Palena, poi lo fanno saltare in aria con una
mina.
Monteferrante
(Chieti), 13-11- '43.
Pasquale
Di Fabio viene gettato vivo dentro la sua casa in fiamme: aveva criticato i modi
brutali usati dai tedeschi contro suo padre.
Palidoro,
23-9- '43.
I
nazisti fucilano il vice-brigadiere dei carabinieri Salvo D'Acquisto (si era
preso la responsabilità di un attentato nel quale era morto un soldato
tedesco). Agli atti risultano nove testimonianze raccolte il 30 aprile del '46 .
Tra queste quella del parroco che indica come autori della rappresaglia gli
uomini della compagnia tedesca PG, partita 19 giorni dopo il fatto. Ma dal
fascicolo manca il rapporto dei maresciallo dei carabinieri che raccolse le
testimonianze. Negligenza o qualcuno lo ha sottratto?
Roma,
23-3-'44. In
via Rasella, subito dopo l'attentato, Annetta Baglioni s'affaccia a una
finestra: colpita da una raffica nazista muore 15 giorni dopo.
L'Espresso - 22 agosto 1996