L'espresso
Anna
Frank è viva
Un
centinaio di computer, un regista e un team di esperti. A Milano stanno girando
un film sconvolgente. Che ridà il corpo, partendo da una foto, alla ragazza
simbolo della Shoah. Ne
parlano con L'espresso"
Cacciari e Sofri
di
Gigi Riva
Anna
Frank, proprio lei, con quel volto che le conosciamo grazie alle rare fotografie
salvate dalla catastrofe. Oskar Schindler, proprio lui, l'industriale
nazista ma Giusto, non il Liam Neeson che gli ha prestato la faccia per Steven
Spielberg. Soprattutto Emily Dickinson, proprio lei, nata un secolo prima di
Anna, e che da Anna era distanziata da un Oceano, ma che con Anna dialoga
grazie a un'applicazione pratica del sincronismo junghiano, cioè della
coincidenza
di un effetto fisico e di uno psichico. Vengono le vertigini, in questo ufficio
di Milano Due dove «l'impossibile diventa vero», come avrebbe potuto
commentare Bohumil Hrabal, il grande scrittore céco. Sempre nel mondo virtuale
creato nella stanza, Hrabal, morto negli anni Novanta, si potrebbe far offrire
una birra da un suo connazionale, mago degli effetti speciali, che a furia di
digitare sulla tastiera, sta facendo piovere nell'Amsterdam reale degli anni
Quaranta. Spiegazione prima che il tutto diventi un rompicapo. Nella sede della
263 Films sta prendendo corpo, letteralmente, il lungomerraggio "Cara Anne,
il dono della speranza", del regista trentenne ma già pluripremiato
Dario Picciau, 10 milioni di budget, uscita prevista a dicembre, con scene 3D
in digital reality, cioè il massimo che offra la tecnologia, sperimentato per
la prima volta. Ottanta artisti del computer (ogni altra definizione
risulterebbe riduttiva) qui convenuti dalla Repubblica Ceca e dalla Slovacchia,
e lo abbiamo visto, come da Spagna, Francia, Inghilterra, Stati Uniti, insomma
il meglio che c'è sulla piazza globale (esperienze da "Harry Potter"
a "Guerre stellari") per animare, col fiato dei bit, le fotografie
della ragazzina Anna, scaldarle di colore, farle muovere fino alla fisicità
completa. E siccome la sceneggiatura di Roberto Malini è temporalmente assai più
vasta del periodo di cui possediamo l'iconografia della più famosa vittima
della Shoah, ecco che viene in ausilio la fisiognomica. Anna invecchia sulla
base della se stessa adolescente. Non solo, incontra in sogno una Emily che è
trasparentemente la Dickinson per una corrispondenza emotiva tra letterate e,
soprattutto, tra segregate benché non sia differenza da poco il fatto che per
una l'isolamento è stato volontario, per l'altra una costrizione derivante
dalla follia del nazismo. La trama la lasciamo scoprire ai futuri spettatori.
Basti qui sapere che non una frase dell'arcinoto "Diario di Anna
Frank" è stata usata, che il personaggio creato per l'ennesima
rappresentazione spettacolare è allo stesso tempo di fiction e rigorosamente
aderente alla figura storica. Malini ha appena dato alle stampe "Le 100
Anne Frank, i diari mai scritti" (Cairo editore), ha intervistato molti
sopravvissuti, persone che hanno conosciuto Anna nel campo di concentramento
di Bergen Belsen, ha ricostruito minuziosamente, con testimoni, l'appartamento
nella Prinsengracht 263 (ecco la ragione del nome della produzione) di
Amsterdam dove si è nascosta con la famiglia prima di essere scoperta dai
nazisti
e deportata. Un lavoro filologico grazie al quale la sceneggiatura ha avuto il
sostegno scientifico di Yad Vashem e del Ghetto Fighter's Museum in Israele.
Sarà per questo che né a lui né al regista tremano i polsi davanti alla
questione cruciale che questo nuovo passo della tecnica pone: come si potrà,
d'ora in poi, mettere un freno alla manipolazione della storia? Quanto
revisionismo
si potrà spacciare per verità assodata semplicemente assoggettando ai propri
scopi le immagini? Picciau sostiene di aver utilizzato un espediente visivo
che suoni da memento per gli spettatori: «Non ho voluto che la resa fosse
iperrealista». Probabilmente dei cartelli segnaleranno le scene di fantasia.
Forse, quest'ultima, una preoccupazione didascalica eccessiva data la
popolarità di Anna e anche di Emily. Gli intenti etici del team sono fuori
discussione. Tanto che Andrea Jarach, il più munifico tra i diversi produttori
non ha posto alcun vincolo: «La moralità delle persone coinvolte è la
maggior garanzia». Però riconosce che non basterà in futuro
l'autocertificazione e sarà bene pensare all'adozione di un codice morale per
chi usa il digital reality. Massimo Cacciari, filosofo, sindaco di Venezia,
bolla benevolmente come naïf l'idea del codice. Ma non è per nulla inquietato
dall'apprendere che è possibile animare, da una fotografia, un personaggio
storico. Anzi, ritiene che questo risultato sia ancora rudimentale rispetto ai
limiti che la tecnica può abbattere: «Qui siamo a livello di cartoni, un
puro teatrino. Potrai prendere Hitler e fargli dire ciò che vuoi. Ma Hitler lo
conosciamo. lo mi aspetto invece che si arrivi a un Hitler in carne e ossa per
cui si possa dire che è di nuovo davvero lui». Allora sì nascerebbe
l'inquietudine: «Sarà molto peggio quando sulla base di una cellula faranno
agire e non soltanto recitare un mio perfetto clone, quando ci sarà il
teletrasporto e ci si potrà traslocare in tempo reale da un luogo all'altro del
mondo. Perché succederà. Tutto ciò che il cervello umano ha concepito è
stato poi realizzato». Anna Frank che recita resta un prodotto di
celluloide e semmai, secondo Cacciari, «andrebbe indagato il desiderio
profondo che presiede l'idea. Che è quello di rianimare Anna Frank, si prende
una cellula del cadavere e la si fa immortale». Anche Adriano Sofri usa la
categoria del "desiderio", al quale riconosce però una valenza molto
umana: «Chi non vorrebbe riportare in vita una persona che si ama? Naturalmente
questo desiderio può trovare le applicazioni più macabre. Come ibernarsi
in attesa della resurrezione. Alcune delle scoperte scientifiche più
interessanti degli ultimi anni si devono ai generosi finanziamenti di signori
che volevano surgelare o donare il loro cagnolino». In questo senso più che
l'immortalità c'entra il dolore per una perdita. Dall'individuale al collettivo
si può tracciare un parallelo con quella pubblicistica che prevede di rivedere
la storia e di ipotizzare cosa sarebbe successe "se" le cose fossero
andate diversamente: «Anche lì c'è il tentativo di riscattare l'iniquità
della storia, per chi la considera tale, di riparare a un'insensatezza e di
rivalersi
a posteriori dei propri nemici». Non solo libri (in "La parte
dell'altro" di Eric-Emmanuel Schmitt", Hitler diventa pittore
d'avanguardia e sposa un'ebrea americana). In una celebre pubblicità Roberto
Baggio segnava il rigore nella finale col Brasile e l'Italia diventava
campione del mondo. Sofri ne scrisse su "Repubblica" e prese lo
spot come strumento popolare di revisionismo. Chissà cosa si agita nella
mente di Picciau. Lui ammette che Anna gli interessava «per via
dell'innocenza».
La Frank morta ragazzina e poi diventata come un'icona pop della Shoah da
restituire alla sua adolescenza e ai suoi sogni, prendendo lei come attrice
di se stessa. La tecnica glielo ha permesso e Malini ci ha messo il sostrato
ideologico, compresa la scelta di farla dialogare con la Dickinson. I computer
dell'ufficio di Milano sono i vassalli della purezza del personaggio che
cresce nelle loro viscere. Nei mille fili che si dipanano dai terminali davvero
si può generare tutto. Semmai è questo che preoccupa Cacciari: «Più che
l'effetto mi preoccupa la causa. Cioè questa visione del mondo che si
incarna nella potenza del sistema tecnico-scientifico. Per il nostro senso
comune, ormai, tutte le questioni più importanti non solo sono risolvibili,
ma addirittura sono proponibili in questi termini». E non è dato porre un alt,
mettere un freno. Il meccanismo che produce il primato della tecnica non è
modificabile dall'interno «e noi», chiosa Cacciari, «ci arresteremo quando ci
arresteremo, cioè quando giungerà un momento catastrofico, per cui l'acqua sarà
vapore e non si potrà più pensare di correggerla». Dunque finché questa
corrente che esalta la scienza non si sarà esaurita intrinsecamente nessun
agente esterno la potrà fermare. Assai prima di quel punto di rottura si ferma
Sofri a valutare un rischio. Che qualcuno faccia dire a Hitler una frase
strampalata pazienza, abbiamo gli anticorpi per non cadere nella trappola. Nel
caso di Anna Frank, ad esempio, gli pare invece decisiva, «fatale»
addirittura, la delicatezza: «Il rischio è di mancare totalmente di rispetto
e di amore. Proprio amore e rispetto chiedono riservatezza circa ciò che le
si può far dire e come la si fa muovere». Inoltre confessa di essere assai
affezionato a quelle fotografie di Anna tanto da preferire continuare a
guardarle così come sono: «La fotografia fissa un momento, ha un valore per
questo ed è una specie di promessa rispetto alla nostalgia e alla memoria
assai più forte di un film. In particolare quando la fissità ha a che fare con
una persona morta giovane». Ricorda, Sofri, i ritratti delle famiglie ricche
che si trovano nei palazzi del Nord Europa. Ogni anno il pittore ritraeva i
componenti.
Vedere i quadri uno accanto all'altro è una specie di film coi giovani che
invecchiano
eccetera. Solo alcuni rimangono uguali a se stessi: i bambini morti a cui veniva
disegnata una croce rossa sulla testa. Anna Frank è come quei bambini, «è per
eccellenza il personaggio che è uscito dal suo tempo per abitare in un mondo in
cui non si cambia più». Questo non significa che non vedrà il film «e magari
lo troverò anche bello». Però la sua relazione con Anna e anche con Emily
rimane altro, «e avrò cura di tenerla separata dal film».
Non
sarà Frankenstein
di
Riccardo Drago
C'è
già chi paragona il cinema del nuovo millennio al
laboratorio di Frankenstein: si prendono pezzi di performance di attori in carne
e ossa per assemblare la recitazione di personaggi digitali. E per la prima
volta in "Dear Anne" viene resuscitato un personaggio realmente
esistito, Anna Frank. Miracoli della tecnologia, sempre più presente e
invisibile nella Settima Arte. Per ottenere le reali sembianze di Anne, gli
artisti della 263 Films hanno effettuato una ricerca approfondita delle sue foto
e grazie al computer hanno ricostruito ossa, muscoli, pelle e capelli; poi per
esigenze di copione, si sono spinti oltre l'inimmaginabile: «Dato che non
avevamo immagini della sua vita nell'alloggio segreto, spiega il supervisore
alla grafica computerizzata Gregor Stratsz, «è
stato sviluppato un programma per capire come il suo volto si è trasformato per
la permanenza in quel luogo; operando in modo analogo, abbiamo ottenuto anche
una versione invecchiata del volto. Per avere un buon livello di fotorealismo è
stato necessario concentrarsi sulla pelle e gli occhi». La sfida più ardua è
stata
quella di far recitare i personaggi digitali: si è ricorsi alla tecnica del
motion capture, con cui si fissano i movimenti delle persone, posizionando degli
indicatori sul loro corpo e volto, che vengono poi registrati da telecamere a
infrarossi e trasformate dal computer in azioni da attribuire ai personaggi
virtuali. «Siamo
stati i primi a registrare le due performance separatamente: prima i gesti e
solo in un secondo momento le espressioni facciali», racconta il supervisore al
motion capture Andrea Brogi. «Inoltre, per tradurre anche il pensiero degli
attori, abbiamo catturato il movimento dei loro occhi, in modo da non perdere
nessuna sfumatura emotiva nella recitazione». Questa tecnologia è alla
base di due blockbuster in arrivo da Hollywood, "Monster House", e
"Beowulf" di Robert Zemeckis, con Anthony Hopkins, Angelina Jolie e
John Malkovich. Spiega il regista Dario Picciau: «È
possibile, grazie alle tecnologie di modellazione e animazione tridimensionale,
ricostruire la fisionomia di interpreti scomparsi. "Dear Anne",
tuttavia, non vuole essere un film iperrealista, ma artistico».
L’espresso,
6 aprile 2006