L'espresso
Stragi / Una sentenza che discutere
Cefalonia tradita
Un giudice tedesco proscioglie l'autore dell'eccidio. E accusa i soldati italiani – Secondo la Procura di Monaco i nostri soldati non erano prigionieri di guerra ma solo disertori
di Alessandro Gilioli
I soldati italiani trucidati a freddo dai tedeschi nel settembre del 1943, dopo la battaglia di Cefalonia, erano dei «traditori», da mettere sullo stesso piano di «eventuali truppe tedesche che avessero disertato». È questa l'incredibile motivazione con cui due settimane fa la Procura di Monaco di Baviera ha archiviato il procedimento penale nei confronti dell'ex sottotenente Otmar Mühlhauser, oggi unico imputato di quella strage, che ha confessato di aver personalmente ordinato la fucilazione di centinaia di militari italiani, tra cui il comandante della divisione Acqui, il generale Antonio Gandin. La disposizione della Procura di Monaco, firmata dal pm Stern, riscrive in senso revisionista la storia di uno degli eccidi più sanguinosi operati dall'esercito nazista durante la Seconda guerra mondiale. I soldati italiani che la magistratura bavarese definisce «traditori» e «disertori» sono gli stessi che cinque anni fa il presidente Carlo Azeglio Ciampi commemorò, dicendosi «orgoglioso della pagina da loro scritta, fra le più gloriose della nostra millenaria storia», perché «tennero alta la dignità della Patria». Sulla ricostruzione dei fatti di Cefalonia non vi sono, in realtà, particolari controversie tra gli studiosi: le truppe italiane sull'isola greca dopo l'armistizio dell'8 settembre ricevettero da Roma l'ordine di difendersi «da ogni eventuale aggressione di qualsiasi provenienza». Il generale Gandin rifiutò quindi l'intimazione dei tedeschi (che volevano la resa incondizionata con la consegna delle armi nella piazza di Argostoli) e chiese agli ex alleati di rispettare la non belligeranza degli italiani, in attesa di ordini più precisi da Roma. Dopo due ultimatum, il 15 settembre i tedeschi iniziarono a bombardare la Acqui nei dintorni di Argostoli. Iniziò una battaglia che sarebbe durata una settimana. La mattina del 22 settembre, dopo aver perso quasi 1.500 uomini, Gandin decise di issare la bandiera bianca (in realtà era la tovaglia su cui gli ufficiali pranzavano). Consegnatisi alle truppe del Führer, lo stesso Gandin, i suoi ufficiali e migliaia di soldati semplici furono passati per le armi a sangue freddo. Sulla mattanza di Cefalonia (che ha ispirato un romanzo bestseller, "Il mandolino del capitano Corelli", da cui Hollywood ha tratto un film), le autorità italiane sono state per decenni timide fino alla connivenza: non si volevano creare attriti all'interno della Nato in un periodo di Guerra fredda. Questa almeno la giustificazione addotta nelle sue memorie da Paolo Emilio Taviani, l'ex ministro della Difesa che nel 1956, insieme al collega degli Esteri Gaetano Martino, impedì ogni indagine e nascose la documentazione sui quei fatti. Solo nel 1980 Sandro Pertini, allora presidente della Repubblica, chiese di rompere quella che definì «la congiura del silenzio» su Cefalonia. E 21 anni dopo Ciampi è andato sull'isola a commemorare i caduti. In tutti questi anni però nessun governo italiano ha mai ritenuto opportuno costituirsi parte civile nel procedimento contro Mühlhauser. Lo ha fatto invece Marcella De Negri, figlia del capitano Francesco (fucilato a Cefalonia). Che ora accusa: «Le motivazioni addotte dalla magistratura tedesca sono un oltraggio alla memoria di mio padre e di tutti i soldati italiani che hanno combattuto nello Ionio. Non capisco come si possa dire che uccidere a freddo migliaia di soldati che si erano arresi non sia un crimine di guerra». La disposizione della Procura, infatti, si basa sul fatto che secondo il codice tedesco il reato di omicidio viene prescritto dopo vent'anni se non è aggravato da "vili motivi". Di qui la giustificazione storica: «I soldati italiani», scrive il procuratore Stern, «Non erano prigionieri di guerra ai quali spettasse un trattamento riguardoso. (...) Inizialmente erano alleati dei tedeschi, poi si sono trasformati in nemici combattenti diventando così dei "traditori", per usare il gergo militare. È come se parti delle truppe tedesche avessero disertato e si fossero schierate con il nemico». Adesso i legali di Marcella De Negri, l'avvocato milanese Gilberto Pagani e il suo collega tedesco Michail Hofmann, faranno opposizione alla disposizione di Stern perché il caso non venga chiuso definitivamente. Nelle prossime settimane il Tribunale di Monaco deciderà se accogliere o no il ricorso. A essere in gioco non è tanto il destino di Mühlhauser (che ha 86 anni e vive tranquillo a Dillingen, una cittadina della Svevia), quanto la dignità di quei 10 mila ragazzi - tra i militari uccisi in battaglia, quelli fucilati a freddo e quelli saltati sulle mine nel mare di Argostoli - che 63 anni dopo il loro sacrificio vengono definiti «disertori» e «traditori».
L’espresso,
28 settembre 2006