L'espresso

L’Italia nell’obiettivo del Führer

I negativi scoperti negli schedari del Terzo Reich. Con la cronaca del 1944 scattata dai reporter di guerra. Ecco le prime immagini di un album eccezionale

di Gianluca Di Feo

 

La banalità del male è impressa nel volto allegro di soldati in gita tra le botteghe di Ponte Vecchio, nei sorrisi dei bambini che giocano sulla spiaggia della Versilia, nei sorrisi dei ragazzoni in uniforme che fanno i turisti davanti alla Torre di Pisa. Pochi scatti dopo i camerati di quegli stessi ragazzi sistemano cariche di tritolo per sbriciolare Ponte Vecchio, nascondono mine sull'arenile dove prima venivano costruiti castelli di sabbia, guardano con freddezza i civili messi al muro per la rappresaglia. La banalità del male è imprigionata in oltre 30 mila negativi, dimenticati per sessant'anni negli archivi della Germania nazista: sono le foto della propaganda hitleriana nell'Italia occupata, documenti eccezionali riemersi dal periodo più sanguinoso della nostra storia. È un diario a tratti sconvolgente, che passa dalle cartoline del Belpaese e dai paesaggi romantici del Senese alle scene dell'orrore, dei bombardamenti e delle stragi. Come la foto dell'anziana signora impiccata in una strada del basso Lazio, vittima rimasta senza nome, o quella del passante in giacca e cravatta ucciso da un cecchino in via Guicciardini, nel cuore di Firenze. Una piccola selezione di questi incredibili documenti viene pubblicata per la prima volta nel volume "La Wehrmacht in Toscana" (Carocci), stampato con il contributo della Regione e dedicato soprattutto alle immagini dell'Italia centrale. Perché forse la parte più impressionante è quella dedicata alla Toscana, dove il rapporto di amore per l'arte e di odio per la popolazione diventa più evidente nel racconto dei reporter con la svastica. A scoprire questa raccolta è stato Carlo Gentile, 46 anni, un professore ligure che da un quarto di secolo vive e lavora in Germania. Ha cominciato per caso ad avventurarsi negli schedari della Wehrmacht e guardarli con occhi di italiano, scoprendo che quasi nessuno lo aveva fatto prima. Così è diventato una sorta di cacciatore di nazisti: dal '97 a oggi ha contribuito a identificare oltre cento criminali di guerra, un terzo dei quali ancora in vita. Le sue indagini sono state determinanti per ricostruire la verità su una trentina di eccidi, smascherando anche personaggi insospettabili come l'ex alto papavero della Spd, parlamentare del Bundestag e consigliere di Willy Brandt, che aveva sempre taciuto la sua presenza tra i massacratori di Sant'Anna di Stazzema. Ma Gentile rifiuta la definizione di cacciatore di nazisti: svolge i suoi studi per conto delle procure italiane, tedesche e canadesi senza nessuno spirito di vendetta. Fatica persi­no a definirsi uno storico: «Sono solo un semplice ricercatore». Anche le foto di questa prima raccolta potrebbero diventare prove di un processo. Si vedono più volte i carristi della Hermann Goering, la divisione che inaugurò in Italia la stagione della stragi già prima dell'8 settembre 1943 e che si è ritirata lungo la Penisola lasciando alle spalle una scia di vittime innocenti. Ci sono poi i granatieri della 15ma divisione, che tra l'altro mise a segno una celebre spedizione punitiva: l'arresto e l'uccisione in Italia dei familiari di Albert Einstein. Esecuzioni avvenute alle porte di Firenze nella terribile estate del 1944, quella della "Notte di San Lorenzo" dei fratelli Tavia­ni. È proprio quello sul capoluogo tosca­no il capitolo più importante del libro: una cronaca della battaglia combattuta casa per casa vista con l'ottica dei tedeschi. Si va dalle scene della" città aperta", con le visite turistiche dei feldmarescialli e i bagnanti sulle rive dell'Amo. Quadretti non dissimili da quelli che negli stessi giorni avvenivano intorno agli alleati nella Napoli liberata: i bambini che chiedono dolci ai militari, lo shopping degli uomini con la tuta mimetica, l'ufficiale pluridecorato in compagnia di una ragazza italiana dalla gonna molto corta. Poi si passa "ai preparativi della battaglia: le demolizioni che hanno cancellato uno dei Lungarno, le mitragliatrici piazzate nelle finestre rinascimentali, le mine nascoste sotto il selciato di marmo. Il soprintendente degli Uffizi Giovanni Poggi cerca di spiegare agli avieri del Reich come scaricare senza danni cataste di capolavori del Trecento, caricate alla rinfusa sui camion. All'ora X tonnellate di tritolo trasformano l'Arno nella linea del fronte: da piazzale Michelangelo c'è la panoramica del centro storico sventrato dalle esplosioni. Dal 10 agosto 1944 tutta l'altra parte della città diventa terra di nessuno, con nidi di resistenza dove tedeschi e partigiani combattono scala per scala: una piccola Stalingrado. E, in mezzo agli scontri, un gruppo di parà si ritrova in una casa di via delle Forbici. Si siede intorno a un pianoforte e suona Bach, mettendo in scena una pausa di serenità a uso della propaganda: non si tolgono nemmeno l'elmetto, mentre un loro collega sorveglia la strada con il mitra puntato. C'è poi la storia delle rappresaglie: scatti rarissimi dell'operazione contro la Repubblica partigiana di Montefiorino, con i fanti che si radunano sotto paesini dell'Appennino che verranno messi a ferro e fuoco. Colonne di contadini che attendono il plotone di esecuzione si mischiano a polli e mucche razziati per la gioia dei cuochi dei panzergrenadier. Le immagini delle Propaganda-Kompanien fanno ovviamente pensare alle Combat camera, le troupe americane che lavoravano dall'altra parte del fronte. Come i loro colleghi statunitensi, molti dei reporter tedeschi erano già famosi o lo diventeranno negli anni Cinquanta: tra gli altri ci sono Ulrich Kayser, Toni Schneiders, Gerhard Rauchwetter, Erwin Haas. E come gli americani, anche i soldati con la Leika al collo potevano riprendere tutto liberamente; tanto i loro negativi venivano sviluppati in Germania, dove gli esperti cresciuti alla scuola di Goebbels selezionavano il materiale. Ma il confronto con le foto degli americani fa emergere subito una grande differenza nel modo di trattare l'orrore del conflitto. Accanto alla retorica bellica, le Combat camera a stelle e strisce insistono nel documentare il disgusto, la quotidianità della barbarie: ci sono chilometri di pellicola dedicati ai ragazzi amputati per colpa delle mine o addirittura ai corpi dei soldati americani caduti a Cassino. Non solo: spesso c'è una forma di comprensione verso il nemico, visto come uomo imprigionato in una macchina di morte. Insomma, sono dei manifesti pacifisti che talvolta hanno fatto rischiare la corte marziale ai loro autori. Invece i fotografi tedeschi sembrano autocensurarsi. La devastazione appartiene sempre agli altri: agli italiani traditori o agli avversari. Uccisioni e devastazioni sono una realtà altrui, sulla quale non vale la pena di insistere. La morte dei militari tedeschi invece ha sempre qualcosa di solenne: è presentata come un sacrificio superiore, come testimoniano le immagini del funerale di un generale ucciso in prossimità del fronte. Persino i feriti sono calmi mentre i soldati della Wehrmacht sembrano avere voglia di scherzare anche sotto le bombe. E così, in modo paradossalmente assurdo, l'unica smorfia di paura che resta in quelle foto è quella di un parà sotto i ferri di un dentista.

L’espresso, 27 aprile 2006

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